Lun 16 Giu 2025 Scritto da Maurizio Lari AGGIUNGI COMMENTO

Segrate, Auditorium comunale, 5 giugno 2025

Buddhismo

La testimonianza di Raimon Panikkar

Un inchino

Do inizio a queste mie riflessioni sul V volume dell’Opera Omnia di Raimon Panikkar sul Buddhismo, evocando due convinzioni da lui assodate nella sua ricerca e divenute riferimenti stabili del suo osservare, comprendere e testimoniare. La prima assodata convinzione è detta dal titolo di un suo libro: “Dialogo intra-religioso”. Intra-religioso è diverso da inter-religioso, termine comunemente usato negli incontri di gruppi religiosi differenti. Quindi non è tanto Raimon che si fermava a guardare le vetrine in cui le religioni mettono in mostra i loro assodati principi e riti, ma piuttosto è Raimon che fa dialogare le religioni con la sua umanità, con l’umanità della gente d’oggi. La seconda convinzione è il superamento della religione come appartenenza. L’appartenenza garantisce ai fedeli un raggiungimento low cost della maturità religiosa, tranquilli dentro il recinto. Raimon fu profeta della secolarità sacra, del sacerdozio laico, dell’uomo religioso maturo. Mi è grato evocare la voce profetica di Raimon a tre giorni dalla festa della secolarità sacra cristiana che è la Pentecoste, appunto questa prossima domenica.

Se il primo rapporto di Raimon con il Cristianesimo fu ereditato dalla madre catalana che chiese il battesimo per il suo neonato, e se il rapporto con l’Induismo si offrì al giovane Raimon occasionato dal fatto che il padre era indiano, portandolo a vivere anni e anni sulla riva del Gange, il rapporto con il Buddhismo gli si dischiuse dalla sua stessa ricerca del senso che sottostà alle svariate forme che si susseguono nella vita. L’incontro con il Buddhismo gli fu arrivo e partenza assieme. Il Buddhismo gli rimarrà la via dell’immediatezza e della naturalezza che separano e uniscono gli opposti.

Il dialogo intra-religioso di tre fedeltà

«Con questo libro desidero offrire intuizioni e ipotesi di ricerca filosofica e teologica, aperte a possibilità di nuovi frutti. Vorrei nello steso tempo essere fedele all’intuizione buddhista, non allontanarmi dall’esperienza cristiana e non separarmi dal mondo culturale contemporaneo. La prima fedeltà esige che, lasciandomi ammaestrare dal Risvegliato, sparisca; la seconda filiazione richiede che nel profondo esista un’esperienza trinitaria personalmente vissuta; la terza vocazione domanda un sacro rispetto della situazione concreta dell’uomo dei nostri giorni» (pag. 65).

Tre fedeltà in Raimon che scrive i testi di questo volume: Buddhismo, Cristianesimo e l’uomo d’oggi. Compito arduo, perché il Buddhismo storico ha fatto il suo percorso senza il confronto diretto con il Cristianesimo, e viceversa. Al riguardo scrive: “Ciò che è metodologicamente errato è criticare tale dottrina (dell’una o dell’altra tradizione religiosa – NDR) presupponendo quella opposta” (pag. 138). In altre parole, il dialogo vedendo l’altra religione come una tifoseria vede l’altra allo stadio. La duplice fedeltà al Buddhismo e al Cristianesimo che rende fecondo il dialogo tra le due religioni deve approfondire le radici nel silenzio da cui le due religioni sono germinate.

All’origine il silenzio.

