Sab 17 Nov 2007 Scritto da Pierinux AGGIUNGI COMMENTO

Con la perseveranza

«Mentre alcuni parlavano del tempio e delle belle pietre e dei doni vo­tivi che lo adornavano, disse: «Verranno giorni in cui, di tutto quello che ammirate, non resterà pietra su pietra che non venga distrutta». Gli domandarono: «Maestro, quando accadrà questo e quale sarà il se­gno che ciò sta per compiersi?». Rispose: «Guardate di non lasciarvi ingannare. Molti verranno sotto il mio nome dicendo: “Sono io” e: “Il tempo è – prossimo” ‘ non seguiteli. Quando sentirete parlare di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate. Devono infatti accadere prima que­ste cose, ma non sarà subito la fine». Poi disse loro: «Si solleverà popo­lo contro popolo e regno contro regno, e vi saranno di luogo in luogo terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandi dal cielo. Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, tra­scinandovi davanti a re e a governatori, a causa del mio nome. Questo vi darà occasione di render testimonianza. Mettetevi bene in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò lingua e sapienza, a cui tutti i vostri avversari non potranno resistere, né controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e met­teranno a morte alcuni di voi; sarete odiati da tutti per causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo perirà. Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime».

* L’eschathon giorno per giorno

Il Vangelo di questa domenica tratta ancora dell’annuncio del­l’eschaton, l’aspetto ultimo della realtà, dando però corpo fisico alla visione angelica del Vangelo di domenica scorsa. Nel testo i due brani si susseguono, perché indivisibili. «Quelli che sono giudicati de­gni… della risurrezione nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli» (Lc 20,35-36). Saremo uguali agli angeli! È un an­nuncio soave e lieve! Ma è troppo facile interpretarlo come la feli­cità di un altro mondo, di un altro tempo! Qui e ora invece la realtà è dura; la morte è un fenomeno fisico reale! «Verranno giorni in cui, di tutto quello che ammirate, non resterà pietra su pietra che non venga distrutta». Sarà distrutto perfino il tempio di Gerusalemme costruito secondo le prescrizioni bibliche, saranno distrutti tutti i templi, an­che la cupola di San Pietro, anche le cattedrali gotiche, anche le pa­gode e le moschee. I muri dei templi possono essere restaurati o ri­costruiti; la Cappella Sistina può essere riportata ai colori originali di Michelangelo: tuttavia tutto sarà distrutto, prima o poi, perché attra­verso la distruzione del tempo fenomenico si manifesta quello eterno. Verrà il giorno in cui non daranno più la loro luce né il sole, né la luna, né le stelle: lo insegna anche la scienza! Sarà distrutto an­che il tempio dei templi, il corpo umano. Non c’è altra via per risor­gere che quella di accogliere la morte che viene dentro la vita. Sì, perché solo accogliendo la morte si accoglie la vita: la vita che non accoglie di morire non accoglie se stessa.

Perché la vita è così visitata da tante difficoltà e perfino dalle guerre? Gesù non imbroglia nessuno con rosee promesse di tran­quillità interiore o esteriore. «Metteranno le mani su di voi e vi perse­guiteranno… trascinandovi. Questo vi darà occasione di rendere testi­monianza». Il Vangelo ribadisce che l’uomo ha in se stesso la forza di attraversare la bufera della realtà: quindi lo invita a esporsi, a non temere, a non retrocedere. L’eschaton, ossia la visione dell’aspetto ultimo della vita, dona audacia. A come chi guida l’automobile in un tunnel dove non si vedono che pareti opprimenti; quando finalmente esce fuori, ecco! può spaziare con lo sguardo lontano sulle catene montuose. Posare lo sguardo lontano, sull’orizzonte ultimo, fa respi- rare grande e profondo, ridona slancio. Quando ci barricchiamo dentro i nostri problemi e idee fisse, la via della liberazione si allon­tana; ma se posiamo lo sguardo sul vasto panorama, verso l’infinito del cielo, la via si apre.

