Sab 3 Set 2005 Scritto da Pierinux AGGIUNGI COMMENTO

Se il tuo fratello commette una colpa, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà neppure costoro, dillo all’assemblea; e se non ascolterà neanche l’assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano. In verità vi dico: tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo. In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro».

  • La via aspra della comunione senza maschere

Gesù è un profondo conoscitore del cuore dell’uomo e sa che l’accordo tra le persone è quanto di più difficile esista sulla terra; per questo il Vangelo di oggi ci pone la sfida più impegnativa. È facile sottomettere gli altri con la forza; è facile anche lasciarsi sottomettere dagli altri. A volte sia il sottomettere che l’essere sottomessi ci risulta perfino cosa comoda e vantaggiosa in vista di un quieto vivere. Ma concordare è molto difficile. Quando gli strumenti di un’orchestra sono accordati, la musica scorre come un tutt’uno nella varietà. Accordarsi, quindi, significa mettere in azione la propria individualità fino in fondo, e contemporaneamente la propria capacità di comunione con gli altri.

«Se il tuo fratello commette una colpa, va e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà avrai guadagnato tuo fratello».

Per accordarsi con il fratello il primo gesto che il Vangelo indica è il dialogo personale compiuto nel segreto. Come Dio trattiene nel segreto del suo cuore i peccati dell’uomo e lo corregge con pazienza e gradualmente attraverso i fatti della vita, nel momento giusto per l’uomo; così anche l’uomo deve trattenere nel segreto del cuore le offese ricevute dai fratelli e trovare il momento giusto per dialogare col fratello a tu per tu. Il mosto diventa buon vino proprio perché è trattenuto nella botte; così le vicende della vita, comprese le offese, diventano amore soltanto se noi sappiamo conservarle dentro di noi e non chiacchierarle fuori con i passanti. Nel silenzio anche i ricordi più duri si trasformano e diventa possibile non vedere soltanto lo sbaglio dell’altro, ma anche la causa che lo ha spinto a ciò. Nel silenzio anche il rancore si trasforma in compassione e amore. Gesù sulla croce scusò i nostri peccati davanti al Padre: «Non sanno quello che fanno». Dialogare col fratello che ci ha offeso è, dopo tutto, ricercare il suo volto divino, è ricercare Dio. Contemporaneamente è consapevolezza della propria energia divina, perché dialogare per accordarci con chi ci ha offeso esige l’audacia di riconoscere se stessi simili a Dio. È quindi un atto religioso, come quello di credere nella presenza del corpo di Cristo nel pane azzimo.

«Se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni».

Quando l’uomo non è in grado di accordarsi col fratello attraverso il dialogo personale, allora deve rivolgersi ai fratelli, affinché lo aiutino. Nessuno può sostituirsi nel perdonare il fratello che l’ha offeso; tuttavia gli altri fratelli possono dare quella mano preziosa che aiuta l’offeso e l’offensore a ritrovare dentro di sé il loro volto originario di fratelli. L’amico dell’uomo è il testimone della propria autenticità. Spesso il nostro rapporto con gli amici è come la dispersione dell’acqua da un recipiente bucato. Parole e parole che scorrono, senza lasciare traccia. Vi manca il silenzio che permetta alle parola di germogliare come il seme nella terra.

«Se poi non ascolterà neppure costoro, dillo all’assemblea».

L’assemblea è l’espansione più amplia dell’amicizia. L’assemblea indicata dal Vangelo è la Chiesa. Nella nostra Chiesa è tenuta in grande conto la confessione individuale al sacerdote per ricevere il perdono. Manca invece la grande via comunitaria del perdono che Cristo comanda nel Vangelo di oggi. È la grande via, perché attraverso il perdono dato e ricevuto in modo comunitario l’uomo si dischiude agli atteggiamenti più autentici e genuini, direi i più belli, che costituiscono la vita religiosa: la conoscenza profonda dell’uomo, dei suoi limiti e delle sue possibilità, la capacità di attendere, di dialogare, d relativizzare gli errori, di scoprire sempre nuove strade di conciliazione e di comunione.

«Se poi non ascolterà neanche l’assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano».

Sono parole severe del Vangelo che ci riportano a tu per tu con il limite dell’assemblea, nel caso della Chiesa. L’opera della Chiesa è condizionata dal suo stesso limite. La Chiesa può mancare di capacità di convincere, altro non c’è che riconoscere l’altro come un pagano: in altre parola la propria incapacità di annunciargli il Vangelo.
Nei monasteri dello Zen, quando, nonostante la pratica, un discepolo non entra nella via e il suo cammino non è autentico, viene dimesso in modo drastico. Non può fare appello a nessuno. La severità del trattamento e la solitudine che ne conseguono lo possono svegliare e un giorno portarlo a bussare al monastero con disposizione nuova. In certi momenti niente è salvifico come la severità e la solitudine della separazione.