Si deve riconoscere che il movente che ha mosso Raimon Panikkar a scrivere i testi sul Buddhismo raccolti in questo volume non fu il Buddhismo in quanto sistema religioso che ha preso forma nella storia, ma il silenzio da cui è vibrata e continua a vibrare la domanda che mette l’uomo in cammino. Cammin facendo, il cammino si è modellato nel sistema di pensiero e di vita chiamato Buddhismo. Nato dalla profondità del silenzio che precede le forme, ogni forma di Buddhismo costituitasi nei secoli è come il raggiungimento del crinale della montagna per lo scalatore. E’ una forma concreta di Buddhismo, ma non il silenzio da cui nasce ogni forma di Buddhismo e di ogni religione. Oltre il crinale, nuovi spazi e nuovo cammino. Certamente il fulcro d’interesse che ha appassionato l’autore a scrivere le testimonianze raccolte in questo libro è l’uomo, partendo da quello d’oggi e, nell’uomo d’oggi e attraverso di lui, l’uomo del passato e quello del futuro. L’uomo stesso è il silenzio che precede ogni religione e ogni cultura, da cui vibrano le domande che, cammin facendo, prendono forma di religioni e di culture.

AUTOS: il nudo fondo umano

Raimon resiste alla comoda tentazione di osservare il Buddhismo attraverso la lente interpretativa della sua appartenenza cristiana, ma pone la sua residenza nel nudo fondo umano che precede le formulazioni religiose, da cui le religioni hanno cominciato a prendere forma. Chiama questo nudo fondo umano: AUTOS. Altro nome: LA REALTA’. Raimon evoca sovente il nudo fondo umano del Gautama, come pure quello di Gesù, per non tradire l’esperienza originaria da cui nacquero le due testimonianze religiose. Gautama e Gesù furono, anzitutto, l’uomo e il suo silenzio. “Ciò che Buddha esige è un senso realistico di accettazione della realtà così come si presenta, una fiducia totale nella vita, in ciò che ci è dato, senza cercare di sostituire alla realtà le nostre idee personali” (pag. 50).

Evocando sovente la nuda realtà degli inizi storici del Buddhismo e del Cristianesimo, Raimon pone la sua residenza nell’uomo e nella realtà che è quest’oggi. “L’autos di questa autobiografia (di ogni ricercatore – NDR) è costituito da quel numero considerevole e sempre più crescente di nostri contemporanei che, tanto a Nord come a Sud, in Oriente come in Occidente, sembra aver perduto, per lo meno di vista, il mito unificatore della vita. Uomini che hanno lottato per conquistare la propria identità e che si sono visti costretti a sottoporre a critica radicale l’eredità delle rispettive culture tradizionali”. (pag. 80)

L’uomo d’oggi è per il Buddhismo e per il Cristianesimo il richiamo a rientrare nel silenzio

“L’uomo occidentale contemporaneo sente tutta la debolezza del teismo e si dimostra ugualmente scettico nei confronti dell’ateismo come risposta agli interrogativi sul senso ultimo dell’esistenza. L’uomo orientale ha troppo sofferto delle distorsioni delle proprie tradizioni, ma ugualmente resiste ad accettare in toto la soluzione straniera (occidentale – NDR) di una pura visione scientifica della realtà”. (pag. 82)

Raimon evoca l’escursus storico che ha condotto l’uomo orientale e quello occidentale all’attuale crisi di identità, dedicando pagine (23-41) a una profezia contenuta nell’antica leggenda Romavisaya: l’Occidente, identificato in Roma, è ricco di macchine che moltiplicano l’efficienza del lavoro – l’Oriente le importa a beneficio dell’efficiente diffusione del Dharma – ma alla fine le macchine uccidono i beneficiati. La macchina, riflette Raimon, è il pensiero scientifico che riduce la natura a oggetto per i suoi progetti di efficienza. L’efficienza raggiunta esonera l’uomo dal confronto diretto con la vita, riducendolo sempre più ad accessorio di fronte a ciò che accade. L’uomo, spiazzato dalla sua posizione, perde l’equilibrio e, di conseguenza, la forza per resistere alle allucinazioni. Allucinazioni sono le forme religiose e le ideologie che, assolutizzate, garantiscono la quiete a facile prezzo, così cara all’uomo indebolito, semplicemente attraverso l”appartenenza fideistica ad una organizzazione religiosa o ideologica.

