Sab 7 Apr 2007 Scritto da Pierinux AGGIUNGI COMMENTO
Rabbunì!

Nel giorno dopo il sabato, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand’era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Uscì allora Simon Pietro insieme all’altro discepolo, e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Chinatosi, vide le bende per terra, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti. I discepoli intanto se ne tornarono di nuovo a casa.

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Risurrezione (1463-1465)
di Piero della Francesca (1415/1420-1492)
Pinacoteca comunale – Sansepolcro (Arezzo)

Maria invece stava all’esterno vicino al sepolcro e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il Corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto». Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi; ma non sapeva che era Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Essa, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: «Rabbuni!», che significa: Maestro! Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: lo salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro». Maria di Màgdala andò subito ad annunziare ai discepoli: «Ho visto il Signore» e anche ciò che le aveva detto.

Per questa domenica abbiamo due meditazioni, la prima sul vangelo appena riportato dai versetti 1 al 18 del capitolo 20 del Vangelo di Giovanni, il secondo poco più avanti sui versetti 19-23.

* Il pensiero divino si fa carne: il nome

Maria di Magdala aveva lasciato la via della prostituzione e si era messa al seguito di Gesù, verso cui sentiva una profonda ammirazione e un sincero affetto; tuttavia non poteva ancora riconoscere Gesù nella fede. Il Maestro era stato tradito e ucciso! Nonostante ciò Maria lo venerava ancora come il suo Signore, infondendo in questo titolo tutta quella particolare tenerezza femminile che sgorga nel cuore di una donna che finalmente incontra l’uomo che l’ascolta, la difende e la libera. «Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: “Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!”». Proprio perché non poteva ancora credere nella risurrezione, cercava le orme del Maestro defunto con intenso ardore. Non aveva ancora compreso che il Maestro crocifisso risorge dentro di lei come dentro ogni realtà, e non fuori. «Maria invece stava all’esterno vicino al sepolcro e piangeva». Nessuno riconosce il Risorto, finché il sepolcro è fuori, è altro da sé.

Il testo evangelico riporta un dettaglio curioso: dice che il Risorto le rivolse la parola «”Donna, perché piangi? Chi. cerchi?”. Essa, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: “Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo”». Maria credeva, ma la sua fede era ancora trattenuta da qualcosa, al punto da non riconoscerlo mentre è proprio lui che la chiama. Lo pensò il giardiniere! Amava Gesù, aveva a cuore la sua sorte; lo chiamava Signore. Tuttavia continuava a ritenere la morte di Gesù come un fatto che era dipeso dagli altri. Il suo cuore detestava l’operato dei sommi sacerdoti che lo avevano condannato; ma non aveva ancora compreso che la sua morte aveva un rapporto con lei. Quindi il suo cuore non era in preghiera! Quindi dentro di lei non agiva la forza che evoca la risurrezione. Come i butti primaverili non si dischiuderebbero ai raggi del sole se un’energia dentro di loro, evocata dal sole, non facesse forza affinché si aprano.

Gli avvenimenti della risurrezione ebbero luogo in Gerusalemme; ma nessuno di quelli che non erano in preghiera per poter credere, vide il Risorto. «La tua fede ti ha salvata» (Me 5,34), aveva detto Gesù all’emorroissa, come alla donna peccatrice che gli aveva lavato i piedi con le lacrime. La fede di Maria di Magdala si accese quando il Risorto la chiamò per nome: «Gesù le disse: “Maria!”». Il sentirsi chiamare per nome la riportò, lei sconsolata e smarrita, a guardare dentro di sé e a udire il messaggio della risurrezione come una vibrazione che proviene dalla parte più profonda di sé. L’avvenimento della risurrezione di Gesù viene tradotto in termini di vita quotidiana per chi è aperto alla fede nella risurrezione. Può essere chiamato perdono; oppure attenzione e consapevolezza. Dove si attua il perdono, avviene la risurrezione. Il cuore che perdona è risorto e il cuore che accetta il perdono è pure risorto. Maria di Magdala vide il Risorto, quando s’accorse che anche lei era già risorta e lo riconobbe. Vide il Risorto cogli occhi della sua risurrezione.

