Gio 29 Giu 2006 Scritto da Pierinux AGGIUNGI COMMENTO

La fede che salva dalla sofferenza

Essendo passato di nuovo Gesù all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla, ed egli stava lungo il mare. Si recò da lui uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, vedutolo, gli si gettò ai piedi e lo pregava con insistenza: «La mia figlioletta è agli estremi; vieni a im­porle le mani perché sia guarita e viva». Gesù andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.

Ora una donna, che da dodici anni era affetta da emorragia e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla, alle sue spalle, e gli toccò il mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita». E su­bito le si fermò il flusso di sangue, e sentì nel suo corpo che era stata guarita da quel male. Ma subito Gesù, avvertita la potenza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi mi ha toccato il man­tello?». I discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che ti si stringe attorno e dici: Chi mi ha toccato?».

Egli intanto guardava intorno, per vedere colei che aveva fatto questo. la donna impaurita e tremante, sa­pendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Gesù rispose: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».

Mentre ancora parlava, dalla casa del capo della sinagoga vennero a dirgli: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo. della sinagoga: «Non te­mere, continua solo ad aver fede!». E non permise a nessuno di se­guirlo fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava. Entrato, disse loro: «Perché fate tanto strepito e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». Ed essi lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la ma­dre della fanciulla e quelli che erano con lui, ed entrò dove era la bam­bina. Presa la mano della bambina, le disse: «Talità kum», che signi­fica: «Fanciulla, io ti dico, alzati!». Subito la fanciulla si alzò e si mise a camminare; aveva dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. Gesù raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e ordinò di darle da mangiare.

* Il tocco della fede

La donna riuscì a toccare il mantello di Gesù. Fece tale gesto in gran segreto, senza che nessuno se ne accorgesse, fuorché Gesù, il quale si voltò e domandò chi l’avesse toccato. Tutti si accalcavano attorno a lui e lui domandava: «Chi mi ha toccato il mantello?». Molti lo toccavano proprio allo scopo di farsi notare, ma Gesù non avvertiva nulla. Invece al tocco discreto della donna egli sentì una potenza fuoriuscire da sé. Era avvenuto in Gesù qualcosa che non dipendeva dalla sua volontà umana, ma come per una legge supe­riore a Gesù stesso, verso cui Gesù era come uno strumento. Cosìegli si stupisce e chiede chi è che l’ha toccato: ossia chi aveva coman­dato all’energia che è in lui di sgorgare e mettersi in azione. Dio ob­bedisce al cuore umano che prega con sincerità, ne è quasi in balia; mentre la preghiera recitata con superficialità o frivolezza nemmeno scalfisce il suo cuore. La vera fede dell’uomo è onnipotente e co­manda all’onnipotenza di Dio.

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«Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male». A salvare la donna è stata la sua fede. Cristo è inviato per ri­velare all’uomo la potenza della sua fede: in altre parole a liberare l’uomo dalla devianza del devozionalismo fideista e a introdurlo nella vera fede. Cristo sta davanti all’uomo per ricordargli la sua grandezza e la sua potenza. Gesù disse anche: «Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla» (Gv 15,5). Il fideismo è credere in Dio perché non si crede in se stessi. Anzi, ci si svaluta e ci si disprezza. La vera fede è invece cre­dere in Dio credendo in se stessi, o credere in se stessi perché si crede in Dio.Non esiste nulla che non sia tutto dono di Dio e non esiste nulla che non sia insieme tutto sforzo dell’uomo e della natura. Quando tra l’uomo che ricerca e Dio che dona non rimane alcuna distanza, alcuna discrepanza, allora la grazia viene riversata: il vaso pieno ri­versa nel vaso vuoto. Allora tutto è dignitoso e ovvio, perché nulla ènaturale come il fatto che il vaso pieno riversi nel vaso vuoto. La gra­zia è la fonte che sgorga e lo sforzo dell’uomo che diventa preghiera è il fiume che scorre. La fonte crea il fiume e il fiume richiama la fonte, le dà significato, la rende utile riversando la sua acqua nella vasta pianura della vita di tutti gli esseri. Che varrebbe una fonte se non disponesse di un fiume in cui far scorrere le sue acque? Che var­rebbe un fiume se non avesse acqua che scorre? Che varrebbe Dio onnipotente se non ci fosse l’uomo che mette in moto quell’onnipo­tenza? Che varrebbe l’uomo che prega e si sforza se non comuni­casse con la fonte che esaudisce la sua preghiera? L’uomo umile èonnipotente e la grazia di Dio obbedisce alla sua preghiera, come l’acqua della fonte irresistibilmente si affida all’alveo del fiume che l’accoglie e la fa scorrere. Quando l’uomo ha esaurito tutto il suo sforzo, la sua mano tocca Dio.