“A che serve demitizzare Dio, ci sembra dire il Buddha in linguaggio moderno, se poi mitizziamo l’Uomo?” (pag. 223). L’Occidente, assolutizzando l’individualità, ha sostituito il Dio della tradizione cristiana con la Ragione e con il Progresso. L’Oriente, assolutizzando il legame di appartenenza, ha sostituito il Dharma con la compattezza di gruppo e con l’uniformità culturale e religiosa. Ambedue i processi, anche se opposti, conducono al silenzio. Ma il loro silenzio è morto. E’ morto il silenzio della Ragione che sottomette tutto alla legge del calcolo e dell’efficienza; è morto il silenzio dell’appartenenza di gruppo che cementifica l’individuo nell’uniformità.

L’a-teismo religioso come il battesimo dentro un nudo e vivo rapporto di Dio.

In questo libro, Raimon Panikkar si appassiona nel parlare dell’uomo moderno e ne legge le aspirazioni recondite nel silenzio in cui è radicato il suo sé, come quello di ogni uomo. Tale silenzio precede le distinzioni religiose a cui l’uomo si aggrega, per cui il discorso di Raimon viaggia liberamente descrivendo quella religiosità fontale che è prima dell’appartenere o no a una religione. Giunge così a formulare una espressione inusuale, ma che semplicemente è vera: l’a-teismo religioso. Ed è qui che Raimon esprime profonda riverenza al Buddhismo originario, come quella forma religiosa che, pur avendo ed essendo una forma, si è premunita di attenzioni per rimanere immune dalla tentazione di ridurre il silenzio originario a uno stadio definitivamente superato. Ovviamente il riferimento è al Cristianesimo che, identificandosi nel Logos incarnato, riduce il mytos a un’era primordiale ormai lontana nel tempo. Una religione sradicata dal silenzio originario decade in una impresa che fa affari attraverso cerimonie religiose allo scopo di carpire futuri vantaggi, come il rimando al paradiso. Raimon mette in rilievo che la vita vissuta come propensione verso il futuro fomenta l’attività della mente e il

profluvio delle parole; mentre l’uomo che vive presente al presente, avverte il bisogno del silenzio per penetrare la profondità del qui e ora in cui si trova. Scrive: “Se la meta si presenta catastrofica, per il fatto che viviamo in una civiltà senza futuro (né la razza umana né il pianeta sopportano il nostro tenore di vita), si capisce perché l’uomo occidentalizzato che vive immerso nel mito della storia si senta attratto da quelle culture che non vivono per il futuro” (pag. 70). Scrive ancora: “La speranza … non è del futuro, ma dell’invisibile. E’ l’aspirazione stessa dell’Essere non soffocata dai desideri della mente” (pag. 70).

A spingere Raimon Panikkar a testimoniare la via buddhista, lui sacerdote cristiano e figlio di padre indù, è il fatto che il Buddha ha riconosciuto il silenzio come il fondo originario della verità e il rientro nel silenzio come il modo di essere vero di ogni parola che viene proferita. E’ come dire che il modo di essere vero di ogni uomo è il suo rincasare nel silenzio in cui si snoda l’intreccio della sua esistenza. “L’intuizione del Buddha è quella della pura contingenza e, pertanto, la scoperta della mancanza di un soggetto ultimo delle azioni” (pag. 137). Soprattutto l’occidentale ambisce: “il perfectum… il costruito, il creato, il fabbricato, l’elaborato…”; soprattutto l’orientale ambisce: “il non costruito, il non creato, il non fatto, il non manu-fatto, il non elaborato…”.

Mi permetto citare un passaggio dall’epistolario tra il filosofo giapponese Takehiko Kojima e Martin Heidegger. Il filosofo giapponese lamenta che a causa della tecnica importata dall’occidente il Giappone è sprofondato nella piattezza del “fianco a fianco” di cose fatte in serie. “Il Giappone si sente sempre più richiamato dalle profondità della terra, in cui sente pulsare la fonte della vita. “Questo richiamo è diventato canto, dialogo Zen, haiku”, tuttavia, sottolinea Kojima, tale richiamo pone il Giappone fuori del divenire storico che ad oggi è la tappa delle installazioni tecniche. Fare un passo indietro e ritornare allo zazen indisturbato dalla tecnica recluso nei monasteri? Al che Heidegger afferma che il passo indietro da farsi non è il ritornare dentro ai monasteri, ma per uscire fuori dai monasteri, sulla strada del tempo. (C. Salvini, “L’Oriente di Heidegger”, il melangolo, p. 70-76). Ciò che non sa rigenerarsi dal silenzio che permea ogni qui e ogni adesso non è acqua sorgiva, ma acqua imbottigliata.

