Dom 4 Nov 2007 Scritto da Pierinux AGGIUNGI COMMENTO

Il bambino interiore

Entrato in Gerico, attraversava la città. Ed ecco un uomo di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere quale fosse Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, poiché era piccolo di sta­tura. Allora corse avanti e, per poterlo vedere, salì su un sicomoro, poiché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fer­marmi a casa tua». In fretta scese e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «E’ andato ad alloggiare da un peccatore!». Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri, e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Gesù gli rispose: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch’egli è figlio di Abramo; il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».

* Si arrampica sull’albero

La gente disprezzava Zaccheo, l’esattore delle tasse: lo chiamava il pubblicano e lo segnava a dito come peccatore. Forse sulle prime Zaccheo aveva reagito ai giudizi della gente, forse aveva tentato di mostrarsi differente da quello che tutti dicevano. Poi forse aveva fi­nito per arrendersi a quello che tutti pensavano: sì, lui è un pubbli­cano, un tizio pericoloso, un violento. Non gli restava che usare alla meglio la situazione: se tutti lo ritenevano un truffatore, non gli re­stava che continuare a truffare. Ormai la sua sorte era segnata!

Invece un giorno gli balzò alla mente un’idea ridicola, non degna di un uomo temuto dagli altri: l’idea di fare quello che farebbe un bambino in tale situazione. In Zaccheo si era risvegliato il suo bam­bino che teneva sopito e nascosto per fare l’adulto. Stava passando Gesù e la gente faceva ressa attorno a lui, al punto che Zaccheo, anche se uomo temuto e forte, per la sfortuna di essere basso di statura non poteva vedere quel personaggio che era sulla bocca di tutti. In viso alla gente com’era, nessuno era disposto a cedergli il passo pe avvicinarsi. Zaccheo toccò con mano la sua impotenza e il suo limite lui abituato a incutere paura agli altri. Ecco allora che, in quel oro giuolo, il bambino dentro di lui si svegliò e gli suggerì una bambi nata: lui, esattore delle tasse nel nome del re Erode e dell’impersatore Cesare Augusto, avrebbe corso in avanti, senza farsi notare passando dietro i cespugli e avrebbe raggiunto il sicomoro al ciglio della strada. Vi si sarebbe arrampicato e si sarebbe nascosto tra le foglie. Da lassù avrebbe potuto vedere Gesù che passava.

E se qualcuno l’avesse scoperto, che figura! Ma in quel momento Zaccheo obbediva al suggerimento del suo bambino interiore. Da quel gesto cominciò per Zaccheo una nuova vita: si liberò dell’idea che si era fatto di se stesso e fece ritorno a essere semplice e gene­roso come Dio lo aveva pensato creandolo. Divenne se stesso. Quello che gli altri pensavano di lui e quello che lui stesso aveva pensato di sé: quelle maschere e quelle catene erano cadute.

«Da questo conosceremo che siamo nati dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore qualunque cosa esso ci rimprove­ri. Dio infatti è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa» (1Gv 3,19-20).

Quando un uomo perde la fiducia in se stesso, Dio non perde la fiducia in quell’uomo. L’uomo spesso non conosce il suo volto origi­nario, ma soltanto quello che gli altri dicono di lui o che lui pensa di se stesso. O si sopravaluta diventando vulnerabile come un pallone gonfiato, oppure si sottovaluta smarrendosi nella nebbia della sfidu­cia. Quando è sfiduciato l’uomo diventa cattivo verso di sé: non si accoglie e per questo si dà guerra. Ma Dio è più grande del nostro cuore: quindi vede la realtà da un punto di vista più alto e libera l’uomo dalla prigione delle sue idee, conducendolo alla vera cono­scenza di sé. «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Cristo conduce Zaccheo nella sua casa.

Quando il volo di una farfalla distrae l’uomo dalle sue idee irrigi­dite e gli mette addosso la voglia di camminare per il prato, per quel­l’uomo incomincia una nuova vita. Beati siamo noi se, almeno una volta nella vita, mettiamo da parte i nostri titoli e i nostri schemi, tutto ciò che è protocollo, e liberiamo il bambino che è dentro di noi, lasciandolo giocare, lasciandolo arrampicare sugli alberi. Forse la gente ci prenderà in giro o, comunque, diminuirà la sua stima verso di noi. Ma Cristo no! E’ chiamato Logos, ossia la custodia del pen­siero originario di Dio. Noi smarriamo il nostro volto originario, ma Cristo lo custodisce e ci conduce a ritrovarlo. Eihei Doghen diede ai suoi scritti, che trasmettono l’insegnamento dello Zen, il nome di Custodia della visione originaria [Shoboghenzo]. C’è senz’altro qual­cosa che comunica profondamente tra custodia del volto originario e custodia della visione originaria.

