Sab 16 Giu 2007 Scritto da Pierinux AGGIUNGI COMMENTO

Il cuore rivoluzionario del Vangelo

Uno dei farisei lo invitò a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, venne con un vasetto di olio profumato; e fermatasi dietro si rannicchiò piangendo ai piedi li lui e cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di olio profumato. A quella vista il fariseo che l’aveva invitato pensò tra sé. «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi e che specie di donna è colei che lo tocca: è una peccatrice». Gesù allora gli disse: «Simone, ho una cosa da dirti». Ed egli: «Maestro, di’ pure». «Un creditore aveva due debitori: l’uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non avendo essi da restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi dunque di loro lo amerà di più?». Simone rispose: «Suppongo quello a cui ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene». E volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli.Tu non mi hai dato un bac­io, lei invece da quando sono entrato non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non mi hai cosparso il capo di olio profumato, ma lei mi ha cosparso di profumo i piedi. Per questo ti dico: le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato. Invece quello a cui si perdona poco, ama poco». Poi disse a lei: «Ti sono perdonati i tuoi peccati». Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è quest’uomo che perdona anche i peccati?». Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!». In seguito egli se ne andava per le città e i villaggi, predicando e annunziando la buona novella del regno di Dio. C’erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria di Màgdala, dalla quale erano usciti sette demòni, Giovanna, moglie di Cusa, amministratore li Erode, Susanna e molte altre, che li assistevano con i loro beni.

* Il versetto più commovente della bibbia

Shusaku Endo[1], un noto romanziere giapponese, ha scritto molto circa l’impatto del Vangelo sull’animo dei giapponesi buddisti.’ Egli afferma che il versetto in assoluto più commovente dell’intera Bib­bia è: «Quello a cui si perdona poco, ama poco»: parole dette da Gesù al fariseo Simone quando questi in cuor suo condannò la pec­catrice che lavava i piedi di Gesù con le lacrime e li asciugava coi lunghi capelli. «Se costui sapesse chi e che specie di donna è colei che lo tocca: è una peccatrice!».

Lo scrittore giapponese, con la sua sensibilità particolare cre­sciuta nel buddismo, ha colto molto bene la forza dirompente di que­sta semplice espressione. Proviamo anche noi a stare davanti alle pa­role di Gesù e avvertiremo che tante strutture religiose costruite dalla nostra mente crollano. Ciascuno di noi ovviamente desidera appartenere al gruppo delle persone integre che non errano o, se lo fanno, errano in cose piccole e trascurabili. Simone il fariseo era in­discutibilmente uno di quelli che si ritenevano integri. Di conse­guenza si credeva anche più virtuoso degli altri: quindi doveva pro­teggere quell’immagine costruita faticosamente attraverso tanti sforzi. Probabilmente pensava che tenere su la sua immagine fosse anche un dovere verso la casta dei farisei di cui era membro, coloro che chiamavano se stessi i puri. Dopo tutto, era convinto, è Gesù a essere onorato dell’essere ospite a casa mia!

La peccatrice invece conosceva molto bene la sua situazione: di certo non aveva nulla da vantare o da proteggere. I clienti la usavano per il piacere e poi la scaricavano, la buttavano. Quella donna aveva sentito il Vangelo annunciato da Gesù e seguendo quel richiamo ora è qui, accovacciata ai piedi del Maestro seduto a tavola, nella casa dell’altero fariseo. Senza aprire bocca continuava a piangere, a la­vare con le lacrime i suoi piedi e ad asciugarli con i capelli.