Il vento stimola l’albero a radicarsi in profondo nel terreno; così ciascuno di noi, resistendo nel bel mezzo degli eventi, si radica in profondo nella convinzione che illumina la sua vita. La convinzione è la base della testimonianza. A volte noi pensiamo che la testimo­nianza consista nel dire certe parole sante, forse citandole dal testo del Vangelo. Ma ciò che è citazione non è testimonianza, bensì ripeti­zione, teoria. Spesso la teoria disgusta chi l’ascolta, perché è roba da mestieranti, è volatile e senza il peso della convinzione personale. La testimonianza invece è un fremito di vita che si trasmette da persona a persona. A volte è soave come un profumo, a volte è penetrante come una spada, a seconda che la persona che la riceve in quel momen­to necessiti del profumo o della spada. Più la testimonianza è una re­cita senza convinzione, e più si dicono parole e parole a vanvera. Se la testimonianza è autentica, sovente basta il solo silenzio. Senza la tri­bolazione, non si dà la lotta, senza la lotta non si dà la resistenza, sen­za la resistenza non si dà la convinzione, senza la convinzione non si dà la testimonianza; senza la testimonianza la vita non trasmette la vi­ta. Chi vede l’aspetto ultimo delle cose comprende.

«Mettetevi ben in mente di non preparare prima la vostra difesa», ammonisce il Vangelo. Chi è nella paura ha in mente soltanto come difendersi; prepara la sua difesa perché non ha pace. Invece per chi affronta la vita con coraggio, quello stesso coraggio è la sua difesa momento per momento, come la robustezza del corpo è la miglior difesa della salute da virus patogeni. $ chi vive il momento presente, compiendo la volontà di Dio in quel momento, che, di fronte alla dif­ficoltà, ha la forza di superarla. E’ chi vive la vita con dedizione che, al momento della morte, non retrocede.

«Nemmeno un capello del vostro capo perirà. Con la vostra per­severanza salverete le vostre anime». Il conflitto della vita e della storia è arduo, forse infuocato. Eppure quanta pace e quanta fidu­cia! Nemmeno un capello del capo sarà perduto. Questa fiducia è la risurrezione già in atto. Come sono serene e semplici le persone che si sono lasciate provare dalle avversità della vita, resistendo nella fede! Quale valanga di parole inutili sperpererà nella vita l’uomo immaturo: è come un vaso bucato che non trattiene la pioggia! Tut­to perché si è sottratto all’opera di purificazione e di ritorno all’es­senziale che avrebbe attuato in lui, giorno dopo giorno, il confronto con le avversità! Bramando la tranquillità, di fatto resta scontento e irrequieto!

Noi ricerchiamo i ritiri spirituali e le pratiche religiose, aderia­mo a questo o a quel gruppo spirituale, ma spesso la motivazione vera che si annida sotto tutto ciò è di fuggire dallo scontro con la realtà della vita. E lo vogliamo fare in modo elegante, religioso. Appariamo come santi, mentre siamo soltanto degli scontenti. Non dimentichiamo mai che l’esercizio spirituale vero è la costanza nel­la vita!

p.Luciano

* La visione senza oggetto: non lasciarsi ingannare

C’è una parola chiave nella terminologia dello Zen che appar­tiene alla sensibilità religiosa dell’estremo oriente. t una parola che nasce dalla più immediata e profonda comprensione della vita da parte dell’uomo orientale, prima ancora che si dica buddista o se­guace di altre credenze religiose. Quella parola è «mujo», che solita­mente è reso in italiano con impermanenza, e significa più precisa­mente non continuità, non durata. $ il punto di partenza a cui sem­pre siamo obbligati a tornare: tutto passa, tutto trascorre, non c’è nulla che abbia immutabile stabilità, nulla su cui poggiare i piedi, che non sia a sua volta in movimento e passeggero. Anche la filosofia greca era partita dalla medesima osservazione: «panca rei» – tutto scorre: ma poi aveva finito per credere nell’immota eternità di un mondo delle idee, prototipo immutabile delle cose in mutamento. La visione orientale, invece, e in particolare quella Zen, vede nulla di stabile: non solo le cose materiali, ma anche le idee, le concezioni, le categorie. Nulla sfugge alla transitorietà, nulla è imperituro. Non vi è nulla, dietro alla realtà in continuo mutamento, che la sostenga su una base immobile: non c’è uno schermo su cui si proietta il film della realtà. Ma questo, lungi dall’essere una visione disperante di mancanza di senso, è invece la porta che dischiude la via della li­bertà: libertà non come arbitrio, ma come liberazione dalla schiavitù di una norma oggettiva, imposta sulla realtà dall’esterno, e come scoperta della norma intrinseca alla realtà, il «darma», che è quiete e movimento, vuoto e forma a un tempo. Libertà è conformarsi alla norma intrinseca alla realtà, che la realtà stessa rivela senza nulla di recondito. Il grande maestro Zen indiano Bodidarma, vissuto at­torno all’anno 500 d.C., si recò in Cina per trasmettere l’essenza del­l’insegnamento di Budda. Ivi giunto, ebbe un colloquio con l’impe­ratore Wu. Questo colloquio è divenuto uno dei più famosi «koan» Zen. Lo riporto qui di seguito, perché esprime, con le parole proprie dello Zen, quel messaggio centrale del Vangelo di oggi, che è quello di non lasciarsi ingannare da nessuna apparenza.

