Sab 25 Apr 2009 Scritto da Pierinux AGGIUNGI COMMENTO

Il corpo della speranza

Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane. Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona apparve in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Stupiti e spaventati credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la grande gioia ancora non credevano ed erano stupefatti, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. Poi disse: «Sono queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente all’intelligenza delle Scritture e disse: «Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni.

  • Il corpo nutre la speranza

La speranza che abita nel corpo è la madre della risurrezione. La risurrezione, infatti, è avvenimento del corpo: nel corpo si attua e nel corpo porta frutto. Gesù risorto mostra le sue piaghe ai discepoli e li invita a toccarle con le loro mani. Poi prende un pesciolino arrostito che gli offrono e lo mangia davanti a loro. Non c’è risurrezione senza il corpo che muore e risorge.

C’è un rapporto profondo fra il corpo risorto di Gesù e quello del pesce, pescato nei fiumi della terra, arrostito al fuoco. Il corpo esanime del pesce nutre il corpo risorto di Cristo. Secondo il tempo fenomenico: corpo risorto di Cristo e corpo non ancora risorto del pesciolino! Secondo il tempo eterno: pur sempre l’unico corpo che in Cristo è già tutto risorto e che nel pesciolino tutto muore, perché già tutto risorto. La risurrezione infatti è già tutta presente quando qualcuno o qualcosa muore nella dimensione della fede, della speranza e della carità. Gesù, morendo, grida la supplica: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34).

Per molti risurrezione suona come vita dello spirito, rinascita spirituale, paradiso angelico; visioni in cui non c’è spazio per il corpo che è e resta vero corpo. Ma il Vangelo di oggi descrive il Signore risorto che mangia il pesce arrostito, offertogli dai discepoli. Come può la carne del pesce, elemento materiale dei fiumi e dei mari di questa terra, nutrire il corpo risorto di Cristo? Come può l’energia che abita nel limite delle cose, che sono nel tempo, alimentare l’energia illimitata che oltrepassa il tempo? Oppure possiamo ribaltare la domanda: come può il corpo risorto di Cristo essere cibo eucaristico per l’uomo che vive nel prima della risurrezione?

Chi mangia comunica con il cibo: lo assume, lo mastica, lo ingoia, lo digerisce, lo trasforma in carne e ossa, quindi in movimento fisico e lavoro della mente. Il cibo così assorbito, cessa di essere una cosa separata e diviene parte del corpo di chi lo ha mangiato. La carne del pesce diviene parte fisica del corpo del Signore risorto: il corpo che è nella risurrezione prende alimento dal corpo che non è ancora nella risurrezione. C’è una comunione e una carità corporea, c’è una solidarietà fisica fra tutti i corpi, come dimostra la legge della gravità, per cui i corpi si sostengono l’un l’altro, coinvolti in un unico destino e in un’unica speranza. Questa legge, testimonia il Vangelo odierno, è più fondamentale che la distinzione fra il prima e il dopo la risurrezione. C’è una speranza che pervade tutti i corpi, che li anima, li attrae e li respinge a seconda del momento, trasformandoli dal loro interno verso un’armonia e una pace universale. Quella speranza, con la sua forza invincibile, fa tutto morire e tutto risorgere. In questo campo cosmico del corpo, il corpo di Gesù risorto è «la primizia di coloro che sono morti» (1 Cr 15,20), è il sacramento della risurrezione universale.

Nel corpo c’è quella speranza che origina il prima e il dopo la risurrezione: il prima come legge del nascere, crescere, lottare, morire; il dopo come legge del corpo spirituale che non è più soggetto alla corruzione: «si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale» (1 Cr 15,44). La forza che fa germogliare il seme, il corpo animale, producendo frutti abbondanti, il corpo spirituale, è la speranza.

Gli apostoli guardavano stupiti il Signore risorto che, davanti ai loro occhi, si cibava del pesce arrostito. Così ciascuno di noi, ogni giorno, si stupisce che nel suo corpo c’è sempre una qualche speranza che risorge nuova; anche quando ogni speranza sembra perduta. La guarda ammirato e la vede prendere corpo, nutrendosi degli avvenimenti della vita stessa. Nel suo corpo c’è come una forza superiore che lo proietta verso la risurrezione: abita nel corpo e prende corpo dal corpo. Se l’uomo si chiede: perché? Dal suo corpo vibra la risposta: perché così è, perché non può che essere così. Il bambino morto di fame a pochi mesi di vita, risorge! Sì, perché la speranza che è nel suo corpo non muore; ma, sepolta col corpo sepolto, lo chiama alla risurrezione delle cose sperate. La speranza è quella forza che non si dà pace finché non partorisce il corpo reale della cosa sperata. La risurrezione altro non è che la forza invincibile della speranza che, perché invincibile, porta abbondanti frutti. Anche se in un uomo la speranza si spegnesse, resta viva e forte in altri, in Cristo che muore sulla croce gridando la supplica del perdono. Così la speranza non muore mai e rifluisce da un corpo all’altro.