Quant’è importante per ciascuno ritrovare il suo volto origina­rio! È il volto che costituisce ciascuno persona unica e irripetibile; nello stesso tempo è il volto di fratello tra fratelli. Come ogni stelo d’erba, unico e irripetibile, aggiunge la sua parte al prato. Da un ge­sto da bambino che strappa la maschera tutto può ricominciare!

p.Luciano

* La visione immediata: il volto originario

L’episodio di Zaccheo è veramente difficile da commentare! Se ci limitiamo a leggerlo o ad ascoltarlo è un episodio molto simpatico che, subito prima dei terribili discorsi di Gesù sulla fine di Gerusa­lemme, comunica un senso di grande calore umano. Zaccheo ci ap­pare un personaggio spontaneo e un po’ buffo, anche fisicamente, che si arrampica sugli alberi, in contrasto con l’odioso mestiere che esercita e con cui si è arricchito, sulla pelle degli altri. Gesù ci appare ancora una volta ricco di spirito, anche nel senso di spiritoso: coglie al volo la carica di umanità di quel personaggio tristemente famoso appollaiato su di un albero e si diverte a scompigliare le convenzioni sociali e i pregiudizi morali della gente, cogliendo l’occasione per dare una lezione affettuosa di libertà. Lo leggiamo con piacere que­sto episodio, e il piacere è dovuto anche al fatto che ci pare che esso si commenti da solo, che non ci sia nulla da aggiungere.

Qui, sull’albero di Zaccheo, non ci sono i grandi appigli: non è in gioco la fede, non si verificano miracoli, non si parla di amore. C’è un piccolo uomo curioso, ricco, famoso e odiato, che si arricchisce in modo iniquo ma coperto dalla legge, cui viene voglia di vedere quale fosse questo Gesù, circondato da una folla osannante. Non ha nulla da chiedere, non ha un malato da far guarire, non sale lassù per fede: vuole solo vedere di persona, e si cerca il posto migliore per godersi in pace la vista. Gesù lo riconosce non in virtù di un’intuizione dello spirito, ma semplicemente perché tutti conoscevano Zaccheo, il capo degli esattori. Lo riconosce e lo chiama: «Zaccheo, scendi su­bito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». A come se avessero un appuntamento, che tutti e due sapevano di avere, pur senza esser­selo dato in anticipo. L’uomo cattivo appollaiato tutto solo lassù su un albero e il maestro buono circondato dalla folla adorante. Gesù lo riconosce immediatamente, era lui che cercava, anche se non stava cercando nessuno: «…oggi devo fermarmi a casa tua». Gesù lo riconosce subito, perché Zaccheo si fa riconoscere immediatamente, senza mediazioni: sta là, da solo, è andato per vedere e, così facendo, si fa vedere per quello che è. È un uomo abituato a essere visto, per­ché è famoso: tutti quelli che lo vedono nel vederlo lo giudicano, e lui lo sa: è un processo automatico. Gesù blocca questo processo: lo vede, lo riconosce e basta. Vede solo Zaccheo, figlio di Abramo, e non va oltre: vede lo Zaccheo che gli altri non vedono più, abituati come sono a identificarlo con la sua funzione. Vede, diremmo con parole familiari allo Zen, il volto originario di Zaccheo. Il quale, fi­nalmente, si sente riconosciuto.

Questo Zaccheo è veramente un tipo sveglio. Non si perde in chiacchiere, in piagnistei di pentimento, in salamelecchi devozionali: sa qual è la sua colpa e il suo modo di riconoscerla è concreto e im­mediato. La velocità di questo rapporto ci illumina: è la velocità della luce che permette di vedere le cose come sono nel momento stesso che sono. Questo è il volto originario delle cose: quello a cui nulla si aggiunge. Gesù salva Zaccheo perché lo vede, vede il volto di Zaccheo che è dietro l’immagine di Zaccheo. Zaccheo è salvato perché si fa vedere, mostra il suo vero volto come è prima del for­marsi della sua immagine pubblica, prima dello Zaccheo che tutti co­noscono, anzi credono di conoscere. Lì c’è la salvezza, perché il volto originario brilla sotto le maschere dell’ignoranza e della colpa e, ap­pena riconosciuto, opera naturalmente in modo da riparare i torti.

Jiso

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