La peccatrice era una vera peccatrice e riconosceva di essere peccatrice. È Gesù che apre bocca e la difende dalla critica e dal di­sprezzo del fariseo. Poi la addita come colei che «ha molto amato»: quindi le è molto perdonato. Gesù non dice: amerà dopo che si sarà pentita; ma: «ha molto amato». Faceva la prostituta, eppure nel suo cuore c’era amore. Proprio quell’amore l’ha condotta qui, ai piedi di Gesù, a lavarli con le lacrime, asciugarli coi suoi capelli e cospargerlidi profumo. C’è anche un peccare con amore, anche se il peccato re­sta peccato. Cristo riconosce dove c’è una briciola d’amore, anche qualora fosse nascosta sotto la discarica di cose sbagliate. Chi non ha mai visto un fiorellino sbocciare proprio su un mucchio di rifiuti sca­ricati abusivamente sul ciglio della strada? La discarica abusiva è squallida; ma il fiore è un vero fiore!
«Quello a cui si perdona poco, ama poco»: queste parole sono la rivoluzione del Vangelo! Non si può amare molto, amare inten­samente «come io vi ho amato» (Gv 13,34) secondo il comanda­mento di Gesù, senza prima aver sperimentato di essere perdo­nati. Solo chi sa di essere perdonato può amare dal profondo del cuore e con sentimenti umili. Invece chi non ha memoria di essere stato perdonato non può amare. Qualora dicesse di amare, il suo amore sarebbe inquinato di compiacenza e senso di superiorità; sarebbe un amore che non può né sa non lasciare traccia di se stesso. Ma essere perdonato consegue dal sentire il bisogno di es­sere perdonato; e questo consegue dal constatare di essere un vero peccatore. Quindi solo il peccatore è il potenziale uomo che ama. Del resto solo chi conosce la fitta tenebra sa cantare la bellezza della luce.

L’amore è eterno, perché «Dio è amore» (1Gv 4,8). Il perdono è eterno, perché è il vivaio dell’amore. Il pentimento è eterno, perché è la via del perdono; quindi anche il peccato è eterno, per­ché senza peccato non c’è pentimento, non c’è perdono, non c’è amore. Quando un peccatore si pente anche il cielo ha più gioia! Nemmeno novantanove giusti, che non hanno bisogno di peni­tenza, messi tutti assieme, riescono a convincere Dio a gioire così tanto! Perché la gioia di novantanove giusti, messa assieme, non ha l’umiltà e la genuinità di quella di un solo peccatore che si converte.

[1]: Shusaku ENDO (1923-1996). Di famiglia buddista, dopo la morte del padre rice­vette il battesimo da un missionario francese insieme con il fratello e la madre. Le sue opere maggiori sono tradotte in italiano e pubblicate da Rusconi. Fra queste Il silen­zio e Il samurai.

p.Luciano

* Peccato di amare

Il Vangelo di oggi è un pezzo di brace incandescente: a tenerlo in mano ci si brucia, ma è necessario raccoglierlo per accendere il fuoco. Di fronte a esso ci si sente come dovevano sentirsi gli uomini primitivi davanti al fuoco: di fronte a qualcosa di estremamente peri­coloso, da cui però dipendono il calore e la vita. Infatti il Vangelo di oggi rivela il rapporto che c’è fra l’amore, il peccato e il perdono e ci mostra come essi siano i tre aspetti che identificano la realtà: il mes­saggio impressionante e straordinario è che ognuno dei treaspetti è ineliminabile e necessario, perché i tre si sostengono e si richiamano a vicenda. Se ben compreso è il messaggio che scalda la vita e le dà senso, se mal compreso la distrugge e la riduce in cenere.

Ci sono tre personaggi nella scena: Gesù, Simone il fariseo e la pubblica peccatrice, che una tradizione ha a lungo identificato come Maria, la sorella di Marta. Il fariseo rappresenta la legge, l’ottempe­ranza alla legge fin nei minimi particolari. E’ la funzione e insieme il limite della legge: fa riconoscere e risaltare il comportamento pecca­minoso, ma non riesce a contenere tutta la vitalità della vita. Dice Paolo:

«Io non ho conosciuto il peccato se non per la legge, né avrei cono­sciuto la concupiscenza, se la legge non avesse detto: Non deside­rare. [ … ] Senza la legge infatti il peccato è morto [ … ] la legge, che doveva servire per la vita, è divenuta per me motivo di morte» (Rm 7,7ss).

