Dom 3 Dic 2006 Scritto da Pierinux AGGIUNGI COMMENTO

Ricomincia la via che è da sempre

Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra ango­scia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uo­mini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora ve­dranno il Figlio dell’uomo. venire su una nube con potenza e gloria grande. Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e le­vate il capo, perché la vostra liberazione è vicina». E disse loro una parabola: «Guardate il fico e tutte le piante; quando già germogliano, guardandoli capite da voi stessi che ormai l’estate è vicina. Così pure, quando voi vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino. In verità vi dico: non passerà questa generazione finché tutto ciò sia avvenuto. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. State bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso improvviso; come un laccio esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate e pregate in ogni momento, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciQ che deve accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo.

* Sulla nuvola mutevole ecco la gloria eterna

È antica tradizione della Chiesa iniziare il nuovo anno liturgico leggendo la pagina del Vangelo che annuncia gli ultimi tempi e la ve­nuta della realtà ultima (eschaton). Non sarebbe più adatto, nella prima domenica di un nuovo anno, fare lettura della pagina biblica sulla creazione del mondo o sulla nascita di Cristo, o comunque di una pagina che parli dell’inizio e non della fine? Come mai iniziare un cammino nuovo, partendo dal messaggio delle ultime cose? È una domanda lecita; anzi necessaria, per entrare nella comprensione del Vangelo…

Nel Vangelo di oggi inizio e fine si intrecciano e si rimandano l’un l’altro, come se iniziare significhi finire e finire significhi ini­ziare: «Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e le­vate il capo, perché la vostra liberazione è vicina».

Si crea qualcosa di nuovo, quando si lascia finire qualcosa di vec­chio. Si lascia finire qualcosa di vecchio, quando nel cuore si risve­glia la speranza di qualcosa di nuovo. Anche la natura, in questo pe­riodo di tardo autunno, si spoglia e finisce l’attività di un anno. Così si dispone al risveglio della primavera. Nulla si ripete uguale: nes­suna foglia, nessun fiore, nessun frutto, nessun ramo nuovo sarà la copia dell’anno precedente. Così è delle cellule del nostro corpo, così è dei sentimenti del nostro cuore. Gesù predice che perfino gli elementi più stabili, come il cielo e la terra, passeranno. Tutto passa! La realtà è impermanente, è senza schema fisso. Ma così possiamo affçrmare proprio perché nella realtà c’è un aspetto eterno che, per contrasto, mette in evidenza l’aspetto mutevole. Questa è la fede, quella fede in cui il principio e la fine si fecondano l’un l’altro del vero senso di esistere.

L’uomo guarda il cielo e ha l’impressione che le stelle si muo­vano, mentre la terra da cui lui lo guarda, gli pare, sia ferma. Rigida­mente sicure di quella impressione, generazioni e generazioni hanno concluso con certezza che la terra è al centro del cielo e il cielo è il contorno della terra. Tutto appariva così chiaro e preciso, finché qualcuno si accorse che anche la terra, da cui l’uomo guarda il cielo, si muove e si muove dentro il cielo che si muove. Crollarono le sicu­rezze e tutto sembrò sprofondare nel relativo: non esiste alcuna cer­tezza perché non c’è alcun punto fisso da cui osservare! Ma final­mente l’uomo abbandonò anche la sua idea fissa che ci deve essere un punto fisso da cui osservare la realtà; allora cominciò a osservare le stelle sapendo che anche la terra gira con esse e, dall’interno del tutto relativo, scoprì l’armonia eterna. La fede è quello sguardo pro­fondo sulla realtà che ne coglie l’aspetto eterno, proprio grazie al fatto che l’uomo abbandona l’illusione di guardare la realtà da un punto di vista fisso, di cui lui sarebbe il fortunato occupante. L’oc­chioche vede e la cosa veduta fluttuano nella mutevolezza con tutte le cose. La fede non copre di eterno ciò che è mutevole; ma legge nella stessa mute~olezza la legge della gloria eterna. Per questo siamo sempre all’inizio,. proprio mentre siamo sempre alla fine. Per questo Dio si fa uomo. L’occhio che non crede vede il volto del­l’uomo e vi scorge solo la mutevolezza dell’uomo. L’occhio della fede, in quella mutevolezza, vede Dio che viene. L’occhio della fede è l’occhio limpido, non inquinato dagli attaccamenti. «State ben at­tenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e quel giorno non vi piombi addosso… come un laccio».

Vivere attenti! Vigilare e vegliare! Se non viviamo con atten­zione e nella consapevolezza, nella nostra vita nulla finisce e nulla incomincia, perché tutto è strascico e confusione. Oggi la grande cul­tura è quella del non avere attenzione e consapevolezza proprie, adagiandosi sulla moda, sul facile guadagno, caso mai sulla fortuna di vincere a un quiz televisivo, sull’apparenza esteriore, sui titoli, sulla laurea. Vigilare e vegliare sono percezione chiara e lungimi­rante di se stesso, del proprio spazio, della propria via. Vigilare e ve­gliare sono i verbi di chi illumina il proprio catmnino con la luce ali­mentata dall’olio della prQpria esperienza: «Va’, la tua fede ti ha sal­vato» (Me 10,52).