Giovanni aveva già nel cuore la fede nella risurrezione come una pianticella. Infatti fu l’unico apostolo a ritornare sui suoi passi, dopo un primo momento di fuga, e stare in piedi sotto la croce del Maestro crocifisso. Orbene, Giovanni intravide il Risorto con gli occhi della cura delle cose e della consapevolezza: gli bastò notare come nella piccola camera sepolcrale tutto fosse riposto in ordine. Nella corsa verso il sepolcro aveva superato il non più giovane Pietro; ma non osò entrare prima che Pietro fosse entrato. Anche questo è un atto di consapevolezza e di rispetto verso l’apostolo preposto da Gesù a confermare nella fede i suoi fratelli. Giovanni, come si comprende dal Vangelo da lui scritto, era molto attento e delicato, e questo atteggiamento lo aiutò a credere nella risurrezione. L’amore all’ordine delle cose fu una scuola che lo formò al balzo della fede nella risurrezione.

La sensibilità umana di Giovanni richiama quella della cultura orientale, in cui le piccole cose divengono i segni più autentici delle grandi verità e delle scelte importanti. Di certo, mai potrà entrare nella fede della risurrezione chi non ha cura dell’armonia e rispetto della bontà delle cose. La risurrezione infatti è il ripristino all’armonia e bontà secondo il Pensiero originario di Dio, percorrendo fino in fondo la via della storia e portando la croce del proprio e altrui limite.

Affidato all’esperienza degli apostoli e di poche donne, quasi gracili antenne umane a ricevere e a trasmettere, attraverso la loro testimonianza il Vangelo della risurrezione è annunciato al mondo intero. Così è evidente all’uomo che la risurrezione non è un evento trascendentale, lontano dalla vita ordinaria, ma invece è lieta notizia per chiunque, grande o piccolo. La risurrezione non è soprannaturale, ma naturale: è l’impulso innato dell’anima che permea ciò che esiste. Amare l’esistenza, dare il nome proprio alle cose, conoscerne la voce più intima: questo è il sentiero che educa alla fede nella risurrezione.

Osservando si conosce, conoscendo si offre, offrendo si risorge. Osserviamo un sasso: pur nella sua solidità si frantuma e diventa polvere, la polvere diventa terreno, il terreno diventa suolo coltivabile e questo diventa stelo d’erba, e così via. Quando l’uomo prende fra le mani il sasso e le sue tante funzioni, e usandolo lo offre alla carità, allora quel sasso è nella fisionomia più originaria di se stesso: è Pensiero divino cristallizzato. Invece chi non dà il nome proprio alle cose, non intravede la mutazione, non comprende il senso della morte, non si apre alla novità di vita, non giunge a riconoscere nella carità la legge fondamentale. Ristagna negli attaccamenti che vorrebbero impedire alle cose di mutare e di morire. Può perfino rammaricarsi perché i suoi attaccamenti non possono intaccare la legge profonda insita nella creazione, soggiogandola ai suoi piani.

«Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti». C’è un credere in Dio senza aver ancora compreso la Scrittura che indica che Dio deve risuscitare dai morti. È il Dio pensato come non coinvolgimento nella realtà, soprattutto nella morte che è comune a ogni vivente. Ma c’è infine il credere avendo compreso che Dio muore e risorge, secondo la Scrittura eterna. Allora Dio è creduto come relazione, come comunione, come principio di vita in cui il dare del Padre, il ricevere del Figlio e la carità che unisce dello Spirito Santo sono l’unico Dio. Anche Dio non vive per se stesso e non muore per se stesso: è amore. «lo sto in mezzo a voi come colui che serve!» (Lc 22,27).

Maria di Magdala tentò di trattenere per sé il Risorto: «Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: “Rabbunì!”, che significa: Maestro! Gesù le disse: “Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: lo salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”». La risurrezione non è il punto d’arrivo, non è il paradiso dove si gode per sempre. La risurrezione è anche conversione da tale modo di pensare, come se lo scopo ultimo della vita rimanesse l’egoismo, anche se tutto ovattato di luci religiose. La risurrezione introduce nella carità, dove la domanda sul paradiso non ha più luogo. Maria allora corse ad annunciare agli apostoli la risurrezione. La derisero. Però Pietro e Giovanni si misero in cammino e, cammin facendo, le scorie cadevano e il loro cuore si apriva a credere. «Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette».

p.Luciano

Alitò su di loro
(Gv 20,19-23)

La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirana a vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch ‘io mando voi». Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati, saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi».