La legge aiuta a riconoscere il peccato come peccato, ma poi ti lascia lì. Simone il fariseo, infatti, così osservante della legge e pieno di senso di superiorità nei confronti della prostituta, neppure si era accorto di avere a sua volta trasgredito la legge: non dare l’acqua per i piedi, non dare il bacio di benvenuto, non cospargere di olio il capo dell’ospite, sono tutte infrazioni alla legge, piccole fin che si vuole, ma che risaltano proprio in chi si considera a posto con la legge. Sotto la legge nessuno è a posto:

«In virtù delle opere della legge nessun uomo sarà giustificato da­vanti a lui, perché per mezzo della legge si ha solo la conoscenza del peccato» (Rm 3,20).

Ma allora, perché pecchiamo? Perché c’è bisogno della legge per farci riconoscere il peccato, se poi la legge non serve a salvarci dal peccato stesso? Siamo nel cuore della contraddizione che percorre la nostra vita: e la risposta di Gesù getta un fascio di luce sconvolgente: «Le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato. In­vece quello a cui si perdona poco, ama poco». Non si può far finta di non capire: chi ha poco da farsi perdonare è perché poco ha amato, mentre suscita molto perdono chi ha molti peccati, perché ha amato molto. È il peccato che permette all’amore di farsi perdono. Amare fa peccare: il peccato richiama l’amore: l’amore si manifesta come perdono. Che cosa è allora questo amore? E’ un altro nome della vita stessa: chi vive è mosso dall’amore ed esposto al peccato: solo pec­cando, infatti, è possibile riconoscere il peccato come peccato e solo così è suscitato il perdono che riscatta il peccato. Questa è la vera legge della vita: non ha senso cercarne il motivo, perché ogni motivo è inscritto in questa legge della vita, che è legge dell’amore. La fi­gura della prostituta ce lo dice meglio di qualunque spiegazione filo­sofica o teologica: è il suo peccato che la fa piangere e la porta a compiere naturalmente, senza affettazione, quei gesti che la legge prescrive: sì, perché anche la legge nasce dal peccato, come uno specchio in cui si guarda. Questo cortocircuito fra l’inevitabilità del peccato e la prigione in cui rinchiude, provoca il perdono, che è il salto dell’amore oltre se stessi. L’amore, che è vita che genera vita, infatti abbraccia tutto: il peccato, perché è il mio essere vivo che mi fa peccare; la legge, perché è il mio essere nella vita, il mio rapporto con la vita che mi fa accorgere del peccato; il perdono, perché è l’a­more che rientra in sé, che torna alla sorgente dopo il percorso.

In nessun altro punto del Vangelo tutto questo è detto altret­tanto esplicitamente: e del resto l’esperienza di vita di ciascuno di noi ci racconta che le cose stanno proprio così. Chi vuole frainten­dere questo dicorso, intendendo che allora peccare va bene, sa di stare ingannando se stesso: il peccato cui l’amore ci induce non si compiace di sé, anzi ci sferza con la coscienza della contraddizione che è dentro di noi. Solo chi si sente nel giusto si compiace di sé, ma questo è il fariseo, che cerca di nascondersi dietro una legge fatta solo per smascherarlo.

Il Vangelo di oggi termina con le parole: «La tua fede ti ha sal­vata; va’ in pace». Che fede ha mai dimostrato quella donna? La fede di chi si mostra per quello che è, una persona indivisa: quella stessa che pecca è colei che piange, non sono due persone diverse. Per que­sto piange, senza cercare alibi. Da qui scaturisce il perdono e la pace: proprio da quella insanabile contraddizione, perché peccato e per­dono hanno una sola radice, l’amore che riunifica in sé ogni aspetto di tutto ciò che è.

Jiso

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