Sab 26 Ago 2006 Scritto da Pierinux AGGIUNGI COMMENTO

tu sei il Santo di Dio

Queste cose disse Gesù, insegnando nella sinagoga a Cafarnao. Molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: «Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?». Gesù, conoscendo dentro di sé che i suoi discepoli proprio di questo mormoravano, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? É lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho dette sono spirito e vita. Ma vi sono alcuni tra voi che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E continuò: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre mio». Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Forse anche voi volete andarvene?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio». Rispose Gesù: «Non ho forse scelto io voi, i Dodici? Eppure uno di voi è un diavolo!». Egli parlava di Giuda, figlio di Simone Iscariota: questi infatti stava per tradirlo, uno dei Dodici.

* il Pensiero Divino si fa Carne: la Via di Mangiare Cristo

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«Molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: “Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?”. Disse allora Gesù ai Dodici: “Forse anche voi volete andarvene?”. Gli rispose Simon Pietro: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio”». I discepoli non riuscirono a credere che la via di Cristo è la via del pane e che il pane è la sua carne: «Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». All’uomo è più facile credere in Dio che si manifesta nel cielo, che in Dio che si fa carne sulla terra e dà la sua carne come pane di vita. Eppure non c’è che la via di mangiare Cristo per convertirsi a Cristo! «Gesù prese il pane e, pronunciata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: «“Prendete e mangiate: questo è il mio corpo”» (Mt 26,26).Nel giudizio, quando rimarrà soltanto ciò che è eterno di noi, ci verrà detto: «Venite, benedetti del Padre mio… Perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare… ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,24-40). Il pane sta al cammino di Cristo come la prostrazione, islam, sta alla religiosità musulmana; come il silenzio sveglio del corpo e dello spirito, zazen, sta allo Zen. Percorrere la via di Cristo è riportare tutte le cose al senso del pane: perché il pane è la via di convertirsi a Cristo. Il pane ha la natura di essere mangiato, digerito, trasformato in energie. Poi, quando ha terminato la sua funzione, viene espulso come sudore o escremento. Il pane contiene in sé tutta la funzione dell’esistere. Cristo comprende se stesso nella via del pane: come il pane nasce dal cielo e dalla terra, è macinato dai contrasti della storia, è cotto al calore dell’amore, espande profumo, è spezzato e mangiato, è energia che viene assimilata e che opera nel corpo dei fratelli. Come il pane, finita la sua funzione, si ritira «perché Dio sia tutto in tutti» (1 Cor 15,28).

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Cos’è il pane per la propria vita? Non è certo un accessorio, non è certo qualcosa da mettere in mostra! Il pane è l’alimento di base, quello più ordinario, quello che non ha caratteristici sapori; per cui raramente è mangiato da solo, ma insieme con gli altri cibi. Il pane è il sacramento del cammino religioso, dell’incontro dell’uomo con Dio. L’uomo, a ogni esperienza di incontro con Dio, generalmente prova profonda gioia, come quando mangia un buon pane. Il gusto e il profumo che emana dall’incontro con Dio suscita il desiderio della lode e della testimonianza. Si sente il bisogno di parlare di Dio, esaltando la sua bontà. Col passare del tempo l’esperienza esaltante viene assimilata e interiorizzata. L’entusiasmo iniziale scompare e anche il desiderio di discorrerne si placa. Rimane solo l’energia assimilata, la quale opera silenziosamente. A un certo punto l’esperienza del proprio incontro con Dio, che ci aveva tanto entusiasmati, appare come superata e insufficiente. Quell’energia è stata consumata nella vita. Di nuovo appare la fame, a volte sotto forma di crisi religiosa; a volte anche di confusione e di allontanamento da Dio. Il buon pane, mangiato, digerito e assimilato, nella legge della vita si trasforma in goccia di sudore o in escremento.La vera religione è nascosta nella vita e agisce sostenendo la vita. Ma la vita può continuare ad apparire come se in essa niente cambiasse. Nel cammino religioso rimangono gli alti e bassi e le contraddizioni. Dopo il lungo discorso del pane disceso dal cielo, gli apostoli e i discepoli restarono con i limiti di sempre. «Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: “Forse anche voi volete andarvene?”». Erano di nuovo al bivio di dover scegliere. Quando un discepolo si scoraggia e necessita di essere sostenuto, Cristo diviene il pastore misericordioso che va alla ricerca della pecorella smarrita. Quando invece il discepolo diventa presuntuoso e manipola diplomaticamente il Vangelo secondo i suoi attaccamenti, allora Gesù lo scrolla via da sé, gli lascia toccare il fondo della sua presunzione, finché non ritrovi l’atteggiamento umile che dischiude alla verità. Abitualmente noi crediamo che l’allontanamento dalla pratica religiosa corrisponda a un allontanamento dalla verità. Ma per chi deve allontanarsi per cercare da capo il punto di partenza giusto, l’allontanamento è provvidenziale. Dio ci ama con lo stesso amore sia quando ci attira, sia quando ci respinge. Ciò ci aiuti a comprendere il significato di bene che hanno avuto nella nostra vita i momenti di allontanamento. Così doveva essere, per svezzarci dalle nostre pretese. Ciò ci aiuti pure a rispettare chi sta ora attraversando il periodo della lontananza. Il rispetto silenzioso è la più grande testimonianza di fede. Così ha vissuto Gesù.