p.Luciano

* Il miracolo che avviene sempre

Il lungo brano del Vangelo che ci è proposto per questa dome­nica riferisce di due miracoli che si intersecano fra loro. A una prima lettura sembra di essere di fronte a una manifestazione di straordi­nario potere da parte di Gesù, il quale, richiesto di intervenire in aiuto di una fanciulla moribonda dal padre di lei, non solo la guari­sce, ma addirittura, quasi inconsapevolmente, compie un’altra guari­gione miracolosa mentre è sulla via per andare a operare l’intervento richiesto.

Eppure, se leggiamo con attenzione il testo, se non ci lasciamo frastornare dall’atmosfera della scena, rumorosa, drammatica e an­che un po’ trionfalistica, ma tendiamo l’orecchio alle parole di Gesù, a quanto ci sta dicendo per mezzo di questi due casi contingenti e al di là di essi, ecco che l’elefuento miracolistico è relegato in secondo piano, al ruolo di un pai6 di eventi avvenuti venti secoli fa e di cui
non resta traccia alcuna, mentre attuale, presente e operante si ma­nifesta per noi l’indicazione che Gesù ci offre.

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In entrambi i casi le parole di Gesù dicono con chiarezza estrema come egli opera e come ognuno di noi deve operare. Dicono nel modo più esplicito che l’attore sei tu: «Figlia, la tua fede ti ha sal­vata»; «Non temere, continua solo ad aver fede». (In realtà qui il greco è lapidario, dice: Non temere, solo credi tratteggiando in quat­tro parole il percorso ideale di un’intera vita). A salvare non è l’atto miracolistico di un personaggio superpotente che detiene chissà quali capacità o chissà quali benemerenze presso Dio, e che dispensa i suoi poteri perché mosso a compassione dalle sofferenze di” noi po­veretti. Che non sia così lo dimostra inequivocabilmente l’episodio della donna che soffriva di emorragia. In quel caso Gesù non fa asso­lutamente niente, si accorge soltanto che qualcuno si è accostato a lui in modo un po’ diverso da tutti gli altri che gli stavano attorno. Quella piccola diversità è la chiave di tutto. A salvare, infatti, è l’atto di fede che tu esprimi quando sei giunto al limite delle risorse umane, quando non puoi far altro che credere e basta. Lo straordi­nario di questi due episodi che il Vangelo ci narra non sono le guari­gioni, ma il fatto che questi due personaggi, maltrattati dalla vita in modo crudele, non si abbandonano alla disperazione, non maledi­cono il destino, ma, al di là di ogni ragionevolezza, hanno fede. Lo straordinario di Gesù non è di essere capace di operare guarigioni: è quello di riuscire a stimolare la fede in ciascuno, anche e soprattutto in chi avrebbe tutti i motivi per essere del tutto sfiduciato. Ecco al­lora che tutto è alla nostra portata: ognuno di noi quando ha esaurito le proprie umane risorse può abbandonare anche il proprio rancore verso la vita e aprirsi alla fede, anche senza darle alcun nome, e ognuno di noi, piccolo o grande che sia, può operare nei confronti degli altri come Gesù, per risvegliare la risposta di fede che risiede in ciascuno: penso che ciascuno di noi abbia fatto esperienza di questa realtà nella propria vita, in entrambi i ruoli.Non pensiamo, allora, nel leggere o nell’ascoltare il Vangelo di oggi, che ci stia raccontando le storie di una donna guarita all’im­provviso da una fastidiosa malattia e di una bambina uscita dal coma, duemila anni fa: sono pieni i giornali di oggi di casi del genere. Non facciamo a Gesù questo torto. Cerchiamo invece di cogliere dove, nella nostra vita vissuta, le sue parole sulla fede che salva cor­rispondono alla verità dell’esperienza. Nel fare zazen, per esempio, dove siamo sempre al fondo delle umane risorse, specialmente quando farlo ci costa fatica e dolore, e solo la fede allora ci salva; op­pure nel nostro essere genitori, insegnanti, guide spirituali, discepoli, amici, figli, mariti, mogli, compagni di altri esseri umani, in tutte quelle relazioni dove sappiamo che, alla fin fine, il bene più grande che possiamo comunicare è quello di dare uno stimolo perché si ri­svegli quell’atto di fede che permette di compiere il salto al di làdella paura: Non temere, solo credi!

