Lun 25 Dic 2006 Scritto da Pierinux AGGIUNGI COMMENTO

La via di Maria

In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiurl$e in fretta una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Eli~ sabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di SpiritQ Santo ed esç[amò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bam­bino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore». Allora Maria disse: «L’a­nima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salva­tore, perché ha guardato [‘umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata».

* La terra chiama il cielo

Questa quarta domenica di Avvento celebra, per così dire, l’ap­porto dell’uomo e della natura al grande evento del Natale di Dio sulla terra. Dio si fa uomo, perché è l’uomo che chiama Dio con la sua fede. Come gli alberi della foresta attirano le nubi e chiamano la pioggia, dalla quale dipende la loro vita. Come l’antenna televisiva capta le onde che si rifrangono su di lei.

Le fede di Elisabetta, che, già avanzata negli anni, finalmente di­viene madre, e soprattutto la fede di Maria di Nazaret chiamano Dio a scendere nella città dell’uomo. Sono particolarmente le donne le custodi di questa energia che attende e che mette in moto Dio; sono esse che custodiscono il seme della speranza, fino al giorno in cui germoglia e cresce. Forse è la sua vocazione fisica a custodire e ali­mentare per nove mesi il germe della vita, che fa della donna l’aiuola più adatta per conservare il seme della speranza nel mondo. Se­condo una interpretazione di fede della Chiesa cattolica, la Vergine Maria è quel pizzico di terra conservatosi integro, mentre il resto della creazione ha conosciuto l’errore e il peccato. Rimasto integro come nel giorno della creazione, questo pizzico di terra pura che è Maria diviene l’orecchio della terra capace di captare la voce del suo Creatore, diviene la bocca della terra capace di dialogare con lui. Il nome di fede dato a Maria è immacolata concezione. In Maria per­mane l’immacolatezza della concezione, del primo giorno. Affinchépoi nessuno cada nel rammarico di non essere anche lui quella im­macolatezza, il Vangelo insegna che un peccatore che si converte èancora più autentico di chi non si è mai macchiato, quindi anche di Maria. E affinché poi nessuno ristagni nel compiacimento di essere peccatore, il Vangelo insegna che sia l’immacolatezza di Maria, sia la conversione del peccatore sono opera dello stesso Spirito che opera in ciascuno come vuole, per il bene di tutti. E il peccato contro lo Spirito è l’unico che, per sua natura, non può essere perdonato! «Gli fu annunziato: “Tua madre e i tuoi fratelli sono qui fuori e desiderano vederti”. Ma egli rispose: “Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica”» (Le 8,20-21). Ma­ria, come spesso si dice, ha generato il Cristo con la fede, prima an­cora che con il grembo. È la fede che fa di Maria l’aiuola di terra ver­gine che incanta il suo Creatore, e non la maternità fisica che invece ne è una conseguenza.

Maria è detta Madre e Regina: ossia la sua vocazione non è sol­tanto individuale, ma anche collettiva. In Maria noi vediamo ogni granello di terra che custodisce il seme della speranza. In Maria noi vediamo tutto quanto nella creazione diventa grembo, perché Dio nasca tra gli uomini. Paolo afferma che «tutta la çreazione geme e soffre fino a oggi nelle doglie del parto» (Rm 8,22). Il grembo di Ma­ria sono tutte le situazioni umane in cui l’umanità soffre per parto­rire pace e amor.e

«Ave Maria, piena di grazia!».

p.Luciano

* Il piccolo veicolo del grande

La figura di Maria nel Vangelo è avvolta di silenzio. A parte l’e­pisodio delle nozze di Cana nel Vangelo di Giovanni, solo Luca si azzarda a dare voce a Maria, all’atto dell’annunciazione prima e, nel momento dell’incontro con Elisabetta, con quel canto che cono­sciamo con il nome latino di Magnificat, di cui oggi leggiamo i primi quattro versi e, infine, quando ritrova Gesù dodicenne nel tempio. Poche parole pronuncia Maria, circondata da tanto silenzio.

In questo silenzio si è dilatata la devozione dei fedeli, in modo spesso arbitrario e barocco. È come se l’ardente fantasia dei fedeli si sia precipitata in quello spazio vuoto che il silenzio di Maria con­sente e lo abbia riempito, oltreché di sincera devozione, anche delle proprie ansie e delle proprie immaginazioni, in un caleidoscopio di lacrime, di visioni, di miracoli, di profezie e processioni che spesso fanno frastuono e ammantano la figura di Mariij di vesti ridondanti, lei che è invece la forma della semplicità.

Eppure, senza nulla togliere alla devozione sincera, non ci sa­rebbe davvero bisogno di aggiungere nulla alla figura di Maria come ce la presenta il Vangelo: è essenziale così come è, e senza di lei il Vangelo non sarebbe l’annuncio universale che è. Certo, abbiamo appena sentito Giovanni il Battista ammonire che Dio può far nascere figli di Abramo anche da queste pietre (Lc 3,8): ma se il Figlio di Dio fosse nato dalla magia di un miracolo come avrebbe potuto chiamare se stesso Figlio dell’uomo, e chi se lo sentirebbe davvero vicino, come il fratello che è? Invece è nato come ognuno di noi, nove mesi nel tiepido buio di un utero, si è formato giorno per giorno nel ventre di una madre di carne, come qualunque bambino che nasce. Di questa vita, così umana e così divina, Maria è stata il veicolo così normale e così indispensabile,
come ogni madre.

C’è un’espressione buddista che, a mio parere, rende magnifica­mente omaggio al ruolo di Maria: è un termine molto importante per il buddismo, se compreso nella sua giusta portata: è la parola che in sanscrito suona «mahayana», e in giapponese «daijo». «Maha» vuole dire grande e «yana» vuoI dire veicolo, mezzo di trasporto. Solita­mente l’espressione «mahayana» è usata per identificare una cor­rente del buddismo che si autodefinisce grande, per distinguersi dal­l’altra corrente definita piccola («hinayana» = piccolo veicolo). Ma questo uso angusto non dice nulla del vero significato di «ma­hayana». Che è grande veicolo nel senso di veicolo di ciò che ègrande, mezzo di trasporto del grande. Dove grande non è l’opposto di piccolo, ma il grande oltre ogni termine di paragone, come è grande una galassia o la composizione di un atomo, una catena mon­tuosa o la geometria di un singolo fiocco di neve, la vita di un’intera civiltà o la formazione di un essere nella vita intrauterina. Grande è ogni cosa quando brilla della propria luce, unica e irripetibile. E Maria è il simbolo di ciò che trasporta questo grande.

La Vita universale, la vita vera perfetta e senza limiti, ha bisogno di Maria, della piccola vita di carne, terrena, ha bisogno di farsi por­tare da essa per poter realizzare pienamente se stessa, per poter es­sere e non solo pensarsi.

Per questo dice Maria: «L’anima mia magnifica il Signore». Ma­gnificare (in greco «megalunei») significa non solo esaltare, glorifi­care, ma prima di tutto rendere grande. Nel portare la vita, la rende grande. La piccola vita umana rende grande il Signore della vita che la fa vivere. In questo mistero così normale c’è tutto il senso della re­ligione e l’annuncio di una beatitudine che non esclude nessuno.
jiso

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