Dom 30 Dic 2007 Scritto da Pierinux AGGIUNGI COMMENTO

I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo”.
Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Dall’Egitto ho chiamato il mio figlio.
Morto Erode, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e và nel paese d’Israele; perché sono morti coloro che insidiavano la vita del bambino”. Egli, alzatosi, prese con sé il bambino e sua madre, ed entrò nel paese d’Israele.
Avendo però saputo che era re della Giudea Archelào al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nelle regioni della Galilea e, appena giunto, andò ad abitare in una città chiamata Nazaret, perché si adempisse ciò che era stato detto dai profeti: “Sarà chiamato Nazareno”.

* Cammino fedele tra realtà e sogno

Il Vangelo della domenica che cade nella settimana dopo il Na­tale, detta anche della santa Famiglia, narra le peripezie a cui andò incontro la famiglia di Giuseppe e Maria dopo la nascita di Gesù. Nel racconto traspaiono sia elementi sicuramente storici, sia altri di valore simbolico che si intrecciano per annunciare un unico insegna­mento: il Vangelo della Provvidenza. Uno degli elementi simbolici può essere la fuga in Egitto, in cui viene ripresa e riassunta la storia della cattività in Egitto del popolo ebraico e della sua liberazione. Erode che ordina la strage degli innocenti riattualizza il dramma del­l’oppressione antica perpetrata dal faraone.

Il dramma della schiavitù dovuta all’oppressione del potere e de­gli interessi è attuale sempre e non fa meraviglia che lo scrittore sa­cro lo descriva intrecciando le vicende del neonato Gesù con la sto­ria passata di tutto il popolo. È il dramma che tuttora continua nella nostra storia, proprio con le stesse modalità della strage degli inno­centi. Sono i meninos de rua del Brasile, i bambini che muoiono per deperimento dovuto alla fame oppure per mancanza di medicine, i bambini uccisi o mutilati nelle guerre. Sono i bambini ai quali è ne­gata la possibilità di nascere. Sono i bambini delle famiglie ricche, dove il consumismo delle cose e dei giocattoli soffoca la naturalezza del loro sorriso.

«Alzati, prendi il bambino e sua madre e fuggi…, e resta là…, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo». Perché tanta paura in Erode per la nascita di un infante, figlio di poveri senza ca­sa? Perché un bambino mette addosso a un re quella paura che que­sti non aveva sentito nemmeno davanti all’imperatore di Roma? Se fosse apparso un segno portentoso nel cielo, Erode si sarebbe pro­strato in adorazione; invece perseguita il Dio bambino. Non fa pau­ra un Dio che resta nel cielo, ma che sceglie di vivere come uomo tra gli uomini. Non fa paura il Dio onnipotente che sta lassù, ma il Dio che si incarna impotente quaggiù.

«Sarà chiamato Nazareno». Era stato detto dai profeti che così sarà chiamato: quindi così era il pensiero del Padre su di lui da sem­pre. Volontà eterna di Dio che la santa famiglia comprende nell’in­treccio tra situazioni difficili e pericolose e annunci di angeli che par­lano a Giuseppe nel sonno per indicare la via. Fatti che accadono fuori di noi e voci dal profondo del cuore dentro di noi: questa è la luce concessa all’uomo per comprendere la vita e viverla con dedi­zione: illuminare i fatti con la fede e rendere ragione della fede gra­zie alle prove dei fatti. Così si muoveva Giuseppe, l’uomo della con­cretezza e dei sogni. In questo modo Giuseppe è sempre all’altezza del suo dovere e conserva la sua dignità.

Il paese di Nazaret non godeva di una grande stima. Natanae­le, quando udì dall’amico Filippo che era apparso il Messia e che proveniva da Nazaret, esclamò: «Da Nazaret può mai venire qual­cosa di buono?» Gv 1,46. Essere chiamato nazareno significava quindi essere uno di campagna, con un grado di cultura piuttosto basso. Anche essere preso in giro da quelli dei paesi vicini più im­portanti. È questo l’ambiente umano dove la sacra famiglia va a ri­siedere. Li Gesù «cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52).

Il Vangelo della santa famiglia indica alla famiglia che è la Chie­sa come percorrere la via: dialogare tra la voce degli angeli che par­lano nel sogno e la crudezza dei fatti che accadono lungo la strada della storia.

Ogni famiglia umana, costituita da genitori e figli, da bambini, adulti e anziani, è come una piccola umanità, un piccolo genere umano; se la famiglia è cristiana è anche una piccola chiesa domesti­ca. Nessuna famiglia può dimenticare la sua vocazione originaria a essere pellegrina sulla terra vivendo la comunione nella differenza di individui. Questo amore che unisce e rispetta è la sua stabilità e il suo dinamismo. La stabilità basata su altri valori, anche se tanto in voga come la sicurezza economica, sono surrogati. Che vale avere la seconda o tripla casa, se non esiste l’unica vera casa che non consiste in mattoni? Che vale assicurare le persone e i beni patrimoniali, se non è sicuro l’amore reciproco tra i componenti la stessa famiglia? Ci immaginiamo la santa famiglia, se vivesse oggi, alla ricerca delle assicurazioni? Quanto perdiamo di libertà e agilità arroccandoci alle sicurezze!

