Gio 24 Nov 2016 Scritto da Pierinux AGGIUNGI COMMENTO

Carissimi, eccoci permeati di autunnale umidità. E’ il suo momento: quindi un benvenuto alla pioggia e a noi la giusta attenzione ai comportamenti del cielo e della terra.

In allegato la consueta lettera che, ovviamente, tiene presente che siamo in novembre, quando l’anno civile con i suoi raccolti e quello religioso con la sua liturgia completano un ciclo e ne iniziano nuovo. Inizis qualcosa nuovo se finisce qualcosa vecchio.

Estendo a quelli che abitano nell’area milanese l’invito alle serate del cinema buddhista, patrocinato da parte buddhista e cattolica, che si terranno in Milano presso i Salesiani di via Melchiorre Gioia. La prima sera, lunedì 28, anche a me fu chiesto un contributo. Qui il programma dettagliato, cliccare:

Ricordo inoltre che sabato prossimo, 26 novembre, si terrà il secondo incontro del corso sul pensiero di Raimon Panikkar. Sul nostro sito il programma dettagliato.

Come sempre, fraterni saluti. p. Luciano


Vangelo e Zen, Desio
23 novembre 2016

l’io credente, l’io non credente. E la fede.

duomoLunedì 14 novembre ore 22,30, Milano Piazza Duomo, un mediocre fotografo – il sottoscritto – ha scattato alcune foto a sorella Luna, che quella sera benevolmente ci ha mostrato il suo super volto. Fra le guglie, la Madonnina. Tanta pacata bellezza si è concessa al mio minuscolo telefonino; ma ancor più ha confortato la mia povera esistenzialità. E’ dall’urto fra la potente luce del sole e l’oscura e inerte materia del satellite Luna, che si origina questa pacata bellezza, in cui tutte le cose, alberi e case, uomini e animali, riposano tranquilli. Oltre la luce e oltre la tenebra, nel rapporto a volte mite e a volte violento di luce e tenebra: i colori della vita. Oltre l’io credente e oltre l’io non credente, nel rapporto a volte mite e a volte violento fra l’io credente e l’io non credente: nasce la fede, opera la grazia, si attua la salvezza.

“Io ritengo che ciascuno di noi abbia in sé un non credente e un credente, che si interrogano a vicenda, che rimandano continuamente domande pungenti e inquietanti l’un l’altro. Il non credente che è in me inquieta il credente che è in me e viceversa” (Cardinal Martini, discorso inaugurazione Cattedra dei non credenti). Anche in Gesù, l’io credente fu disturbato e tentato dall’io non credente. Ancora sulla croce i due io si contendevano la vittoria. Esclamò: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato” (Vangelo secondo Marco 15,34). Quindi pregò: [“Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. Detto questo spirò] (Vangelo secondo Luca, 23,46). Non vinse alcun io, ma “detto questo spirò”: e  nacque, risorse, il Cristo.

Il Cristo sgorgò da quella lotta tra credente e non credente; e nacque non come Gesù credente o come Gesù non credente, ma come il Cristo che si offre per il perdono e rinascita universale. Attraverso e oltre Gesù il figlio di Dio, attraverso e oltre Gesù il figlio dell’uomo, dal conflitto di Gesù il figlio di Dio e Gesù il figlio dell’uomo: ecco il Cristo. Dio e l’uomo, morti, risorgono nel Cristo. ”Pur essendo figlio di Dio, imparò l’obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono” (Lettera agli Ebrei, 5,8). Dio patì l’obbedienza all’uomo; l’uomo patì l’obbedienza a Dio: e sgorgò la salvezza.

Domenica 20 novembre, seguendo il rito romano, la chiesa ha coronato un anno di cammino liturgico con la festa della regalità di Cristo. Questa regalità è la fede, è la grazia, è la salvezza che sgorgarono dalla morte di Dio e dell’uomo in Gesù, primogenito di quanto si attua anche in me, e in tutto l’universo. In Gesù Dio, l’uomo e l’universo, tutto muore e risorge. Il Vangelo della festa di Cristo re, ascoltato domenica 20 novembre, narra la morte di Gesù in croce. I capi, i soldati, i due ladroni lo schernivano; i discepoli lo avevano abbandonato, e Dio taceva. Sotto la croce Giovanni e alcune donne a consolarlo. Maria e le donne apparivano più tenere di Dio, il silenzioso. Una donna lo doveva rigenerare nel suo seno, affinché Dio, “imparando l’obbedienza dalle cose che patì” divenisse salvezza.  Come rimane imperfetto Dio, se non si incarna nell’umanità e nella creazione!