In “La natura autentica” Doghen insegna: «In quale tempo di quale luogo esiste qualcosa che essendo il suo corpo può manifestarsi come altro?». La risurrezione è la speranza, che è nel corpo, che si manifesta come suo corpo, come i frutti di un albero sono la vitalità dell’albero che si manifesta come suo corpo. Paolo testimonia: «Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto» (1 Cr 15,16).

Cristo è risorto perché sento nel mio corpo la grande legge della risurrezione! Cristo è risorto perché il bambino affamato muore con la speranza della risurrezione che freme nel suo corpo. Cristo è risorto perché un pesciolino che viene sottratto alla vita per nutrire altri viventi muore con la speranza di vivere! È il passaggio! È Pasqua!

p.Luciano

  • Non un fantasma

Al centro di questa immagine che il Vangelo ci offre, c’è il corpo di Cristo. È l’unico dei quattro vangeli che menziona il fatto che Cristo risorto non solo fa toccare il suo corpo e le sue ferite ai discepoli increduli, ma addirittura chiede da mangiare e mangia con loro (in Giovanni non è chiaro se anche Gesù assuma cibo insieme agli apostoli, mentre Matteo e Marco non menzionano la cosa). Non è un particolare di poco conto, perché ci dice senza possibilità di fraintendimento che Cristo risorto è corpo in carne ed ossa, e non corpo etereo, puro spirito. Questo urta contro tutte le nostre convinzioni e pregiudizi: per noi la risurrezione è un affare dello spirito, e, anche se parliamo di resurrezione della carne, spesso ne abbiamo un’idea vaga, indefinita, quando non addirittura macabra, come se la carne che risorge fosse la carne morta che ritorna viva: un fantasma, appunto, magari solido, un redivivo. «Ma qualcuno dirà: “Come risuscitano i morti? Con quale corpo verranno?” Stolto! Ciò che tu semini non prende vita se prima non muore; e quello che semini non è il corpo che nascerà, ma un semplice chicco, di grano per esempio o di altro genere». (1Cor 15,35-37) Se il chicco non muore, come corpo e come idea di chicco, non c’è la spiga, né come corpo né come idea vera, oltre l’immaginazione e la fantasia.

Man mano che analizzo e esamino dall’interno il rapporto fra cristianesimo (Vangelo) e buddismo (Zen) resto colpito da un’affinità, anche espressiva, che non avevo sospettato all’inizio di questo percorso; anzi, quello che oggi vedo come un punto comune, mi appariva come un elemento di differenza e di antitesi. Parlo del posto che occupa il corpo nelle rispettive visioni. Oggi comprendo che sono entrambe religioni dell’incarnazione. «Il corpo di Budda è essere corpo, l’essere che è essere corpo è la natura autentica»: così Doghen in Bussho – La natura autentica. Cristo dice: «Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho». Pensare che questa espressione riguardi solo un episodio finale del Vangelo, pensare che quel fatto si sia avverato solo per un attimo circa duemila anni fa, equivale a fare di Cristo un fantasma, oggi. Invece la carne e le ossa di Cristo sono, oggi, la carne e le ossa della realtà presente. Non bisogna mettere sottosopra e alienare corpo e essere, dice Doghen: non bisogna separare e rendere esteranei il corpo di Cristo e l’essere che ora è. La risurrezione di Cristo, la sua incarnazione, non sono soltanto un evento storico particolare: sono realtà operante ora e sempre. Sono la realtà della vera natura di tutte le cose. L’eucaristia è la celebrazione della vera natura di tutte le cose, simboleggiate dal pane e dal vino. Non è che il pane e il vino sono il simbolo della presenza di Cristo: è che il pane e il vino sono simbolo di tutte le cose, le quali sono il corpo stesso di Cristo, la sua presenza in carne e ossa. Non c’è nessun evento occulto. Il corpo di Cristo diviene il pane e il vino che nutrono di risurrezione chi se ne nutre: Beati gli invitati alla cena del Signore. Non perché c’è chi è invitato e chi non lo è, e gli invitati sono beati in confronto ai non invitati che non sono beati; ma perché sono invitati tutti coloro che comprendono, credono, intuiscono, che la vera natura del pane e del vino, simbolo di ogni cosa, è di essere corpo di Cristo, corpo di morte e risurrezione: qui sta l’essere beati, perché qui la realtà si riscatta e si rinnova.

Può non piacere l’accostamento di espressioni cristiane e buddiste: può apparire una forzatura. No: è esempio del fatto che, di fronte all’essenziale, non ci sono possibilità di scelta: la verità è unica. La realtà colta nella verità originaria è il corpo di Cristo non perché Cristo interviene sulla realtà e la modifica facendola diventare altro da cio che è, ma perché così è. Essere corpo è la forma manifesta e immediata della natura autentica non per opera di Budda, ma perché così è. L’unica verità, espressa con differenti parole, ci mette di fronte all’unico valore intrinseco della vita di ognuno. Ogni disputa sull’unicità di ciò che salva, se non è richiamo all’unicità della salvezza ma rivendicazione dell’esclusività di una figura di salvatore, assomiglia a un’evocazione di fantasmi: come confondere il ritratto di un corpo con il corpo ritratto.

Jiso

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