Forse il cammino di fede sarà così ancora a lungo, finché l’umanità non si converta a essere una famiglia che spezza il pane sulla stessa tavola. Sarà la risurrezione. Allora gli ultimi saranno i primi. Per ora continuiamo a mangiare il pane azzimo dei viandanti, in attesa della sua venuta. Buoni e cattivi: tutti mangiamo, perché il pane non è un premio, ma il sostegno del nostro esistere. Cristo non è venuto per i novantanove giusti, ma per i peccatori. Chi ha più fame, ha diritto a mangiare di più. Che le nostre celebrazioni eucaristiche domenicali ritornino a essere quella cena, quando Giuda, Pietro, Giovanni,… tutti mangiarono perché avevano fame, in quella notte dello smarrimento!

p.Luciano

* la Parola oltre la Parola

Si conclude il discorso di Gesù, un discorso unico e consequenziale che abbiamo ascoltato nell’arco di cinque Domeniche. Viene recepito da molti come un discorso duro, non perché sia severo o astruso, ma solo perché scandalizza le credenze abituali di coloro (e sono sempre i più) che vogliono vedere nella religione l’eccezionalità che sconfigge la normalità e si turbano quando viene mostrato invece il vero volto della normalità che rende inutile l’eccezionalità. E molti, i più, se ne vanno, si tirano indietro: qui, pensano, non solo non c’è niente di speciale, come sembrava, ma si rischia pure di mettersi contro gli uomini di potere.

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Fa piacere ricordare qui un analogo episodio della vita di Budda. Una vera folla si era radunata sul Monte dell’Avvoltoio per ascoltare l’insegnamento di Budda. Egli fece lì il sermone che prende il nome di Sutra del Loto, il Sutra più venerato del Buddismo mahayana. Prima di iniziare a parlare, Budda prese un fiore di loto e lo sollevò, in silenzio. Di tutti i presenti il solo Mahakasyapa comprese e sorrise: lo Zen vede racchiuso in questo tutto l’insegnamento di Budda e lo considera l’inizio della trasmissione dello Zen. Poi Sakyamuni Budda iniziò a parlare. «Quando Sakyamuni espose il suo insegnamento sul Monte dell’Avvoltoio, ben cinquemila fra coloro che lo ascoltavano si alzarono e si allontanarono dicendo che quell’insegnamento non corrispondeva al loro modo di pensare. In quell’occasione Sakyamuni disse semplicemente: “Andate pure” e non tentò di trattenerli».Arrivati al nocciolo, c’è un solo criterio: chi ha orecchi per intendere intende, chi non ha l’orecchio che intende si allontana. Qui nessuno può intervenire, nessuno può far nulla al posto mio: e questo momento non si può e non si deve eludere, ma va affrontato a viso aperto.

«Disse allora Gesù ai Dodici: «Forse anche voi volete andarvene?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio». Gesù si gioca tutto, con quella domanda: se i suoi più intimi discepoli lo avessero abbandonato in quel momento, a motivo di incredulità di fronte al cuore del suo messaggio, la sua missione sarebbe fallita. Il successivo abbandono dei discepoli è di altra natura, è dettato da paura, da umana debolezza: qui invece l’abbandono avrebbe significato abbandono del Vangelo. Eppure Gesù non poteva non fare quella domanda, perché deve verificare che chi lo segue lo faccia in libertà, per convinzione personale. Ben gli risponde Pietro, per tutti, e quella risposta contiene in sé il germe del riscatto dal suo successivo tradimento.

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Ciò detto, notiamo che in tutto il lungo discorso sul pane della vita che abbiamo ascoltato, solo alla fine, solo ora Gesù nomina lo spirito: «È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho dette sono spirito e vita». Dobbiamo imparare questo pudore a nominare lo spirito, come la cosa intima e preziosa di cui non si parla tanto. Noi, al giorno d’oggi, siamo sempre a parlare di spirito, di spiritualità, di ritiri spirituali, di sentieri dello spirito: quanto nominiamo lo spirito in vano! Gesù al termine del discorso che è il cuore del suo Vangelo, solo una volta nomina lo spirito: e riassume in una frase il senso del lungo discorso. Che cosa è questo spirito, di cui parla Gesù? Con quanti nomi diversi è indicato nelle diverse culture e nelle diverse sfumature di significato: in greco è pneuma soffio vitale, alito che anima, è logos, principio che indirizza il soffio; in ebraico è ruah, lo spirito di Dio che aleggia prima della creazione; in sanscrito è brahman, che informa il tutto, è atman, che invera l’individuo; in giapponese è ku, il vuoto che tutto riempie, è shin, il cuore della vita, di ogni vita……tanti nomi, tante sfumature, per dire l’indicibile che rende dicibile ogni parola. Quando è evidente che è l’indicibile a dire la parola, allora la parola detta dice ciò che non si dice: «Le parole che vi ho dette sono spirito e vita».Non c’è bisogno di dimostrazione: chi ha visto anche una volta sola un cadavere, soprattutto se di una persona che ha ben conosciuto da viva e amato, sa cosa vuol dire «È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla». Questa non è una sconfessione della carne, che sarebbe negare tutto quanto Gesù ha detto fin ora: è invece affermare che la carne è viva, vero nutrimento della vita e suo veicolo, se si riconosce infusa dallo spirito, vita e coscienza di vita; e lo spirito vive, soffio che circola liberamente e che dirige il moto della vita, se si incarna, si fa corpo, prende forma concreta. Carne e spirito sono non due ma noi li sperimentiamo separati: solo la fede ce li fa comprendere nella loro unità. La fede è oltre le nostre facoltà, che vivono di dualità, di confronto. La fede non è come le facoltà umane, che qualcuno ce l’ha e qualcuno no, qualcuno di più e qualcuno di meno: è apertura, è abbandono delle facoltà, e nessuno se la può dare o procurare. Ma là dove c’è vero abbandono, subito c’è vera fede. «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre mio».

Jiso

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