La pratica dello zazen e la celebrazione dell’eucaristia
 

Pratica e celebrazione sono due nomi differenti che indicano significati differenti; ma tutte e due sono nomi del vero cammino religioso. Si pratica lo zazen e si celebra l’eucaristia (ascolto comunitario del Vangelo, preghiera comunitaria di lode e ringraziamento).

Specifichiamo subito che pratica significa un esercizio religioso che ciascuno compie tutto intero con il suo corpo, e in cui ciascuno è solo con se stesso, anche se nella stessa aula sono riuniti molti, come avviene quando si pratica lo zazen. Nell’unicità della pratica di ciascuno viene abbracciato tutto l’universo; è l’uno che abbraccia il tutto. Attraverso la pratica dello zazen ciascuno fa ritorno all’uno che è il suo essere qui ora, e in tale atto di fede dentro di sé percepisce l’unità vitale di tutto ciò che esiste.

Invece celebrazione (liturgica), più che un esercizio, significa un’azione religiosa che per sua natura si può compiere soltanto in modo comunitario. In essa ciascuno svolge una parte, una funzione, che non è completa se non è completata dalla parte di tutti gli altri. Nella celebrazione liturgica, per esempio nella messa, è come se l’assemblea abbracci tutti i singoli, uno a uno: è quindi il tutto che abbraccia ogni uno. È molto evidente che c’è spazio per tutti, per la persona adulta molto attenta come per il bambino che non riesce a star fermo: infatti per sua natura nell’azione liturgica l’uno aiuta l’altro.

Va riconosciuto che sia il cammino cristiano e sia quello dello Zen conoscono e valorizzano e la pratica e la celebrazione. Ma nello Zen la pratica, ossia lo zazen, è centrale, mentre la celebrazione, per esempio il recitare assieme il Sutra, è marginale. Nel cammino cristiano la celebrazione liturgica, ossia la messa e i sacramenti, è principale, mentre la pratica (la meditazione e la preghiera personale) è quasi un momento preparatorio alla celebrazione liturgica.

La pratica individuale esige di essere inverata dalla celebrazione comunitaria; l’azione liturgica, che è comunitaria, esige di essere personalizzata attraverso la pratica individuale. Quindi non ci deve dispiacere affatto di passare dal silenzio dello zazen alla preghiera comunitaria; né di passare dalla funzione comunitaria che si compie assieme al silenzio dello zazen dove ciascuno è solo con se stesso. Il vero cuore religioso è dell’uomo che nella solitudine dello zazen abbraccia tutti e tutto, e che nella celebrazione comunitaria della messa non smarrisce mai la propria individualità e la propria solitudine. È, in mezzo a tutti, conservare la propria unicità; e, nella propria unicità, comunicare con tutti.

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