* La mistica della spontaneità

Oggi, l’umanità non ritiene più l’impermanenza come una nega­tività o un difetto che rimanda a un altrove e a un altronde, dove invece le cose sarebbero eterne e perfette. Piuttosto, l’impermanenza è compresa come una qualità materna della natura stessa che, come madre, invita ad apprezzare ogni attimo fuggente come una foglia che danza la vita. L’impermanenza dice colorito, mutevolezza, spon­taneità, umiltà; dice soprattutto calore. La poesia haiku giapponese, espressione eccellente di questo sentire, incanta, direi ammalia, la sensibilità poetica dell’italiano. Probabilmente anche il graffito è un bizzarro modo dei giovani per celebrare la loro variopinta esperienza dell’attimo che fugge. Il giovane cristiano d’oggi non è mosso dalla teologia dei novissimi: premio o punizione eterna. Ama Cristo, sem­plicemente perché ne percepisce la calda presenza nei gesti della sua vita, lo sente un compagno di strada. Dice un testo fondamentale dello zen:

In questo modo, nel momento in cui tutti gli esseri davvero si dedicano completamente ad essere ciò che devono essere, …momento per momento fanno sbocciare l’assoluto modo in cui essere. Per questo, ogni cosa canta la verità senza aggiungere nulla [5].

Il giovane cristiano d’oggi, dall’ anima visitata dal buddhismo, ama Cristo senza dovervi aggiungere il premio del paradiso. Ama Cristo di un amore più gratuito.

Il cristiano attratto dal buddhismo avverte il bisogno di speri­mentare da dentro di sé, come una rivelazione che sgorga dall’intimo della sua esperienza, e non soltanto di obbedire a ciò che gli è rivela­to da fuori o dall’alto e a lui trasmesso da altri incaricati a ciò. L’at­trazione al buddhismo, caratteristica dei nostri tempi, dice il bisogno esisten~iale d’esperienza dell’uomo moderno, in reazione al tradizio­nale metodo dell’indottrinamento, che fornisce in anticipo la risposta rivelata a spegnere la domanda al suo sorgere. Il cristiano del passato riconosceva il Cristo anzitutto nella persona di Gesù, forse attraver­so i miracoli che operava sulle leggi della natura e sul corpo dei ma­lati. Il cristiano del futuro, visitato dalla spiritualità buddhista, rico­noscerà il Cristo nella natura che è dentro di sé e attorno a sé; poi, guidato dalla madre natura, riconoscerà in Gesù la personificazione del Cristo che tutto sostiene, tutto purifica, tutto guida alla risurre­zione in vita eterna. Sarà la natura che guida alla persona, come la catena montuosa sostiene lo scalatore che, passo dopo passo, sale il pendio della cima che si staglia alta nel cielo. Molti mistici cristiani hanno compreso la devozione mariana come l’approccio alla persona storica del Cristo, guidati dalla madre natura, identificata in quella donna che l’ha plasmato nel suo seno.

Nel terreno dissodato dal dialogo cristiano-buddhista crescerà la mistica della spontaneità che è lo scambio del bacio fra l’eternità e il tempo, il limite e l’infinito, l’uomo e Dio, l’uno e il molteplice. Nel buddhismo, mistica è il gioco della naturalezza, dell’armonia. Nel cristianesimo, mistica dice anzitutto la gratuità del perdono come via d’accesso all’amore. Il mistico cristiano percepisce la negatività del peccato come l’ambiente connaturale al gioco dell’amore di Dio. Gesù Disse: «Ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione». (Lc 15,7)

Il buddhismo scioglie la negatività nel silenzio; il cristiane­simo redime la negatività nel perdono dell’ amore. Questa è la punta di diamante della differenza mistica tra lo zen e il vangelo. Nel dia­logo con buddhismo, il cristiano scenderà più profondamente nella mistica della spontaneità dell’amore nel perdono. Un giorno, guidati dallo Spirito che nel dialogo svolge la parte principale, il cristiano potrà sciogliere anche gli assurdi che ancora non riesce a compren­dere; fra questi l’assurdo degli assurdi: come può esserci un inferno permanente, se nulla rimane rigidamente fuori dal perdono e dall’a­more del Cristo? Nel perdono, regola d’oro del gioco dell’amore, c’èla rega1ità del Cristo. C’è il vangelo. C’è il carisma cristiano. Dio che rimane solo Dio condanna il peccatore; ma Dio che diviene Cristo incarnandosi nel corpo umano offerto gli dalla madre natura in Ma­ria, raccoglie nelle sue mani forate ciò che Dio ha condannato. «Pa­dre, perdonali, perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34). Il sottoscritto è giunto a comprendere che l’ultima realtà è l’amore e non il castigo. Riconosco che l’ultima fisionomia è la risurrezione e non la morte. Tutto il resto non permane, ma è impermanente. «Vi dico: non mangerò la (cena della pasqua – del passaggio) più finché essa (la pasqua – il passaggio) non si compia nel regno di Dio» (Lc 22,16). Finché anche uno solo non è passato, il Cristo digiuna.Nel dialogo con il buddhismo, il mio teismo occidentale si con­verte in fede cristica. «Ad Antiochia per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani» (At 11,26).

[5] E. DOGEN, Bend6wa (Il cammino religioso), 31, Marietti, Genova 1991.

LUCIANO MAZZOCCHI cappellano della comunità cattolica di lingua giapponese di Milano

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