* Il pensiero divino si fa carne: il respiro

Quella domenica sera, la sera della paura, Gesù apparve ai discepoli rintanati in una stanza sbarrata e alitò su di loro l’alito della vita e della speranza. «E i discepoli gioirono a vedere il Signore». Il respiro è il principio fisico della vita; la risurrezione è il principio religioso della vita. Respiro e risurrezione, rispettivamente nel loro ambito, dicono l’identico cuore della vita. Questo messaggio diviene evidente, comprendendo che la vita è carità e la carità è vita. Il Risorto riversò il suo respiro di carità sui discepoli prigionieri della paura, ed essi risorsero alla fiducia.

Più esaltiamo la risurrezione di Gesù come miracolo straordinario, e più perde di significato. Invece, più comprendiamo la risurrezione come il cuore della vita ordinaria e più diventa il faro che indica la direzÌone a cui guardare, in questa traversata del mare dell’esistenza. Per nostra grande fortuna, i testi del Vangelo che annunciano la risurrezione di Cristo e nostra sono molto scarni. Sembrano una beffa alla nostra mania di soddisfare la curiosità, alla nostra voglia di incasellare tutto negli appositi schemi del sapere. Il testo biblico, che accogliamo come ispirato e che quindi riconosciamo voluto così da Dio, già nella sua stessa struttura è un insegnamento. Per pagine e pagine ci narra molte faccende che noi reputiamo marginali per la ricerca della verità, quale la storia del popolo d’Israele. Giunto al messaggio della risurrezione, quella di Gesù e la nostra, messaggio che è la chiave e la meta di tutte le profezie, proprio qui il testo biblico si fa lacunoso, impreciso, monco. Ci assale perfino il dubbio se in quella forma così povera il testo possa dirsi ispirato. Così deve aver pensato chi ha aggiunto al Vangelo di Marco la pericope finale, assente nel testo originale, in cui si rende almeno un piccolo tributo alla risurrezione di Gesù.

Il Vangelo secondo Marco, il più antico, terminava originalmente affermando che le pie donne, andate al sepolcro, trovarono la pietra d’ingresso ribaltata e la tomba vuota. Inoltre che due angeli annunziarono loro che il Gesù che cercavano era risorto e che dovevano annunciare ciò agli apostoli. Ma «esse, uscite, fuggirono via dal sepolcro perché erano piene di timore e di spavento. E non dissero niente a nessuno, perché avevano paura» (Mc 16,8).

Il Vangelo secondo Giovanni, il più tardivo, è anche quello che narra più dettagliatamente alcune esperienze degli apostoli riguardo la risurrezione di Gesù. Ci narra l’incontro del Risorto con i dieci apostoli, assenti soltanto Giuda che si era suicidato e Tommaso l’incredulo. Il racconto è limpido, bello, caldo. «La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”». Perché solo il più tardivo dei Vangeli ci narra questo episodio così confortante per la nostra fede? Chissà!

Dopo tutto, questa genuinità delle testimonianze evangeliche sulla risurrezione è per noi una fortuna, perché ci mettono sulla strada giusta per entrare nel significato vero della risurrezione. Ci indicano che la direzione verso cui dobbiamo guardare non è il miracolo, come un fatto storico sorprendente, che qualcuno dotato di macchina fotografica avrebbe potuto anche fotografare. Ma è alla legge più profonda insita nella realtà che dobbiamo bussare per averne la risposta giusta. Non dobbiamo guardare incantati qualcosa fuori di noi, ma nell’intimo di noi stessi, là dove sono radicate le domande più insistenti sul senso del nostro esistere ed esistere così. Nessuno vide il miracolo della risurrezione, perché non è un miracolo; piuttosto fu che gli apostoli e le pie donne fecero esperienza della risurrezione di Cristo, e la testimoniarono, ciascuno sondando la propria esperienza al livello più esistenziale quindi con riferimenti personali, discordanti l’uno dall’altro. L’esperienza personale di ciascuno divenne comunitaria, grazie al legame della carità. Come tante scintille insieme accendono il grande fuoco.

