Sab 5 Gen 2008 Scritto da Pierinux AGGIUNGI COMMENTO

Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode. Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme e domandavano: “Dov’è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo”.
All’udire queste parole, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, s’informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Messia.
Gli risposero: “A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te uscirà infatti un capo che pascerà il mio popolo, Israele.
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire con esattezza da loro il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme esortandoli: “Andate e informatevi accuratamente del bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo”.
Udite le parole del re, essi partirono. Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia.
Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra.
Avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.

* I naturalisti dell’oriente e i sacerdoti del tempio

LLa festa dell’Epifania (6 gennaio) in cui la Chiesa legge questo testo evangelico è la punta più alta o profonda del ciclo natalizio. Quindi l’ascolto di questo brano di Vangelo, liturgicamente assegna­to all’Epifania, si addice a tutto il periodo natalizio e alla stessa so­lennità del Natale (25 dicembre), in cui vengono letti brani dal Van­gelo secondo Luca (messa della mezzanotte e dell’aurora) e di Gio­vanni (messa del giorno).

La nascita di Cristo ci è narrata nel Vangelo secondo Matteo attraverso l’episodio dei magi dell’oriente venuti a Gerusalemme per adorare il bambino, guidati da una stella. È ovvio che il racconto sia carico di significato allegorico, mettendo in rilievo il contrasto tra il re secondo il mondo, Erode, con tutta la sua corte e i grandi sacerdoti, e il re secondo lo Spirito, il bambino nato in una stalla da una semplice fanciulla, per la legge umana ragazza madre.

«Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». A me piace molto osservare le stelle, ma non ho mai pensato che le stelle possano rivelare dei messaggi di questa portata. Ai magi del’oriente rivelarono che era nato il Figlio di Dio e che era nato in una terra oscura, marginale sia per l’oriente come per l’occidente: era nato in una stalla della Palestina. Come fecero a comprendere dal silenzio delle stelle tale messaggio?

I magi compresero ascoltando il silenzio della natura, delle stelle. compresero e si misero in viaggio. Quando la stella scomparve, la prova li infatti viene per tutti, fecero uso della parola e chiesero a chi, secondo loro, doveva essere al corrente di quella nascita. Chiesero a Erode, ossia al potere secondo il mondo, e questi girò la domanda ai sommi sacerdoti del tempio. Questi scrutarono la Bibbia, trovarono dei riferimenti geografici circa il luogo della sua nascita, ma non si erano accorti che fosse già nato e non sapevano nulla. Sapevano a memoria la Bibbia, eppure non sapevano nulla di ciò che accadeva. Perché alcuni vedendo le stelle comprendono così profondamente da mettersi in viaggio, affrontare tutte le difficoltà e le incompren­sioni per andare ad adorare un fanciullo nato in una capanna? E per­ché altri, pure scrutando i testi sacri, oppure avendo tra le mani il potere e il controllo della situazione, non comprendono nulla?

La stella, la capanna, il bambino e sua madre, la scrittura, il tempio, il re Erode ecc. sono tutte componenti della nostra vita, sono tutti fattori che abitano dentro di noi. I magi avevano rag­giunto una decisione forte e definitiva: essere disposti anche a per­dere tutto, pure di incontrare la verità e adorarla. Sui loro occhi non c’era più alcuna membrana a impedire di vedere. Quindi pote­vano vedere perfettamente e quando uno può vedere perfettamen­te capisce tutto tanto leggendo la Bibbia, come osservando un sas­solino al margine della strada, oppure uno stelo d’erba appassito. Tutto narra la verità, se l’occhio è libero e limpido. «La lucerna del corpo è l’occhio; se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo corpo sarà nella luce; ma se il tuo occhio è malato, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sa­rà la tenebra!» (MI 6,22-23).

