di Ernesto Olivero – tratto dal numero 1 del periodico Interdipendenza
Dobbiamo trovare un modo di esistere e coesistere. Un contesto di solidarietàvera, un sano clima di reciprocità, a partire dalla giustizia e dai diritti umani aiuterà tutti. L’unica chiave che ci fa incontrare e dialogare con l’uomo di oggi – afflitto da troppe angosce e paure, incapace di reagire all’indifferenza, di pensare e realizzare i legami con gli altri nei termini dell’amore – è un cuore disarmato, è la bontà che non è buonismo generico alla vogliamoci bene.
Le rivendicazioni, le ideologie, le mode culturali, il progresso tecnico e scientifico, la ricerca esasperata della supremazia economica non sono in grado di far incontrare gli uomini e le donne del nostro tempo. È la bontà che ci rende ricercatori di giustizia, persone solidali, che crea legami di amicizia e di solidarietà in grado di superare le barriere fra le culture, le religioni, i sistemi politici, le società.
I buoni non sono stranieri e non si sentono estranei in nessuna parte del mondo. Chiunque di noi può diventare buono. Oggi la gente comune, gente di buona volontà, può fare qualcosa per capire, per vivere, per realizzare legami di pace duraturi che uniscono senza tarpare le diversità. La pace nasce dall’equilibrio ristabilito: chi ha fame è sfamato, chi è nel dubbio è ascoltato, a chi ha sbagliato è offerta una possibilità di cambiare, chi è malato è curato, chi è straniero è accolto, chi è in carcere non è abbandonato, chi è giovane ha futuro. Non accettiamo le migliaia di morti quotidiane per fame e malnutrizione, non accettiamo lo spreco delle risorse della terra.
Non accettiamo che solo una piccola fetta di umanità abbia accesso alle cure, all’istruzione, ai diritti universali, alle libertà politiche e religiose. Non accettiamo che un cumulo immenso di risorse economiche sia bloccato nella costruzione di armi. Non accettiamo che i giovani non abbiano più fiducia nelle istituzioni. Non accettiamo un’economia senza regole, che va a caccia di profitti a qualunque costo, calpestando spesso la dignità e i diritti delle persone. Non accettiamo le disuguaglianze e le discriminazioni. Non accettiamo di vivere da rassegnati, disposti ad accogliere come inevitabile qualsiasi tragedia, qualsiasi sopruso, qualsiasi guerra perché tanto – si sa – così va il mondo. Scegliamo la pace, sentiamoci operatori di pace, pacificati e pacificatori che fanno gesti concreti di pace ogni giorno, sono pronti a chiedere e a dare perdono, non hanno nel loro vocabolario parole come odio, nemico, infedele; si commuovono di fronte alle sofferenze e alle ingiustizie e subito si danno da fare per cercare rimedi efficaci. Scegliamo il dialogo, pratichiamo sempre e comunque il dialogo, ad oltranza, senza lasciarci scoraggiare dai fallimenti, ricominciando da capo, se occorre.
L’ascolto e la parola, uniti a gesti che rendono credibili le parole, sono strade sicure per progettare relazioni fra i popoli e le persone che siano segnate dalla giustizia, dal rispetto dei diritti fondamentali, dalla solidarietà.
Facciamo tutti un passo indietro verso la purezza delle nostre origini. Valorizziamo quanto unisce e ridimensioniamo ciò che ancora ci separa. Se guardiamo la storia passata, sono così tanti i torti e le ragioni che nessuna parte in causa può sentirsi così innocente da scagliare la prima pietra. Chi vuole la pace sradica l’idea di “nemico” dal proprio vivere quotidiano, riscoprendo la gioia del perdono, del vivere da fratelli. Giovanni Paolo II, a nome della Chiesa cattolica, ha tracciato la strada giusta: saper chiedere perdono. Ci auguriamo che anche le altre religioni, le altre culture, le altre ideologie colgano la novità dell’autocritica.
Le polemiche non fanno altro che amplificare l’odio, quest’odio terrificante. Mi piacerebbe inaugurare un nuovo tempo dove non ci si divide più in credenti-non credenti, non cristiani-cristiani, sinistra-destra, bianchi-neri, poveri-ricchi. Un tempo in cui non contano le ideologie e le strumentalizzazioni religiose che dividono, ma contano i fatti: di giustizia, di pace, di riconoscimento dei diritti umani. Dobbiamo ammettere che oggi nessun leader religioso o politico ha l’autorità morale per dire basta alle stragi e alla violenza perché nessuno di loro si mette sul serio in ascolto del grido di dolore dei miseri, di chi patisce violenza, fame e malattie, nessuno è pronto a intervenire per curare, sfamare, guarire, accogliere. Solo agendo così i leaders laici e religiosi conquisteranno sul campo l’autorità morale per dire no alla fame, agli attentati suicidi, ai muri, alle guerre, alle ingiustizie.
Dobbiamo avere il coraggio del disarmo, del cuore disarmato che sa tramutare le armi in strumenti di lavoro e di giustizia. Come si può sprecare migliaia di miliardi in armi -dal nord al sud, dall’est all’ovest- di fronte alla fame che uccide 30.000 persone ogni giorno?
Dobbiamo aprirci ancora di più, aprirci per capire, per amare, non chiuderci a riccio con il pretesto della sicurezza, con il pretesto della paura. Per chi crede deve esserci un ritorno a Dio, per chi non crede il recupero della eticità in ogni ambito della vita, per tutti l’attenzione costante per i miseri della terra, per la loro dignità di donne e di uomini.
4 ottobre 2005 festa di San Francesco
Ernesto Olivero
fondatore del Sermig