Ci sono tanti atteggiamenti religiosi che ubriacano. Il popolo eletto, ubriacato di Scritture e di esaltazione religiosa, non rico­nobbe Cristo. I due discepoli di Emmaus, delusi perché Gesù di Na­zaret era stato crocifisso, abbandonarono tutto e fecero ritorno al loro paese natale. Lungo la strada della loro disfatta incontrarono Cristo e con Cristo conversarono su Cristo; ma non lo riconobbero. Alla fine, quando cessarono di disquisire, mentre egli spezzava il pane della cena, lo riconobbero. Così, alla fine ,della giornata, riciminciò tutto da capo: in gran fretta ripresero la strada per Gerusa­lemme, il luogo di tutti quegli avvenimenti. Alla fine del viaggio ave­vano capito perché stavano viaggiando. E subito ripresero a viag­giare. Quella fine fu ancora il principio. È l’Avvento!

p. Luciano

* Dalla fine l’inizio

Si sente comunemente dire che c’è un aspetto che differenzia in modo particolare la visione buddista da quella cristiana, ed è la con­cezione della fine, la visione escatologica. C’è del vero in questa os­servazione, ed è logico che sia così. Nella visione cristiana la storia umana è la sede del Vangelo e la liberazione, la salvezza, non pUÒ che coincidere con il riscatto finale della storia nella sua interezza e di tutto il popolo di Dio nel suo complesso: una concezione escato­logica universale è quindi assolutamente consequenziale e impre­scindibile.

Nella visione buddista, invece, la sede della Via è il singolo indi­viduo, la sua vicenda interiore nel rapporto con gli eventi esterni che fanno da scenario, per cui la liberazione e la salvezza sono prima di tutto un fatto individuale: in quest’ottica, una concezione escatolo­gica universale appare sovrastrutturale ed estranea.

Questa distinzione è certo un po’ grossolana e non tiene conto né delle sfumature di ciascuna delle due visioni né delle grandi diffe­renze che si ritrovano nell’ambito del buddismo e del cristianesimo: specialmente nel buddismo, dove, a seconda della tradizione cui si fa riferimento, ci sono notevoli discrepanze al riguardo. Ciò nono­stante ritengo onestamente innegabile che la differenza di cui sopra esista e non sia né possibile né opportuno ignorarla.

Ciò premesso, è necessario anche dire che le differenze, anche quelle di tale portata, non devono scoraggiare chi sinceramente ri­pone la propria fiducia e speranza nell’incontro e nel dialogo. In reli­gione il principio logico di non contraddizione non è un dogma, e la vita ci insegna che due enunciati antitetici possono essere entrambi veri. Sono proprio le differenze a rendere significativo il dialogo, che sarebbe altrimenti più simile a un monologo, a patto di non voler a tutti i costi redimere le questioni, stabilendo, per confronto o addiri­tura per pre-giudizio, quale verità è più veritiera.

Lasciamo quindi in sospeso, dopo averla rilevata, la questione della diversità delle concezioni riguardo alla fine, per venire a un aspetto che precede tale differenza e che invece unifica le due visioni religiose: il fatto cioè che la fine viene prima dell’inizio. O meglio, che il cammino religioso comincia dalla fine. Se il mondo non crolla, se non viene meno la visione convenzionale e consueta che siamo so­liti applicare alla realtà, non si può dischiudere il mondo nuovo, la nuova visione che illumina la realtà di nuova luce. «Quando comin­ceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina».

La fine spaventa sempre, anche quando è la fine di una lunga schiavitù. La religione non propone valori antitetici a quelli cosid­detti mondani per gusto moralistico o mortificatorio, ma per il sem­plice fatto che i valori mondani non danno garanzia di verità. Nel buddismo è insegnamento fondamentale il fatto che tutto ciò che ve­diamo, sentiamo, ideiamo, concepiamo, è transitorio, perituro e dun­que intrinsecamente inaffidabile, se per fede intendiamo basarsi su ciò che non viene meno. Per questo se non muore quell’io che basa le sue valutazioni sulla realtà come appare, quell’io che si erge a me­tro di valutazione perché si considera imperituro e immutabile, non può aver inizio il percorso della Via. La morte dell’io illusorio, la morte delle illusioni riguardo all’io è, nel buddismo, la fine del mondo che conosciamo e l’inizio del mondo come è, in eterno. Senza quella fine non c’è inizio. Non altro dicono le parole di Gesù: «Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno». Nulla sembra solido e duraturo come il cielo e la terra: eppure, proprio l’ammonimento che anche cielo e terra sono passeggeri fa da pream­bolo al Vangelo. Passeggeri, e quindi non adatti come sede della fede che riposa sull’eternità. Mentre le parole che annunciano il re­gno di Dio, portate ovunque dal vento, hanno la consistenza dell’e­ternità stessa. Da questo ribaltamento, da questo crollo del mondo consueto, prende spunto la visione religiosa che riscatta e libera.

Che la fine sia il preambolo dell’inizio non deve indtlrci a un’ido­latria della fine o a una visione millenaristica. La fine, individuale o collettiva, della storia come dell’io, è sempre un passaggio di dolore e nel dolore. Non si deve prendere a ctlor leggero. Ma è, comunque, l’unico passaggio, la condizione necessaria: il richiamo all’attenzione e al risveglio posto all’inizio del Vangelo è richiamo a non lasciare che la fine avvenga invano, ma che sia la porta, il tuffo nel vuoto che segna l’inizio del mondo che è oltre la fine.

jiso

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