Il buddhista di facciata, occidentale e orientale, sta al gioco delle parole e conclude che il non costruito, il non fatto, il non nato ecc. è verità, mentre il suo contrario è illusione. “Buddha, a differenza di queste teologie, compie un vero salto mortale: il nulla non esiste, semplicemente <non è>; il vuoto non è vuoto di nulla; la trascendenza, se se ne vuole parlare, <è> tanto pura che non è… Buddha denuncia, per così dire, questa infinitudine che si lascia <pensare> dentro la realtà infinita. Buddha rinuncia a ogni affermazione a riguardo, ma non rinuncia alla parola o al pensiero sopra di esso non perché esista qualcosa che possa essere indicibile o impensabile, ma perché non c’è nulla da esprimere o da comprendere” (pag. 87).

La libertà dell’essere rispetto il pensiero

Panikkar esclama: “Le conseguenze sociologiche, anche per i nostri giorni, ci sembrano enormi” (pag. 149). Sì, l’essere rimane fondamentalmente libero di fronte al pensiero e alle parole con cui l’uomo tenta carpire e dire il senso dell’essere. “… potremmo introdurre l’argomento del libro riprendendo in esame la relazione tra pensiero e realtà. La libertà è la caratteristica ultima dell’Essere. Non c’è nulla di arbitrio, ma tutto è libero. Per questo nulla può essere pensato fino in fondo. Tutto si muove e si compie secondo la propria natura… In che cosa consiste questa libertà? Proprio nel primato, e per tanto nell’indipendenza dell’Essere, anche rispetto il Pensiero…. La libertà è il volto dell’Essere… Se si pensa Dio, questi in quanto oggetto si trasforma e si dissolve. Il pensiero corrode, ma la sua repressione asfissia” (pag. 89-90).

L’uomo moderno, in Oriente come in Occidente, si trova riportato alla sua nudità esistenziale proprio dalle strutture religiose che nei secoli ha costruito per solidificare le sue sicurezze. Denudato della sicurezza proprio dalle sue stesse sicurezze, l’uomo moderno sempre più diviene cosciente dell’inganno che si cela nel volersi costruire delle sicurezze. Panikkar è convinto che l’incontro schietto con il Buddhismo può aiutare il Cristianesimo a comprendere il Verbo incarnato non come la rottura o il superamento del silenzio originario, ma come il battesimo nel silenzio originario. “E mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio. Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini (I Cor 22-25).

Una considerazione: il Cristianesimo ha tenacemente riconosciuto l’originaria e fondante relazione di Dio in una sola natura sussistente nella distinzione di tre persone co-essenti: il Padre forza creatrice, il Verbo intelletto ordinatore e armonizzatore, lo Spirito Santo mytos d’amore e di bellezza. Ma non ha applicato con la stessa decisione la visione trinitaria sul cosmo e sull’uomo. Eppure è dalla visione trinitaria che sgorga il tocco mistico che anima la vita. Un condotto di cemento che porta l’acqua sorgiva del Monte Rosa a Milano è efficiente, ma neutro. L’acqua che ci giunge sgorgando dalla fonte, scorrendo nel ruscello tra anse e cascatelle, offrendosi quindi ai mille servizi e al conforto della vita, questa è mistica.