La sfida per la Chiesa cristiana è sempre stata qui: se la sua posizione nella storia della salvezza del mondo sia straordinaria, oppure ordinaria. Se diventare cristiano sia qualcosa in più, oppure sia semplicemente l’aderire in modo intimo a ciò che ci è dato di essere per natura e vocazione. Se la testimonianza del cristiano debba rivestirsi di aspetti miracolistici, oppure debba conservare la naturalezza delle funzioni ordinarie. In altre parole, se il cristiano debba cambiare stile di discorso quando parla delle cose della vita quotidiana e quando parla di Dio. Se debba ridondare di parole e parole sulla risurrezione, come appunto quando uno narra un miracolo, oppure se debba piuttosto significarla nella semplicità quotidiana.

Molti errori storici della Chiesa, quali l’inquisizione, fuoriuscirono dal suo ergersi sopra la natura; e la Chiesa lo fece nel nome di Cristo. Si è parlato di sopranatura, nel senso di superiorità verso la natura. Si è detto che la grazia è soprannaturale, come se nella natura la grazia non fosse a casa sua. Si è squalificata la creazione, opera divina che è alla base di tutto ciò che esiste, per dare risalto alla redenzione compiuta da Cristo, della cui opera la Chiesa si ritiene custode. Ma la redenzione altro non è che il ritorno al Padre dell’origine: squalificando l’origine, si squalifica anche il ritorno ad essa.

La risurrezione è la funzione santa della creazione e della redenzione: unisce e riconcilia le due opere di Dio. Cristo non ci distacca dalla creazione e il battesimo che ha comandato è appunto l’immersione nell’acqua, la linfa della natura, e nello Spirito dell’amore, la linfa della vita divina che è relazione trinitaria. La risurrezione non è esaltazione che distacca, ma esperienza di fede che nuovamente immerge nel cuore dell’esistenza. La risurrezione è la via maestra dell’umiltà pregna di fiducia. Infatti gli apostoli poterono credere soltanto quando la presunzione che li aveva dominati si fu frantumata, la sera del tradimento.

La fede nella risurrezione entra nel cuore umano attraversando gli stati d’animo naturali che formano la psicologia umana. Gli apostoli, la notte della passione, abbandonarono il Maestro e fuggirono. Fuggirono via, ma, pur fuggendo, si fermarono in una casa sicura alla periferia di Gerusalemme, in attesa di non so che. Fuggirono, ma non riuscivano a fuggire del tutto, come se un legame impedisse loro di dimenticare il volto del Maestro. L’uomo, lungo la via della negazione di Dio, s’accorge che non riesce a dimenticare Dio. Così proprio il suo voltafaccia a Dio diventa il sentiero tortuoso per incontrarlo. Anche questo stato d’animo è alito della risurrezione.

La risurrezione è una divina potenza che accompagna l’uomo sempre e non permette che il male operato dall’uomo determini l’uomo nel male. «Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato; date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo» (Lc 6,37-38). La risurrezione è questa misura pigiata, scossa e traboccante che è versata nel grembo della realtà. La risurrezione è l’opera della grazia che sempre vince sull’opera di resistenza alla grazia. L’uomo non è determinato dai suoi misfatti. L’uomo, per una forza intima alla sua natura, sempre risorge.

Nella cultura orientale, come anche in quella occidentale, si parla della legge della reincarnazione, per cui ciò che, al termine dell’esistenza terrena, è ancora imperfetto, ricade nel ciclo della rinascita. Invece, ciò che raggiunge la perfezione è illuminato e liberato dal riciclaggio delle rinascite. Praticamente ciò che l’uomo ha, ciò si reincarna; ma ciò che è, questo risorge, vive eternamente. Il Vangelo annuncia che la forza che anima questa funzione è la carità, e non la perfezione compresa nei termini di arrivo alla stadio di illuminata consapevolezza. E la carità gioca tante e tante sorprese! Così la Maddalena, la prostituta appena convertita al Vangelo, è scelta come la prima grande annunciatrice della risurrezione di Cristo.

