La stella del mattino – cammino religioso Vangelo e Zen
Milano, 22 ottobre 2025
Il violino, scordato, stona
L’esordio di ogni concerto non è la musica né il canto, ma la scena della diligente opera di ogni concertista che accorda il suo strumento. Il violinista può avere tra le mani uno Stradivari, ma deve pizzicare più volte quelle cordicelle affinché quella sera, in quel luogo, nella particolare circostanza che può essere di gioia o di lutto, abbiano ad offrire l’armonia attesa. La cordicella del violino offre una lievissima tonalità diversa se fatta vibrare nel caldo umido di una estate giapponese, oppure di un inverno gelido e asciutto di un paese del Polo Artico. Nel mentre il direttore d’orchestra, in silenziosa immobilità, verifica il concorrere dei toni accordati. L’accordo è la garanzia delle cose fatte per bene, in armonia. Il violino è un’immagine appropriata per indicare l’amore che unisce gli esseri umani, in particolare l’amore che accorda la donna e l’uomo a condividere il cammino della vita.
E’ con profonda afflizione che ascoltiamo le notizie dei tanti femminicidi. Ad ogni annuncio di violenza su una donna, a me sacerdote celibe viene spontaneo vedervi la propria madre, o sorella, o le bambine dagli occhi limpidi e dal volto sorridente che vivacizzano le mie celebrazioni liturgiche a volte piuttosto monotone. Un assioma giapponese dice che la bambina di 3 anni è l’apice della bellezza che è data sotto il cielo.
Vari femminicidi sono perpetrati nel momento particolarissimo della rottura di un rapporto di matrimonio, o di convivenza, o di fidanzamento. Non poche volte al femminicidio fa seguito il suicidio di chi ha ucciso. Con trepidazione, ma pure con deliberazione, mi soffermo a meditare. Questi casi evidenziano un disagio comune reciprocamente sofferto. Nell’unico gesto di togliere e di togliersi la vita, è il disperato grido di un uomo impazzito per il suo, ma egualmente reciproco, fallimento.
Certamente, ai nostri giorni, anche sulla sponda maschile c’è disagio e, non poche volte, c’è sofferenza. Il sistema di vita odierno vuole lo sposo e la sposa ambedue dediti all’attività lavorativa e il lavoro può assorbire fino a dover mettere la vita famigliare in second’ordine. La sposa, rientrata dal lavoro, istintivamente si riversa nelle incombenze materne assecondando l’altrettanto istintivo richiamo di affetto materno da parte dei bambini. Le poche ore da passare in casa non permettono a mamma e a papà di confrontarsi per una risposta condivisa da dare alle richieste dei figli. Insensibilmente il papà può sentirsi meno importante in casa, a volte quasi di peso. Forse per rivalsa, anche in casa può buttarsi nell’incombenza lavorativa, ambito dove detiene i meriti che lo appagano. Senza trepidare e sussultare insieme nel palpito della vita famigliare, il sacramento dell’amplesso matrimoniale che rinvigorisce l’amore sponsale perde fascino. Col tempo può scomparire.
L’ascolto quotidiano delle speranze e delle trepidazioni che le persone confidano a me sacerdote, mi evidenzia chiaramente che a monte sta un grave fraintendimento che ha disaccordato l’armonia originaria dei rapporti umani, nello specifico dei rapporti uomo – donna. Questo è l’intendimento della libertà individuale come un assoluto, come un dominio privato che esclude ogni interferenza.
La vita nasce come un dono e cresce alimentata dai doni della terra e del cielo. Al suo traguardo, persone care comporranno la salma esanime con le loro mani e, onorandola con un fiore, la consegneranno al riposo eterno. I principi della libertà come affare privato e dell’assolutezza del proprio “io”, ci disaccordano dall’armonia cosmica e sociale, ossia da ciò che la vita realmente è.
L’ “io” assoluto e la libertà come dominio privato, in realtà non si danno, e non possono darsi perché l’essere umano sussiste solo nella relazione vitale. L’ “io” assoluto e la libertà come dominio privato, a chi li ricerca, lasciano solo il vuoto.
L’amore di una giovane e di un giovane ha le radici nel loro cuore, e non in domini esteriori.
L’albero cresce robusto e bello grazie alla linfa che scorre dalle sue radici. Tuttavia ogni albero ha il suo ambiente, il suo campo in cui campare. Il campo per il faggio è la montagna, per la palma da dattero è il deserto. Il campo è vasto e aperto. L’ “io” assoluto e il dominio privato ed esclusivo della propria libertà non hanno che la serra dell’ “io” assoluto, non hanno che il dominio privato della propria libertà. Respirano la stessa aria che espirano. Molte convivenze, motivate come prove per vedere come va, sono serre rinchiuse nello steccato delle riserve trattenute. Non vi circola l’aria del campo aperto o della montagna. L’amore, per l’anemia del respirare la stessa propria aria espirata, non può maturare alla sua meravigliosa audacia. Non genera figli, oppure solo uno che accudisca alla vecchiaia dei genitori. La cultura delle convivenze è anemica.
Vinciamo l’epidemia delle depressioni e usciamo nel campo aperto delle relazioni e del confronto costruttivo. Abbandoniamo gli slogan assolutistici e le scorciatoie che sono i facili ricorsi giudiziari per addossare tutta la colpa dei disagi su un capro espiatorio e cosicché l’ “io” assoluto possa stare in pace respirando la propria aria che espira. Spegniamo il telegiornale quando ci presenta due avversarie fazioni che si feriscono reciprocamente lasciando intravedere il celato godimento provato nel ferire l’altro. Nessuno possiede la verità, perché la verità posseduta è di parte. Alla verità ci si apre e, gradualmente, vi ci si converte. Il cammino è lungo: diamoci la mano,
Mettiamoci all’opera per accordare i nostri strumenti musicali ad eseguire il concerto della giustizia, della solidarietà, della pace. Vedo nella presenza eucaristica del Figlio di Dio il direttore d’orchestra che, in silenziosa immobilità, raccoglie le nostre disparate tonalità nell’accordo divino ed eterno del Regno.
Oggi (22 ottobre) al confessionale dove accoglievo le persone sono convenuti anche 8 stranieri di passaggio a Milano: due messicani, una giovane coppia francese, madre e figlio polacchi, un giovane arabo, un giovane russo con a tracolla una vistosa chitarra. Mi sono dato da fare per riesumare le mie povere conoscenze delle lingue che ho studiato e del poco arabo che ho imparato a Mazara del Vallo. Povero tentativo! Ma sentivo presente il Direttore d’orchestra che, in silenziosa immobilità, accordava i cuori e le lingue nel concerto eterno.
p. Luciano

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