L’imperatore chiese: «Qual è l’essenza, il significato primo del sa­cro insegnamento?».
Bodidarma rispose: «Nulla di sacro, diffuso oltre ogni limite».
L’imperatore allora chiese: «Chi è che mi sta di fronte?».
Bodidarma rispose: «Non lo conosco».
L’imperatore non comprese e Bodidarma si recò nel tempio Shao Lin dove rimase per nove anni seduto immobile di fronte al muro.
Cadrà il tempio, si sgretoleranno le cose più sacre. Nulla di ciò che si ritiene sicuro reggerà. Non c’è nulla che sia al riparo dal vento della distruzione, nulla che garantisca un riparo sicuro: come si fa a riporre la fede nelle cose che passano? «Guardate di non lasciarvi ingannare. Molti verranno sotto il mio nome dicendo: “Sono io” e: “Il tempo è prossimo”‘ – non seguiteli»

La fede non va neppure riposta in chi imita un modello, fosse il modello stesso di Gesù: un modello non è che un idolo, che prima o poi si sgretola. Il cielo e la terra tre­mano e periscono, tosi come hanno avuto origine: neppure in essi è possibile riporre la fede, perché non sono una base sicura. Una sola cosa offre l’appoggio sicuro, una sola cosa non muta: quel mio nome che Gesù ci ricorda, quel nome annunziato dal profeta: «Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emma­nuele», che significa Dio con noi (Is 7,14). Nulla che sia fuori di noi, intorno a noi, di fronte a noi può costituire la fonte della fede certa, la base della nostra vita vera. Solo Dio con noi, Dio in noi, certo come il fatto che siamo, perché siamo per Dio, può essere il fonda­mento di una fede che il crollo di tutto non trascina con sé.

Quel nome attira l’odio, nei momenti della paura, di chi ripone la fede e la ragione del suo agire nelle cose di fuori: cose che crollano, una per una, e che lasciano sgomento chi aveva riposto in esse la sua fiducia. Se Dio è il Dio con noi, non c’è nulla in cui credere fuori di sé: non c’è crollo che possa privarci di Dio, perché l’essere che è è
sempre presente.

«Dove andare lontano dal tuo spirito,
dove fuggire dalla tua presenza?
Se salgo in cielo, là tu sei, se scendo negli inferi, eccoti.
Se prendo le ali dell’aurora per abitare all’estremità del mare, anche là mi guida la tua mano e mi afferra la tua destra.
Se dico: “Almeno l’oscurità mi copra e intorno a me sia la notte”,- nemmeno le tenebre per te sono oscure,
e la notte è chiara come il giorno;
per te le tenebre sono come luce» (Salmo 139).

Questa fede senza oggetto può suscitare l’odio di chi ha creduto in oggetti e li vede perire. «Ma un capello dal vostro capo non perirà. Nella vostra perseveranza acquisite la vostra anima». È la perseve­ranza della visione di Dio in noi che ci fa divenire noi stessi, quello che davvero siamo.

«Se ambisci ad acquisire questo, subito devi impegnarti in questo [ … ] se a lungo compi questo, certamente tu diventi questo. Lo scri­gno dei tesori si apre da se stesso e tu ricevi e usi a volontà».’

E. DoGHEN, La forma dello zazen che è invito universale (nostra traduzione).

Jiso

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