Una mia riflessione dalla testimonianza di Raimon Panikkar

Mi fu dato di conoscere R. Panikkar. In un incontro a due mi disse: “Io ho pensato, tu fa’. Questa riflessione è come un tentativo di risposta a quel suo invito-comando, come va maturando in me tramite la prassi del fare, ossia compiendo i doveri del vivere quotidiano, la pratica dello zazen e dell’eucaristia, in particolare dedicandomi al servizio del sacramento del perdono per circa 15 ore settimanali. Le persone confidano speranze e delusioni, gioie e dolori, senso di colpa e bisogno di respirare aria pura. Per me il primo luogo del silenzio originario a cui continuamente ri-battezzare quanto credo aver conosciuto ed ottenuto è proprio l’esistenzialità dell’uomo che mi sta davanti o di fianco. Raimon vi si cimentava tramite la ricerca intellettuale, a me di confrontarmi a tu per tu con l’altro negli incontri al confessionale. “Gioite con chi è nella gioia, piangete con chi è nel pianto” (Rom 12,15), raccomanda l’apostolo Paolo. Nel confessionale è un continuo dislocarsi nel tempo e nello spazio per essere lì, presente a condividere gioia e lacrime, senza fingere. Un vero ruscello dalle mille anse. “La carità non sia ipocrita” (Rom 12,9), raccomanda lo stesso apostolo nella Lettera ai Romani. L’immediatezza e naturalezza professate nel cammino buddhista, queste nella mia vita sono il gioire vero e il piangere vero, senza finzione, ma presente alla sorella o al fratello a me presente. L’esperienza del confessionale mi dischiude il senso profondo dell’aggettivo panikkariano: cosmoteandrico. A chiedere il perdono e a darlo sono due persone fisiche: i loro occhi si incontrano, i due volti si parlano, sovente all’addio le loro mani si stringono. L’invisibile onnipresenza di Dio diventa palpabile: la potenza del Padre che ricrea il vigore smarrito, la solidarietà redentrice del Figlio che si mette in cammino con l’uomo ricreato al suo vigore, e il fuoco o il vento dello Spirito che forgia la vita nella virtù e nell’arte. Nel trio trinitario, nessuno possiede, nessuno è posseduto, ma tutto è GRATUITO. Tutto è LIBERO. Tutto: anche il peccato, anche il dolore, anche la morte. Il Buddhismo aiuta me cristiano a non precipitare nel dualismo inguaribile che contrappone il bene al male e viceversa. Anche il serpente che ha tentato Eva è creatura di Dio, anche satana se esiste come ente è creatura di Dio. Proprio perché anche il male è nel silenzio originario, Dio non è il sommo bene perché terrebbe fuori il male; ma Dio è AMORE. Nell’AMORE il bene redime il male e il male redento apporta un più di gioia nei cieli, gioia preclusa ai 99 giusti che non necessitano di alcuna penitenza. Il Perdono è il Vangelo che testimonio, in cambio, al fratello buddhista. Nel vuoto del PERDONO Dio crea il nuovo, e i rifiuti si decompongono in fertilizzanti, e gli uomini già nemici si stringono la mano.

Concludo queste riflessioni evocando una delle sessioni a me più toccanti dell’Opera Omnia: “La pienezza dell’uomo: una Cristofania” (tomo 2 del volume III ). Cristofania, letteralmente: il Cristo che si manifesta, ha come soggetto tutto il genere umano in quanto avente come proprio AUTOS la posizione, ovvero la vocazione, a modellare in giustizia, pace e gioia il rapporto tra il creatore e la creazione, tra il cielo e la terra, tra la luce e la tenebra, tra il bene e il male. L’uomo è sacerdote, la secolarità è sacra e i sacrifici di tutti i viventi compartecipano alla realizzazione del regno della giustizia, della pace e della gioia. In quel silenzio fontale, anche Spartaco e i gladiatori crocifissi lungo la Via Appia, e anche gli immigrati che annegano in mare, anche le vittime delle guerre e degli odi, anche i bambini non nati … tutti sono il Cristo che ha redento e redime. Non vedo nulla, ma credo fermamente che l’ingiustizia sarà redenta dal genere umano, sacerdote del Dio che lo inabita.

Contemplato da quel silenzio tutto si auto-manifesta come dato gratuitamente. L’AUTOS di tutto è la gratuità. Quindi tutto è originario, tutto ha il fondamento del suo esserci dentro il suo esserci. Tutto è incondizionato e libero. L’AUTOS della libertà è la relazione, è la reciprocità, è il PER-DONO.

p. Luciano Mazzocchi

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