jiso

* Andare oltre la mente e trovare lo spirito

Nel mese di luglio del ’92 sono stato male, ho sofferto di inson­nia, ansia, stanchezza, capogiri. Essendo medico e avendo escluso al­tre malattie, mi sono autodiagnosticato una sindrome ansioso-de­pressiva. I sintomi continuavano e si aggravavano. Mi trovavo in una località di villeggiatura e un giorno, era di sabato, ho incontrato un povero che conoscevo. Era solo, malridotto, sporco, con la camicia sudata e sgualcita. Mi sono fermato, l’ho salutato, ho parlato con lui. Mi ha detto che aveva dove dormire e mangiare. Gli ho dato dei soldi, ma mi ha chiesto una camicia. L’indomani, al mio risveglio, ho pensato subito che dovevo prendere una delle mie camicie e portar­gliela a messa (sarebbe andato a elemosinare davanti alla chiesa). Improvvisamente, mi sono sentito meglio, non avevo più il males­sere dei giorni precedenti, anzi sono stato pervaso da una grande gioia. Ho pensato allora che il Signore voleva dirmi qualcosa.

I giorni successivi, però, i miei sintomi sono ricomparsi, e sono continuati per tanti mesi. Perché non guarivo? Avevo provato con un farmaco antidepressivo, ma non era servito a nulla. Accettavo la sofferenza come una prova a cui il Signore mi chiamava, ma questo non bastava a farmi stare bene. Pensavo e ripensavo a ciò che mi era accaduto, alla gioia che mi aveva dato un atto di carità, al mio rap­porto con il Signore. Era la primavera inoltrata del ’93 quando una mattina, appena svegliato, riprovando lo stesso malessere di tanti mesi, mi ha preso un grande sconforto, mi sono messo a piangere e dal profondo del cuore ho chiesto aiuto a Cristo. Ed è stato proprio allora, nel momento che mi sono sentito una nullità, che improv­visamente sono guarito. Con mia grande sorpresa, il malessere è pas­sato d’un colpo: stavo bene, ed ero felice. Da quella mattina la mia malattia non è più tornata. Questa esperienza mi ha dato la fortuna di radicare in me ciò che questo passo del Vangelo di Marco mi aveva già detto, ma che non avevo capito: è la fede, quella auten­tica, che ci guarisce, ci risuscita, ci salva. Solo nel momento in cui ho avuto veramente fede, cioè solo quando mi sono visto una creatura piena di limiti, solo quando ho perso ogni orgoglio della mente e mi sono abbandonato con tale fiducia a Cristo, io sono guarito.

Qualche altro passo della Scrittura ci aiuta a capire perché è così. Mt 16,17 e 1Cor 12,3 ci rivelano che è lo Spirito Santo che suscita in noi la fede, essa è un dono di Dio. Ma lo Spirito dev’essere accolto da parte dell’intelletto e della volontà dell’uomo. Quando questa ac­coglienza è totale, la fede è perfetta: la mente ha lasciato ogni spazio allo Spirito. Lo Spirito dà la vita (Gv 6,63; Rm 8,11), ecco perché la fede guarisce, risuscita, salva. Una conferma di ciò ci viene dalle pa­role con cui Luca descrive la risurrezione della figlia di Giairo: «il suo spirito ritornò in lei e si alzò all’istante» (Lc 8,55).

Giunti a questo punto, non può sfuggirci la vicinanza tra il Van­gelo e il buddismo Zen, tra l’invito di Cristo a convertirci e a cre­dere e la pratica dello zazen. Sia attraverso la fede che attraverso lo zazen, noi andiamo oltre la nostra mente e il nostro piccolo ego e troviamo una realtà che è prima del pensare e dell’agire, e che sta dentro di noi. Benché indicibile, per indicarla i buddisti la chia­mano grande Sé, i cristiani Spirito Santo. L’episodio della figlia di Giairo suggerisce una vicinanza profonda tra cristianesimo e buddi­smo Zen.

Se la figlia di Giairo è risuscitata perché il padre ha avuto fede, ciò che Giairo ha trovato oltre la sua mente non è uno spirito indivi­duale, ma è lo Spirito di Dio, il grande Sé, che tutto muove e che saràtutto in tutti.

(S. C.)

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