Sab 13 Ott 2007 Scritto da Pierinux AGGIUNGI COMMENTO

Grazie e gloria

«Durante il viaggio verso Gerusalemme, Gesù attraversò la Samaria e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci leb­brosi i quali, fermatisi a distanza, alzarono la voce, dicendo: «Gesù maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono sanati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce; e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Era un samaritano. Ma Gesù osservò: «Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato chi tornasse a render gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Alzati e va’ – la tua fede ti ha sal­vato!».

* Straniero

E gli altri nove dove sono?». I nove lebbrosi di casa, apparte­nenti all’ortodossia ebraica del tempio di Gerusalemme, non erano tornati indietro a ringraziare. Avevano fatto una lunga strada per ve­nire a chiedere grazie, ma non fecero un passo per ritornare a ren­dere grazie. L’unico a far ritorno fu il samaritano che, per gli ebrei ortodossi, era l’eretico, lo scomunicato, lo straniero. «Non si è tro­vato chi tornasse a render gloria a Dio, all’infuori di questo stra­niero?». Quante grazie abbiamo desiderato e ottenuto nella nostra vita; ma forse quasi mai ci siamo fermati un istante a dire grazie! Perché?

La vita del malato di lebbra è dura tutt’oggi; ma ancor più lo fu nel passato, ai tempi di Gesù. Quindi l’improvvisa guarigione do­veva suscitare una gioia straripante; doveva provocare lacrime di contentezza. Eppure quei nove si dimenticarono di render grazie! Perché?

Nel Vangelo di oggi è lo straniero che rende grazie e gloria; quelli di casa, gli abitudinari, si dimenticano. Ogni mattina noi, aprendo gli occhi, vediamo la luce, le persone, i colori; forse senza provare alcun sentimento particolare che ci spinga a congiungere le mani e rendere grazie con la preghiera del mattino. Assuefatti, ci mettiamo a correre dietro le nostre faccende. Ma chi ha recuperato la vista, no! Vedendo i colori si commuove. Quanta gioia di vivere ci ruba l’abitudine! Quanta gloria sottrae a Dio e alla vita il nostro dare tutto per scontato! Ed esiste anche l’abitudine religiosa. I nove ebrei erano fedeli abitudinari del tempio di Gerusalemme; forse pro­prio per questo non tornarono.

Nessuno rende grazie e gloria per l’incontro con Dio se è un abi­tudinario di Dio. A volte piuttosto sono beati gli atei, a meno che an­ch’essi non siano a loro volta abitudinari dell’ateismo. 1 sommi sa­cerdoti e i farisei non poterono riconoscere il Figlio di Dio in Gesù morente sulla croce; l’unico che lo riconobbe fu il centurione ro­mano, il pagano.

La stessa esistenza ci fu data mentre noi non esistevamo. Ci fu data mentre ciascuno di noi era estraneo a essa: straniero verso la sua esistenza! Nessun nostro merito può darci il diritto di reclamare l’esistenza come ci appartenesse, perché l’esistenza si dischiude dal nulla. Tra l’esistenza e il nulla c’è solo Dio che crea gratuitamente. Chi ignora il nulla ignora Dio. Chi non rende grazie e gloria per il nulla della sua origine, nemmeno lo rende per Dio che lo crea dal nulla. Chi non è familiare con il nulla, non sente il bisogno di ringra­ziare. Ci sono due tipi di cammino religioso: uno in cui l’uomo cerca di rivestirsi di meriti, di titoli, di diritti; l’altro in cui l’uomo si puri­fica e si spoglia di tutto. Il rendere grazie e il rendere gloria dal cuore è solo di chi si spoglia e scopre la sua origine dal nulla.

«Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato!». Cristo proferisce queste parole con il cuore pieno di riconoscenza. Lo rivela il fatto che lui, il Cristo, non si arroga il diritto di trattenere per sé coloro che aveva guarito. Anzi, riconosce che la guarigione fu grazie alla fede del leb­broso stesso. Cristo si sente come straniero, non padrone del prodi­gio compiuto. È stata la fede del lebbroso a concedergli di fare il mi­racolo. Non ne trae alcun vanto, alcun diritto, alcun vantaggio per sé. Essere Cristo è, come il Vangelo annuncia, svolgere la funzione del sale. Il sale si scioglie, risvegliando il sapore di ogni cosa. Il sale scompare e non se ne avverte più il sapore; ma grazie a lui si risve­gliano i sapori originali di ogni alimento in cui il sale si è sciolto. Così Cristo guida il discepolo a essere se stesso e a manifestarlo; poi si ri­tira e ritorna al Padre per rendere grazie e gloria.