«Al vedere la stella, provarono una grande gioia». Se noi non ve­diamo la stella, è segno che c’è una pellicola, forse sottilissima, che ci avvolge l’occhio del cuore. Forse è un attaccamento, un rancore, una presunzione, una smania, un complesso psicologico. Potrebbe essere anche la finissima pellicola della presunzione di diventare santi o illuminati praticando lo zazen e leggendo il Vangelo. Chi pratica con uno scopo calcolato è sempre uno schiavo del calcolo. I magi dell’oriente non sapevano affatto che cosa avrebbero trovato mettendosi in viaggio verso un paese lontano e sconosciuto. Poteva­no non trovare nulla e chissà quanti amici li avranno avvertiti di que­sto pericolo. Ma essi sapevano che la natura dell’uomo è partire, ri­cercare e poi, con occhio limpidissimo, scoprire il tutto nell’umile esistenza di un bambino nato in una grotta. Cercare e cercare! E poi scoprire che tutto è nell’umiltà della vita, senza averla minimamente abbellita. Questa è la fede: l’aderenza più genuina e schietta alla realtà, al punto di vedere Dio in un bambino!

p.Luciano

* Osservatori delle stelle

ULa stella attraversa il cielo e non sa che esistono le religioni, non sa che noi, qui sotto, dividiamo e nominiamo: buddismo, cristianesi­mo, islamismo… Forse per questo, per il fatto che guardandola dal basso capiamo che ci osserva dall’alto senza fare differenze, la stella è cara agli uomini di ogni religione, che ne fanno un simbolo di cui sono gelosi.

La stella collega tre elementi fondamentali: il cielo, la terra, la via. La stella è ciò che ci permette di camminare sulla terra guardan­do il cielo. Lungi dal guardare dove mette i piedi, l’uomo della via cammina guardando il cielo. Solo così facendo il suo cammino è si­curo, e riduce i rischi di inciampare. Anzi, per meglio dire, è guar­dando il cielo che l’uomo della via vede dove mettere i piedi: la via si dipana sulla terra, ma le sue tracce sono nel cielo. La terra, qui, è il deserto: che sia deserto di sabbia, di roccia, di ghiaccio o di sale, non è luogo in cui restino, durature, le tracce, le orme dei passi. Qui, nel deserto che è la terra, ognuno è solo e se a terra guarda non vede tracce che lo possano guidare: il vento subito cancella ogni passo compiuto, oppure il suolo è troppo duro e non accoglie impronta. In cielo, invece, restano per sempre, chiare e luminose, le tracce che ci possono guidare, le orme che ci precedono sulla via e ce la indicano. Il cielo, qui, è il luogo senza forma e confini che mai si modifica: se si usano segni e caratteri della sua stessa natura, senza forma e confi­ni, i segni tracciati sono indelebili. 1 magi, infatti, vanno sicuri, spe­diti e senza dubbi, perché guardano il cielo e seguono la stella. Cer­cano un re, e quando la stella li guida di fronte a un poverissimo, non provano il minimo stupore: cercano il re che la stella indica lo­ro, non quello che la terra chiama re. Si lasciano guidare dalla stella, non dall’idea che già hanno di come è fatto un re, modo molto soli­to. Dovremmo imparare qualcosa dalla leggerezza sicura con cui si muovono i magi. Vediamo con quale tetra pesantezza si presentano invece Erode, il re di terra, i sommi sacerdoti e gli scribi. Erode cer­ca il re guardando in terra: non lo troverà mai perché il suo orizzon­te è così limitato! Pensa che essere re voglia dire essere come lui è. I sommi sacerdoti e gli scribi sanno invece di che re si parla: però lo cercano guardando in un libro: non lo troveranno mai, e quando gli passerà davanti agli occhi non lo riconosceranno, pur aspettandolo, perché il re del libro, per quanto ben descritto, non è neppure la pal­lida immagine del re vivo e vero: anche il loro orizzonte è limitato, limitato dal loro stesso sapere. Questi magi, invece, si fidano del cie­lo e della stella e vanno a colpo sicuro: non ci sono altre immagini a distrarli né veli sui loro occhi. Non si aspettano nulla di già definito e il loro orizzonte è illimitato: coincide con il cielo infinito.

