Gio 1 Dic 2005 Scritto da Padre Luciano AGGIUNGI COMMENTO

Inizio del Vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio. Come è scritto nel profeta Isaia: Ecco, io mando il mio messaggero davanti a te, egli ti preparerà la strada. Voce di uno che grida nel deserto: preparate la strada del Signore, raddrizzate i suoi sentieri. Si presentò Giovanni a battezzare nel deserto, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Accorreva a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, si cibava di locuste e miele selvatico e predicava: «Dopo di me viene uno che è più forte di me e al quale io non son degno di chinarmi per sciogliere i legacci dei suoi sandali. lo vi ho battezzati con acqua, ma egli vi bat­tezzerà con lo Spirito Santo».

* L’inizio del Vangelo

Oggi, seconda domenica di Avvento, la Chiesa ci fa ascoltare l’i­nizio del Vangelo secondo Marco. Lo ascoltiamo ricordandoci del messaggio della fine: «Vegliate», del Vangelo di domenica scorsa.

Gli studiosi della Bibbia ritengono che il Vangelo secondo Marco sia il più antico, scritto nella redazione attuale verso il 64, una trentina d’anni dopo la morte e risurrezione del Signore. Marco era discepolo di Pietro, l’apostolo particolarmente vicino al maestro. Senz’altro, attraverso Pietro, aveva conosciuto molti e molti partico­lari della vita di Gesù. Ciononostante il suo Vangelo è il più conciso e breve. Contro le nostre aspettative, Marco non ha ritenuto neces­sario né utile prodigarsi in descrizioni su Gesù e sulla sua vita. Non ci dice nessuna parola sulla sua infanzia, dove e come è nato a Be­tlemme ecc. Su Maria Marco ha, in tutto il Vangelo, un solo ac­cenno, quando la madre, i fratelli e le sorelle andarono a cercarlo per ricondurlo a casa: «Allora i suoi, sentito questo, uscirono per an­dare a prenderlo; poiché dicevano: è fuori di sé» (Mc 3,21).

L’unica presentazione di Maria che Marco inserisce nel suo Van­gelo è quella di una donna preoccupata per la sorte di suo figlio; non riusciva a comprendere fino in fondo perché avesse lasciato la casa e i parenti per seguire quella strada. Maria, nel Vangelo di Marco, è una donna vera, senza aureole e privilegi.

Il Vangelo secondo Marco si apre con queste parole: «Inizio del Vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio». Qui il termine Vangelo com­pare per la prima volta nella letteratura mondiale. Era stato coniato da Gesù stesso per dare il nome al suo insegnamento e, come è noto, significa buona novella, bella notizia. Marco ne fa un uso molto so­brio: riporta questo termine cinque volte soltanto. Anzitutto all’ini­zio (nel testo citato sopra), e alla fine, quando Gesù risorto invia gli apostoli ad annunciare il «Vangelo ad ogni creatura». Sempre nel primo capitolo (1,15), quando Gesù per la prima volta parla alla gente e dice: «convertitevi e credete al Vangelo». Le altre due volte Gesù usa la parola Vangelo sempre e solo in riferimento alla croce (10,30-14,9). Vangelo è quindi una parola chiave per cogliere l’es­senza del messaggio di Gesù. Anzi, il Vangelo è esso stesso essenza di verità, spoglio di ogni fronzolo devozionale o pietistico. Il cri­stiano che spesso medita il Vangelo e si confronta con esso conserva una visione essenziale della realtà e discerne i valori veri, come un albero forte grazie alle sue radici profonde.

«Preparate la strada del Signore, raddrizzate i suoi sentieri». Il Vangelo secondo Marco inizia con il grido di Giovanni il Battista nel deserto. Giovanni, a tutti coloro che si recavano da lui nel deserto, faceva appello alla conversione, per essere perdonati e disporsi al­l’accoglienza del Messia.

È importante soffermarsi alquanto e chiedersi come mai Marco, che non ritiene importante narrare dove e come Gesù sia nato, in­vece pone all’inizio del Vangelo l’appello di Giovanni alla conver­sione: «Preparate la strada del Signore, raddrizzate i suoi sentieri». Anche la descrizione che Marco fa di Giovanni, «vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, si cibava di lo­custe e miele selvatico», rende più incisivo l’appello alla conversione.