Quante volte nella vita il mio io credente ebbe meno fede del mio io non credente! Quante volte nella storia l’ateo ebbe una fede più forte e nobile del religioso! L’io credente, nella sua furia di credere, si plasma un Dio che gli garantisca che lui solo possiede la verità e gli altri no. Da tale credere, quanta sofferenza venne nel mondo! Ugualmente l’io non credente quante vite umane ha falciato! Finché descrivo la storia, tutto mi scorre facile e convincente. Ne posso perfino trarne una mia bella figura. Ma gli è che l’io credente e non credente sono, adesso, in conflitto dentro di me. A volte prevale l’uno, a volte l’altro; e mai uno riesce a zittire del tutto l’altro.

Mi dona fiduciosa speranza la comprensione che la fede non coincide con l’io credente, ma è oltre la soglia del credere o non credere. E’ oltre la soglia del dover dimostrare l’esistenza di Dio. E’ oltre alla certezza dell’esistenza di Dio. La fede è lasciar morire le contrapposizioni dentro di me e lasciarmi rinascere e risorgere nel Cristo.

Dalla descrizione della morte di Gesù sulla croce, che gli evangelisti ci hanno tramandato senza abbellimenti, sento grande sostegno alla fede che non coincide con il mio io credente. E comprendo che anche il Vangelo non è un io credente contro un io non credente. Lo fosse, la figura di Gesù sarebbe stata più esaltata e difesa dagli attacchi di ogni io non credente. Le autorità religiose lo schernivano dicendo: “Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto” (Vangelo secondo Luca 23,35). Se fosse disceso dalla croce, avrebbe incoronato il mio io credente. Invece morì, e Dio tacque. Così, al disappunto del mio io credente, si dischiude in me lo spiraglio della fede.

Il Vangelo ci presenta Gesù che “cresceva in sapienza, in età e grazia davanti a Dio e agli uomini” (Vangelo secondo Luca 2,51). Il mio io credente fatica ad accettare che Gesù il giorno prima fosse meno in sapienza, età e grazia davanti a Dio e davanti agli uomini. Il mio io credente lo vorrebbe subito onnipotente e onnisciente. Al massimo potrebbe accettare che quella sua umiliazione, ossia essere come tutti noi, fosse una posa messa in atto per venirci incontro senza intimorirci con la sua onnipotenza e onniscienza. Invece, cresceva così anche “davanti a Dio”. Gesù maturò a Cristo “obbedendo alle cose che patì”. Lo vedo seguendolo nei suoi discorsi, negli attimi di dubbio che conobbe prima di recarsi a Gerusalemme dove già si tramava contro di lui, come lo vedo nella diffidenza che proprio quelli della sua casa nutrivano verso di lui ancora prima della sua morte: “Neppure i suoi fratelli infatti credevano in lui” (Vangelo secondo Giovanni 7,5). Aveva dichiarato che al giudizio finale avrebbe diviso le pecore dai capri, i buoni dai cattivi, gli uni per il paradiso, gli altri per l’inferno. Ma sulla croce il suo voto finale fu: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Vangelo secondo Luca 23,34).

Papa Francesco ha raccomandato che nessuno ponga limiti alla clemenza di Dio. Il nostro io credente  preferirebbe un Dio da tenere sotto controllo. Nella fede, in Dio noi viviamo e Dio vive in noi.

Domenica 23, ritiro di Vangelo e Zen di Firenze. Una giovane, Benedetta, alzò la sua voce pressapoco così: il Gesù che spesso voi preti predicate a noi giovani non ci dice nulla. Non ci attira. In lui non scorre il nostro sangue. E’ come una statua dorata.

p.Luciano

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