La Chiesa cammina libera e fedele, dialogando tra il realismo dei fatti e il sogno che nutre nel cuore, senza frapporre né diploma­zie, né baluardi di difesa. La Chiesa, cammina così, sa che l’epoca in cui Dio l’ha chiamata a vivere la testimonianza del Vangelo è la più autentica per lei e non la scambierebbe con nessun’altra. Come Giu­seppe e Maria cammina fedele, guidata dal sogno della fede che illu­mina i fatti e verificata dai fatti che accadono testimoniando l’auten­ticità del sogno della fede.

p.Luciano

* Zen Giuseppe

La figura di Giuseppe è così intimamente familiare alla sensibi­lità e all’atmosfera dello Zen che, se lo inserissimo in una storia che narra di quel contesto, nessuno penserebbe che c’è un intruso, pro­veniente da altrove. Colgo tre aspetti di questa familiarità.

Giuseppe è l’uomo che ascolta tacendo. È forse l’unica figura di rilievo del Vangelo che non pronuncia una sola parola. In totale si­lenzio, svolge un ruolo estremamente delicato. Il suo tacere non è un semplice star zitto: tace per ascoltare meglio, per intendere, ascoltando, la voce interiore e i suggerimenti della realtà circostan­te. Per capire quale sia davvero la sua parte, cosa debba fare in una situazione così delicata e senza precedenti, così unica e non conven­zionale, in un ambiente (quello dell’antichità ebraica) dove le con­venzioni (la legge) sono tutto.

Giuseppe è l’uomo che discerne sognando. La capacità di discer­nimento di Giuseppe è delle più sottili. È un uomo che sogna, che non si appiattisce sulla realtà ma la anima con la sua fantasia, con il sogno. Egli dà retta al suo vero sogno. Come è difficile distinguere un sogno vero da uno falso! Chissà quanti sogni faceva Giuseppe. Eppure dà retta soltanto a quello vero. Egli sa che il suo sogno vero è più vero della realtà che lo circonda e che vorrebbe condizionarlo. Perciò gli dà retta contro ogni buon senso. Perché Giuseppe sogna a occhi aperti, sveglio e attento, senza farsi ingannare dall’apparenza delle cose e dei sogni.

Giuseppe è l’uomo che agisce obbedendo. Dal silenzio e dall’a­scolto, dal sogno e dal discernimento, Giuseppe ricava il metro della sua azione e a esso obbedisce. Obbedendo al suo sogno, fa esatta­mente ciò che è richiesto che faccia: la sua parte, il suo ruolo, non è un mestiere, non è un’occupazione: è se stesso. Nel fare la sua parte si annulla e si realizza insieme. Come un uccello che vola alto e libe­ro in cielo, dà tutto se stesso nel volo e non lascia tracce nel sentiero del cielo. Giuseppe, sveglio sognatore silenzioso, è l’uomo religioso in cui le religioni si specchiano e si riconoscono.

Jiso

* Chi ama l’oscurità odia la luce

Una cosa che stupisce, leggendo il Vangelo, è il constatare l’in­tensità dei sentimenti di odio e di amore che Gesù suscita attorno a sé. Da una parte infatti è odiato fin dal suo nascere, è perseguitato durante la sua vita e infine muore a causa dell’odio; dall’altra parte però è anche oggetto di un amore assoluto, incondizionato, da parte di coloro che desiderano cambiare la loro vita e che sono disposti a rinunciare a tutto per seguirlo.

È a ben vedere l’invito al cambiamento in direzione di una vita rinnovata, più autentica, che Gesù rivolge a tutti coloro che incontra sul suo cammino, a suscitare sentimenti così intensi e contrapposti. Chi non vuole cambiare, chi vive nel suo piccolo mondo fatto di pri­vilegi, di abitudini, idee consolidate, giudizi inopinabili sotto il pro­filo logico, si sente minacciato alla prospettiva di un qualsiasi cam­biamento: egli vive nell’oscurità del suo piccolo mondo e teme di spalancare la finestra e fare entrare la luce, perché alla luce tutto as­sume una fisionomia diversa e ciò che è brutto non può più essere nascosto. Ma come, potremmo obiettare, non è forse una cosa posi­tiva essere capaci di esprimere valutazioni sulla base di precise con­vinzioni? I nostri giudizi non testimoniano forse della nostra intelli­genza, della chiarezza che è in noi? È Gesù stesso che risponde a questa obiezione quando ci dice: «Io sono venuto in questo mondo per giudicare, perché coloro che non vedono vedano e quelli che ve­dono diventino ciechi» (Gv 9,39)

Chi è aperto al cambiamento, chi è disposto a mettersi in discus­sione, non ha difficoltà ad accogliere questo insegnamento. Chi è le­gato alle proprie certezze è invece chiuso in se stesso, si sente minac­ciato da questa pericolosa ingerenza e reagisce con un atteggiamen­to di rifiuto che può sfociare in vero e proprio odio.

È veramente sorprendente osservare come spesso preferiamo vivere nell’ansia, nella sofferenza e nella insoddisfazione piuttosto che attuare anche solo un piccolissimo cambiamento. Mi capita infatti spesso di fare questa esperienza: un conoscente mi confida alcuni suoi problemi e si lamenta della poca felicità che la vita gli ha riservato. Se offro consigli per tentare di migliorare la situazione, questi vengono accolti con disattenzione, quasi che in realtà egli non desideri veramente risolvere i problemi, quanto piuttosto sfogarsi, con qualcuno. Poi capita che ci si perde di vista; passano gli anni e alla fine il caso vuole che ci si incontri di il vecchio rapporto confidenziale: quasi sempre nel prendere atto che nulla è cambiato nella vita di quel conoscente; che nessun tentativo di risolvere quei problemi è stato fatto: l’infelicità appare preferibile a un eventuale cambiamento.

La luce può entrare nella nostra vita solo se spalanchiamo la fi­nestra; spalancare la finestra significa essere disposti, momento do­po momento, ad andare oltre i limiti dei nostri pensieri, delle nostre ristrette vedute, delle nostre abitudini.

Annamaria Tallarico

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