Ven 2 Mar 2007 Scritto da Pierinux AGGIUNGI COMMENTO

Ci è arrivato un bel commento di Giorgio Soffiantini sul libro “Delle onde e del mare” di p.Luciano. Lo pubblichiamo volentieri come aiuto alla lettura.

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Il libro di P.re Mazzocchi è, conviene subito premetterlo, solo all’apparenza di facile lettura. Il resoconto appassionato, sia pure in terza persona, delle sue peripezie fa letteralmente corpo con il suo cammino spirituale, all’incrocio di due, se non più, tradizioni. Segno della rinuncia a una facile obiettività e della decisione di affrontare in modo “non dualistico” una storia che, certamente personale, non è però mai storia solo individuale o privata; e qui sta la sua forza. Ho riconosciuto molto di un’esperienza condivisa, nelle parole e nel cuore di P.re Luciano, e proprio per questo sono convinto che egli abbia riconosciuto un filo d’oro che lega l’esperienza di tanti maestri e di tanti sinceri praticanti, tutti umili cercatori sul sentiero di Quello che gli uomini hanno chiamato di volta in volta verità, vero sé, natura autentica, regno dei cieli, nirvana, o, più semplicemente, perfetta letizia.

Attraverso l’esperienza diretta, non verbale, della natura e dell’altro nella loro massima estraneità, da straniero in terra straniera, egli mostra il legame necessario tra lo stare in raccoglimento, proprio della pratica dello zazen (cfr. pg. 330 ss.), e l’intuizione della gratuità originaria della vita vivente. Stare in ascolto sull’onda del respiro, come premessa e compimento di quella interdipendenza che è costitutiva delle cose così come esse appaiono e anche sono; interrelazione mai compiuta e sempre agente, mai definitiva e sempre operante, oltre qualsiasi fondamento o sostanzialismo a cui la mente dell’uomo possa aggrapparsi, causando così, nella sua ignoranza, attaccamento e avversione. Da questo stare con fiducia, l’aurora di una retta visione; e così, da questo “piccolo risveglio”, forse, l’avvio di un cammino.

Intuizione della interdipendenza, o della inter–relazione che manifesta la non–separazione, la non autonomia di ogni nome e di ogni forma nella loro purezza (il loro “vuoto” intrinseco e inesprimibile). Ma, attenzione, ecco allora il contributo definitivo del nostro Autore! una interrelazione che rende all’improvviso del tutto trasparente la natura del reale come “per–dono”, (cfr. pg. 212 ss.) e cioè come gratuito e incondizionato: “non–condizionato”, ciò che appunto non dipende dal nostro volere e dal nostro disvolere, giacché ci appare già e solo, dall’inizio, ad ogni inizio, sia pur misteriosamente, come un “dato”. Nessun monismo, nessuna dispersione, nessuna separazione, ma tutta e solo relazione: natura “e” spirito. Di più, una “relazione di donazione”; non il perdono troppo abusato dall’omiletica domenicale (un po’ come il “vuoto” di tanti discorsi di dhamma), ma letteralmente di un “dono per”, che si fa vero sacrificio. Il “rendere sacro” attraverso il dono del Sé, il “rendere grazie”, il fare “eu-charistia” con il “proprio” dono per quanto è già stato dato (cfr. pg. 234 ss.), e cioè, in nient’altro che nella corporeità di un’esistenza concreta, totalmente dipendente, totalmente correlata.

Ancora, da un altro punto di vista, l’esperienza, che scaturisce da quello stare, della trascendenza nell’immanenza (cfr. pg. 220 ss.); questa sì davvero decisiva per la vigilia di una certa qual consapevolezza nuova, quella che potremmo anche chiamare “presenza al Presente”. Un’esperienza intimissima, come quella del dialogo sorgivo di io e altro, o di quell’altro che P. Luciano ritrova non alieno da sè, ma correlato a sé e in sè, nel tessuto dell’individualità prima ancora (“in principio”, appunto) che nella propria storia di relazione con gli altri e con le cose. Un’esperienza che si realizza nella vita del corpo proprio (cfr. pg. 313 ss.) come porta stretta, ma unica, attraverso cui si rende reale tutto il mondo in cui si fa, momento per momento, l’esperienza di quella gratuità; il corpo dove sta la chiave che apre e chiude tutte le porte. Il corpo, anche il corpo sofferente, senza il quale non ci sarebbe né mondo né Dio, né schiavitù né liberazione, né creazione né salvezza.

Desidero accostare a questa lettura per me emozionante solo alcuni rapidi accenni di un altro maestro, che, sia pure dal lato della ricerca spirituale indù (in particolare con la sua enfasi sull’esperienza del sacrificio), ha saputo condensare in termini rivoluzionari analoga esperienza di quelle altezze cui siamo chiamati ad immergerci per poter poi traghettare alla riva di una vita nuova (cfr. Lc 5,1-11). Semplici espressioni tratte dal “Diario Spirituale” di H. Le Saux – Abhishiktananda (Mondadori). Il reale: “il sé del sé nel sé”. L’individualità: “io sono da un Altro rispetto al quale non c’è altro”. La gratuità: “Il sé, non un io che è dato, ma un dato che è Sé”. Il Cristo: “finché ti avvicini a Cristo come a un altro non l’hai ancora trovato”.

Per il privilegio di aver potuto condividere con P.re Mazzocchi un comune senso della realtà, prima e soprattutto nella pratica di tante mattine e ora anche nella lettura di una vita (o meglio, di tante vite solo geograficamente lontane) spesa in semplicità e stupore, credo non sia superfluo il grazie di un inchino, con una citazione che contiene, al mio sentire, tutto il carisma di un cristiano sulla via dello zen:

“L’esperienza del perdono modella l’anima umana all’audacia di sostare davanti al mistero della realtà con fiducia, sapendo che esiste una economia di grazia che frantuma la catena del merito e demerito e risuscita a novità di vita.”

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categorie: Riflessioni

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