* Comunità

Troviamo ogni tanto nel Vangelo delle indicazione che si riferiscono alla vita comunitaria. Non sono vere e proprie regole, nel senso della regola che armonizza la vita delle comunità monastiche: la comunità formatasi attorno a Gesù aveva certo caratteristiche diverse da qualunque monastero cristiano o non cristiano, prima di tutte la mobilità. Però, qualunque legislatore di comunità cristiane successive ha senz’altro tenuto e tiene in gran conto quelle indicazioni che troviamo nel Vangelo relative al vivere assieme. Siccome qualunque comunità religiosa affronta i problemi e gode le gioie che derivano dal vivere insieme, finalizzato a proteggere e mettere in atto lo stesso principio, è interessante accostare alla lettura del Vangelo quella di altri testi non cristiani che trattano della vita comunitaria. Non testi di regole, cioè che impostano le norme della vita comunitaria, ma espressioni e parole che dalla vita comunitaria traggono origine e senso.

Nel buddismo Zen c’è un libro esemplare, frutto squisito della vita di un monastero, che vorrei fosse conosciuto in un ambito più vasto degli appartenenti a comunità buddiste. Ho già avuto occasione di citarlo, e spero un giorno di poterlo presentare in italiano integralmente. Si tratta dello Shoboghenzo Zuimonki, una raccolta di detti, aneddoti, insegnamenti di Doghen, raccolti in forma di testo scritto dal suo discepolo e successore Koun Ejo (1198- 1280). Sono resoconti di discorsi, di dialoghi, di conversazioni, che nascono dai problemi che la vita monastica pone, relativi quindi al seguire la via e al farlo insieme ad altre persone. Mantengono inalterata tutta la freschezza di una problematica viva e vivace, e stupiscono per l’attualità che esprimono, a dimostrazione che il tempo trascorso e la diversità di ambito culturale non mutano gli elementi essenziali di una via universale.

Cito due passi che si riferiscono all’atteggiamento da tenere gli uni nei confronti degli altri in una vita così complessa come quella pur semplice di un monastero, quando si sta fianco a fianco ventiquattrore al giorno per anni interi.

«Doghen disse: “Non usate un linguaggio cattivo per rimproverare o dire male dei monaci. Anche se sono disonesti o cattivi, non portate rancore ne loro confronti e non insultateli a cuore leggero. Prima di tutto, per cattivi che siano, quando più di quattro monaci si radunano, essi formano una Sanga (comunità), che è un tesoro che non ha prezzo per tutto il paese. Questo fatto deve essere tenuto nella massima considerazione e rispetto. Se siete un abate, o un monaco anziano, o un maestro, o un istruttore, nel caso in cui i vostri discepoli siano in errore, li dovete istruire con cuore misericordioso e materno. Perciò, quando colpite quelli che devono essere colpiti o rimproverate quelli che devono essere rimproverati, non permettetevi di umiliarli od i far nascere sentimenti di antipatia […]

Quando vedete gli errori di qualcuno e pensate che sia in difetto, e desiderate dare indicazioni con spirito compassionevole, dovete trovare un sistema appropriato per evitare di suscitare risentimento, e farlo come se steste parlando di altro”» (Zuimonki, 1-7).

«Durante un sermone Doghen disse: “Anche se parlate secondo verità e un’altra persona dice qualcosa di non corrispondente alla verità, è sbagliato sconfiggerlo con argomentazioni basate sul ragionamento. D’altra parte, non è bene arrendersi frettolosamente dicendo di essere in errore, pur pensando che la propria visione è corretta. Non si deve ne sconfiggere l’altro né recedere dicendo di essersi sbagliati. Il meglio è sospendere la questione e smettere di discutere. Se vi comportate come se non aveste udito e dimenticate il problema, anche l’altro lo dimenticherà, e non si irriterà. Questo è un punto molto importante da tenere a mente”» (Zuimonki, 1-10)

Indicazioni di questo genere nascono dallo spirito di convivenza: non sono consigli per il quieto vivere, ma per l’armonia della vita in comune, quando essa è indirizzata non al vantaggio personale e neppure alla prosperità comunitaria, ma a seguire l’indirizzo che ha portato le singole persone a radunarsi per aiutarsi l’un l’altro, sapendo che uno da solo è più portato a cedere alle proprie debolezze e alla propria presunzione. Allora la vita insieme è più grande delle opinioni dei singoli componenti della comunità, per giuste o sbagliate che siano. Un maestro diceva che la vita comunitaria è come lavare tante patate insieme nello stesso stretto recipiente: urtandosi l’un l’altra, con le loro stesse asperità, si puliscono l’un l’altra. Questo vale anche per comunità non monastiche, a partire dalla famiglia, fino alle grandi comunità sociali. Ciò che importa è identificare l’aspirazione comune, che assorbe e indirizza le energie individuali, usando tanto i pregi che i difetti dei singoli.

Padre Luciano Mazzocchi

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