p.Luciano

* La fede del non credente

Non si può fare a meno di notare, leggendo il Vangelo, che la maggioranza degli esempi di fede sono riferiti a persone estranee al­l’ambito religioso. In questo particolare caso, poi, questo fatto è messo in evidenza, sottolineato da una proporzione macroscopica, uno contro nove: su dieci persone, una sola, estranea all’ambito reli­gioso, dimostra fede, mentre gli altri nove, che tutto lascia supporre siano ebrei credenti, si dimostrano in-fedeli. È un’occasione propizia per sviluppare il discorso sulla fede accennato nel commento di do­menica scorsa, e in particolare per tornare sulla differenza fra cre­dente e persona di fede. Qui abbiamo nove credenti, nove persone che credono in Mosè e nei profeti, nella legge ebraica, nell’osser­vanza dei precetti, nove persone che certo credono nel Dio d’Israele. E un non credente, uno straniero, un senza legge che vive ai margini della società religiosa ebraica. Tutti sono accomunati dalla terribile malattia che non fa distinzioni fra credenti e non credenti, che non guarda in faccia nessuno. E sono accomunati dal desiderio di guari­gione, che li fa gridare tutti insieme, che li fa invocare dal profondo del cuore la pietà di chi ha il potere di guarirli. Anche questo li ac­comuna: il richiamo verso qualcuno che credono abbia capacità di guarirli. Anche in quel grido, «Abbi pietà di noi», c’è l’urgenza di un dolore che non fa distinzioni: tutti uguali, tutti fratelli nella di­sgrazia. E tutti insieme, ancora, nel seguire il cammino prescritto: Gesù dice loro di seguire la legge, che prescrive di presentarsi ai sa­cerdoti del tempio che devono certificare malattia e guarigione. Non dice loro: ecco, vi ho guarito. Dice: seguite il cammino pre­scritto, fate quanto va fatto. E tutti vanno. E, andando, si risanano. Qui finisce il cammino comune: fin qui ci porta la religione, il no­stro essere credenti, la fiducia nelle persone che indicano la via e nei mezzi per percorrerla, nelle pratiche religiose. Da qui inizia la fede. Da qui in poi ognuno è solo e non può più contare sulle stam­pelle delle sue credenze.

La meta del percorso non è la guarigione. I dieci sono tutti risana­ti, ma non è questo che conta: malattia e guarigione sono stati transi­tori, passeggeri. Certo, il malato fa bene a cercare la guarigione: ma non è questo il terreno delle fede. La fede non è uno stato dell’anima, un bene transitorio che prima non c’è e poi c’è, che va e che viene: la fede è sempre, e sostiene sia la malattia che la guarigione. Se pensia­mo che la meta del nostro cammino sia la guarigione, noi crediamo di sapere già tutto. E una volta guariti, non ci sarà stupore, ma solo l’ot­tenimento di ciò che è dovuto a chi segue il giusto cammino. Il credente crede di sapere: crede di sapere di essere dalla parte giusta, cre­de di sapere qual è la volontà di Dio, crede di sapere come si fa a gua­rire: tutto il suo credere di sapere ottenebra lo stupore e impedisce di dischiudersi alla fede. Il non credente, invece, non ha una struttura a cui appoggiarsi. Ha gli stessi bisogni, la stessa malattia, sente gli stessi impulsi alla guarigione, fa le stesse cose, ma non si aspetta nulla. E quando giunge la guarigione, esplode lo stupore di chi riceve un dono immeritato. «Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro»: qui comincia la fede. Non andare avanti, di guarigione in guarigione, a farsi certificare dai sacerdoti i risultati raggiunti, i risultati attesi e meritati: ma tornare indietro, all’origine, colmi dello stupore di una grazia non meritata, non condizionata, lodando la sua eterna sorgente: questa è la direzione della fede.

Solo lo straniero torna indietro a rendere gloria: e allora, solo al­lora, Gesù parla di fede. Non quando chiedevano la guarigione, non quando furono sanati, non quando vanno al tempio. Ma quando torna uno, da solo, straniero senza patria e senza credo, a rendere grazie del dono gratuito, allora la fede salva. «Alzati e va’, la tua fede ti ha salvato». Qui comincia il cammino della fede: dove termina la religione, sia il credente che il non credente entrano nell’oceano della fede.

Questa è la differenza: la stessa esperienza della vita e la stessa identica guarigione, per nove non sono che il compenso pattuito, per uno è la meraviglia che fa risorgere a nuova vita. Alla nostra pratica religiosa dovremmo chiedere questo: che ci conservi sempre stranie­ri, sempre non credenti, sempre non sapienti, sempre aperti allo stu­pore che fa rendere gloria e dischiude la fede che è il senso della vita.

Jiso

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