Così, stringendomi alla fede della risurrezione, io posso guardare l’ingiustizia e il dolore del mondo rimanendo saldo nella convinzione che nulla va perduto. Ugualmente posso accogliere i benefici del progresso sociale e tecnico che la vita dona a me, nato e cresciuto nell’era della modernità, senza cadere nella visione banale di considerare me fortunato a scapito degli sfortunati venuti al mondo in epoche remote. La visione marxista, così avvincente per le sue promesse di comunione dei beni e di eguaglianza fraterna da raggiungersi ora attraverso la rivoluzione, resta tuttavia insoddisfacente alla considerazione che per le generazioni proletarie venute prima non c’è stata salvezza, ma solo sfruttamento. La fede nella risurrezione tiene aperta in me l’attesa anche dell’ultimo. So che fisicamente le molecole che compongono il corpo di un bambino morto di fame ritorneranno a vivere nella terra e negli alberi. La legge fisica già esprime un richiamo alla risurrezione. Il Vangelo mi annuncia quanto mi era rimasto celato e che rendeva la mia attesa umana insoddisfatta. Mi testimonia che Gesù è risorto, e quindi la persona umana con le sue aspirazioni più profonde risorge. Quanto un bambino affamato ha desiderato ardentemente, ossia di crescere e portare a maturazione se stesso, non va perduto, ma risorge. Tutta l’esistenza è creazione divina: quindi risorge! Però nella carità, ossia sciogliendosi nello Spirito di Dio, dove tutto viene riplasmato nel respiro del perdono. «Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati, saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi”».

p.Luciano

  • Pace con le ferite aperte

La Pentecoste è festa cristiana per eccellenza e, nello stesso tempo, fra le feste cristiane, è quella che forse più di ogni altra rivela il senso universale della festività. Infatti quale festa è più vera e più universalmente riconosciuta di quella che scioglie i nodi della tensione, della paura, dell’angoscia? E Pentecoste è proprio la festa della pace che penetra anche attraverso le mura e le porte chiuse dal timore, che passa attraverso le chiusure e annulla le separazioni, è la festa che rivela la pace al fondo della sofferenza.

Rivediamo l’evento com’è descritto dal Vangelo. Gesù augura la pace e, nello stesso tempo, mostra le mani e il costato. I suoi discepoli lo riconoscono dalle ferite. Il Risorto non è un puro spirito che aleggia, etereo e inconsistente, ma una creatura nuova, che annuncia la pace proprio mentre mostra i segni delle ferite ancora aperte. Gesù augura la pace mostrando le mani e il costato: non solo per farsi riconoscere, ma anche per far vedere i segni delle ferite che porta. Pace con le ferite aperte: è la via della libertà che passa attraverso il dolore. I discepoli lo riconoscono dalle ferite: non riconoscono un volto o una fisionomia, riconoscono le ferite. Nessuno di loro stupisce e dice: «Come mai, se è risorto, se ha vinto, porta ancora i segni delle ferite?». Anzi, Tommaso, di cui a volte compatiamo l’incredulità ma che è anche colui che non cede alle facili suggestioni, proprio in quelle piaghe soltanto trova la conferma che non c’è trucco.

«”Pace a voi!”. Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore». Illuso chi crede che la pace consista nell’evitare il dolore: beato chi riconosce che la pace procede dalle ferite. «Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”. Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi”». Il soffio, lo Spirito Santo, quell’alito di vita che trasmette la vita nuova, che penetra i nodi e li scioglie, esce dalla ferita, entra dalla ferita. Chi non sente la ferita, non riconosce la natura della pace.

Le ferite delle mani, dei piedi, del costato di Gesù riassumono il senso dell’antica ferita e di tutte le ferite del mondo: ferita del vivere e morire, accesso alla pace di vivere e morire: la porta del dolore è porta della pace. Non perché ogni dolore, ogni ferita sia, in sé, segno di pace: ma perché il dolore è nel mondo a indicare il cammino verso l’altrove, verso la pace che nulla incrina.

Il cuore di pace, che si può trasmettere solo se si ha, che si ha solo se lo si trasmette, è il cuore della ferita aperta. Non è una dottrina, non è una norma di comportamento, non è un insegnamento sulla natura della realtà, non è un’esperienza particolare. È il cuore stesso della vita che batte in chi sente la vita battere nel suo cuore e riconosce nel suo battito il battito di tutta la vita: un pulsare, come della ferita che va a guarire: la pace della ferita.

jiso

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