La stella è un piccolo punto di luce che brilla nel buio: sarà pure un puntino minuscolo, ma è la cosa più facile da vedere. Tutto sta ri­conoscere che intorno c’è il buio. In un certo senso è del buio che ci si deve accorgere: se ci accorgiamo di quanto è buio, la piccola luce brillerà luminosa e invitante.

La stella è il segno dell’infinito nel finito. La volta del cielo stel­lata dà il senso dell’infinito molto più del cielo di giorno, anche quando è sereno. Quel senso di infinito è dato proprio dal fatto che quei punti di luce sono una quantità: una quantità, ma di misura in­calcolabile. La stella è il segno del luogo dove finito e infinito coinci­dono, dove sono non-due.

La stella è il segno della luce che è in ognuno e in ogni cosa. La luce della stella fa da guida perché trova corrispondenza dentro di noi. Non è più, allora, una luce visibile, una luce per gli occhi, ma una luce che attira la luce che è dentro. I magi sono attirati dalla stella come la calamita attira il ferro: se non è attivata la stella di dentro, neppure la stella di fuori attira.

Questi magi sono figure amiche nella pesantezza pedante che è il segno dei nostri tempi. Tempi in cui sembra prevalere la legge dei numeri, intesi non come segni visibili del mistero dell’universo, ma come i macigni della quantità: più oggetti, più impegni, più pensieri, più denaro, più adepti, più sostenitori, più chiese, più tempi, più, più, più… Invece, questi magi leggeri amici delle stelle ci suggerisco­no che sono più veritieri i suggerimenti dei sogni che non le parole dei re della terra.

Jiso

* Sappiamo cogliere le buone occasioni che la vita ci offre ?

Alle volte un fatto particolarmente significativo relativo alla no­stra vita ci stimola a una riflessione di carattere più generale introdu­cendoci alla comprensione di profonde verità spirituali. Personal­mente un fatto che, a distanza di tempo, mi ha indotto a riflettere, è stato il mio incontro con lo Zen. Questo incontro è avvenuto in mo­do del tutto casuale nel momento in cui, senza alcuna conoscenza o particolare interesse per il buddismo, bensì semplicemente acco­gliendo l’invito di un conoscente, ho deciso di partecipare a un ritiro condotto da una maestra Zen coreana. Questo incontro con lo Zen poi, inutile dirlo, si è rivelato fondamentale; è stato un evento che ha arricchito e trasformato la mia vita in un modo che mai avrei po­tuto prevedere.

A distanza di tempo, riflettendo su quell’episodio, ho compreso che non avrei mai colto l’occasione di fare quell’esperienza, né avrei tratto alcun giovamento da quel ritiro, se non avessi maturato già da tempo dentro di me un profondo desiderio di rinnovamento interio­re unito all’esigenza di introdurre dei cambiamenti nella mia vita. Quando sento alcune persone lamentarsi insoddisfatte del grigiore della loro vita e della loro sfortuna, non posso non pensare dentro di me, alla luce della mia esperienza, che forse il loro problema non è tanto la sfortuna, quanto il non saper riconoscere e cogliere quel­l’occasione che potrebbe trasformare positivamente la loro vita, per­ché in loro manca un desiderio veramente forte di cambiare.

Pensiamo per esempio ai magi: la stella sorta nel cielo, che an­nunciava la nascita del Messia, era ben visibile a tutti, ma solo loro la notano e si mettono in cammino. Anche ai sacerdoti del tempio era stata data la medesima opportunità di vedere il sorgere della stella, ma essi, soddisfatti e compiaciuti della loro vita e delle cono­scenze per le quali erano stimati e apprezzati, non si accorgono di nulla: l’interesse per la terra dunque era tanto grande da far loro di­menticare di guardare il cielo. La saggezza dei magi, che consente loro di non lasciarsi sfuggire la grande occasione di arrivare alla ca­panna di Betlemme nel momento in cui è nato il salvatore schivando pericoli e insidie, consiste proprio nella capacità di guardare sia il cielo che la terra.

Annamaria Tallarico

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