Se a noi restasse soltanto il Vangelo secondo Marco, non sa­premmo nulla della capanna, degli angeli, dei pastori, dei re magi, della stella ecc. Non avremmo mai ideato il presepio, né composto gli inni natalizi. Ci può sembrare che avremmo perso molto. Invece, per chi sa discernere l’essenza del Natale, non avremmo perso nulla. Infatti il vero Natale non è fatto di folclore, ma consiste nel natale del cuore nuovo dentro di noi. In altre parole nella conversione alla quale Giovanni ci invita con la sua possente voce di eremita del deserto.

Il deserto richiama la pratica dello zazen, metodo molto fecondo per purificarci dalle attese stimolate dagli attaccamenti. Potessimo sperimentare un Natale genuino, evangelico, senza aggiunte di sorta! Un Natale che non ha bisogno di abbellimenti e di decora­zioni! Un Natale della vita!

Giovanni è maestro maturo e umile, cresciuto nel silenzio del de­serto della vita. L’umiltà è l’inizio del Vangelo.

P.Luciano

* Il deserto e la foresta

Se il Vangelo di domenica scorsa era come un’indicazione del cammino nella sua globalità, il Vangelo odierno segna l’inizio del percorso vero e proprio: dopo aver considerato le cose dal loro punto definitivo, ora torniamo all’inizio anche cronologico del sen­tiero. La partenza è situata nel deserto: dal deserto viene la voce che apre la strada al messaggio cristiano, deserto è il luogo in cui la si può intendere e seguire. Questo deserto è innanzitutto il luogo della propria solitudine, è il rendersi conto che ognuno di noi è completa­mente solo: io solo sono io, io solo vivo la vita di io, io solo muoio la morte di io. Raramente prendiamo seriamente in considerazione questo punto così tanto significativo: tendiamo a sorvolare sulla no­stra solitudine o a fame un dramma, tendiamo a correre fra le braccia di un tu che riscaldi il freddo solitario di io. Eppure, senza aver incon­trato io faccia a faccia nella solitudine del suo deserto, rischiamo che ciò che chiamiamo tu sia il miraggio di un rifugio illusorio.

Il buddismo è la religione dell’incontro con io solo: è questo il passaggio obbligato, il battesimo iniziale di immersione nella realtà in cui siamo già immersi al momento di nascere. Per questo credo che l’incontro del buddismo con il cristianesimo sia necessario e fe­condo: perché il cristianesimo è la religione dell’incontro con tu solo (Cristo) e l’incontro di io solo/tu solo è un ulteriore passo verso un abbraccio più completo della verità.

Quello che per il cristianesimo è il deserto, per il buddismo è la foresta. È addentrandosi nella foresta che Budda incontra se stesso, è uscendo dalla foresta che inizia la sua predicazione. Non si potreb­bero immaginare due aspetti della natura più differenti del deserto e della foresta, e forse si può dire che l’incontro fra il Vangelo di Cri­sto e la Via di Budda è, anche, l’incontro del deserto e della foresta. Sono due luoghi che indicano due diverse estremità di una stessa na­tura, eppure nell’intimo sono molto simili. Entrambi sono luoghi crudi, dove non è facile vivere, che l’uomo non riesce a domare con la sua volontà e il suo ingegno, ma che deve prima di tutto accettare come sono: sono luoghi eccessivi, l’uno nella privazione l’altro nel ri­goglio, che obbligano a un rapporto senza mezzi termini. Chi è stato nel deserto sa come è caldo il giorno e come è fredda la notte, come è preziosa l’acqua e come brillano le stelle. Chi è stato nella foresta sa come è frusciante il giorno e come è inquieta la notte, come bagna la pioggia e come è verde il verde. Nel deserto ogni cosa si staglia netta, con un’ombra sola, e sorgono miraggi in tanta luce. Nella fore­sta la visione è circoscritta, ogni cosa si nasconde dietro un’altra, e si sviluppa la vigilanza e l’attenzione. Sono i luoghi in cui non si può fingere, in cui non c’è spazio per divagare: richiedono tutto me stesso per non soccombere.

Il battesimo del deserto è veramente il battesimo che precede il battesimo: è l’immersione nella realtà della propria esistenza così come è, nuda e cruda, senza tanti orpelli: solitaria, impietosa, perico­losa. Senza rendersi conto che siamo immersi in questa realtà, che èinteriore ed esteriore, non può nascere il cuore di conversione, che solo il passaggio attraverso la realtà suscita. Il battesimo dell’acqua è lavarsi dalla polvere del deserto dopo esserci passati attraverso, per­ché cada il velo dagli occhi e il cuore si apra allo spirito che soffia sul deserto, che penetra nella foresta.

Jiso

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