Dom 17 Feb 2008 Scritto da Pierinux AGGIUNGI COMMENTO

Chiunque, ma soprattutto chi è cattolico, soffre davanti a certi comportamenti di persone che si dicono cristiane. Sconvolgente il comportamento di Clemente Mastella, capo di un partito che si fregia di un campanile come simbolo, e le sue affettuosissime telefonate ad alti prelati. Grazie a Dio, ripeto “GRAZIE A DIO“, nella chiesa ci sono persone vere. Dal telegiornale ho appreso che il vescovo di Caserta indica come cammino di quaresima l’educazione alla raccolta differenziata dei rifiuti. Ora un amico mi ha trasmesso il discorso dello stesso vescovo in occasione della domenica della vita (la prima di febbraio). Come prete, ho l’onore di girarlo anche a te. Ciao.

p. Luciano

L’UMANITÀ NEL DOLORE DEL PARTO, ASPETTANDO UN MONDO NUOVO.
IL MESSAGGIO DI MONS. NOGARO PER LA GIORNATA DELLA VITA

DOC-1959. CASERTA-ADISTA.

La vita ha molteplici forme e gli attentati alla vita hanno tante facce, non solo quelle dell’aborto e dell’eutanasia: “Inquinamenti di ogni tipo, disuguaglianze sociali, disastri economici, comparsa di nuove malattie, esplosioni di violenza, forme di intolleranza, legittimazione di egoismi sempre più esasperati, pratica abituale della guerra, lacerazioni del creato”. “Cupi scenari” che inducono molti uomini di scienza e di pensiero ad ipotizzare “la possibile estinzione della specie umana”. Eppure “l’ultima parola non è la morte”, bensì la risurrezione, che non è “la rianimazione di un cadavere, ma la piena realizzazione delle potenzialità dell’essere umano”.

È quanto scrive il vescovo di Caserta, mons. Raffaele Nogaro, in occasione della Giornata della Vita, il 3 febbraio, in un messaggio – dal titolo Non è l’epoca delle passioni tristi: la vita è la nostra speranza – che mette al centro il Vangelo, la “notizia felice” della “salvezza dell’uomo”, il “superamento di ogni forma di decadenza e di smarrimento umani”. Un Vangelo della vita da cui talvolta – aggiunge il vescovo – la Chiesa stessa si dissocia “per ricomporsi come societas perfecta sacralizzando il potere, il prestigio, la ricchezza”.
Pubblichiamo di seguito il messaggio di mons. Nogaro (l. k.)

* NON È L’EPOCA DELLE PASSIONI TRISTI
di Raffaele Nogaro

Nel nostro tempo, le sofferenze personali riflettono la tristezza diffusa, che caratterizza la società contemporanea, percorsa da un sentimento permanente di insicurezza e di precarietà.

Inquinamenti di ogni tipo, disuguaglianze sociali, disastri economici, comparsa di nuove malattie, esplosioni di violenza, forme di intolleranza, legittimazione di egoismi sempre più esasperati, pratica abituale della guerra, lacerazioni del creato, danno la sensazione dolorosa che l’energia vitale sia in decadenza.

I cupi scenari di oggi fanno sì che uomini di scienza e di pensiero stiano valutando la possibile estinzione della specie umana.

È l’epoca delle “passioni tristi”, che ricavano la desolazione più acuta dalla disgregazione e dalla mancanza di senso delle cose.

Ma è possibile che l’“homo sapiens” di tutta una tradizione illuminata si sia oggi cambiato nell’“homo demens”, che non comprende più nulla?

Non penso, perché l’uomo rimane il governatore della sua storia, non ne è la vittima. L’uomo ha il gusto del negativo, ma ha la vocazione al bene. E il bene è sempre natale, chiamata alla vita.

Quando il Figlio di Dio si fece uomo, fu minacciato di morte da Erode. Durante la sua vita fu respinto, incarcerato, torturato e, alla fine, assassinato sulla croce.
Così prende forma la colpa radicale, la colpa originale, che non è solo un processo storico di negazione della vita, ma è l’uccisione dell’“Autore della vita” (At. 3,15), della fecondità e della sorgività della vita.

Ma la violenza umana, con l’uccisione dell’“Autore della vita”, non riesce a costruire la morte, la corruzione della vita.

L’ultima parola non è la morte. È la risurrezione. Non la rianimazione di un cadavere, ma la piena realizzazione delle potenzialità dell’essere umano.

La risurrezione non rinvia l’uomo in un aldilà migliore, ma immediatamente riconduce l’uomo alla sua vita sulla terra, dove egli fa l’esperienza della redenzione dalle preoccupazioni, dalle pene, dalle paure, dalle nostalgie, dal peccato e dalla morte.

Nietzsche, che aveva il dono delle intuizioni supreme, afferma: “Dal giorno in cui venne a me il grande liberatore, la vita non mi ha più deluso. Di anno in anno la trovo sempre più ricca, più desiderabile e più misteriosa” (“La gaia scienza”, § 324).

Ecco, la vita c’è, perché c’è il Liberatore, Gesù. Forse l’umanità non ha mai saputo usare il Vangelo in modo diretto e genuino.

Il Vangelo è la “notizia felice” della bontà e della salvezza dell’uomo.

Il Vangelo è superamento di ogni forma di decadenza e di smarrimento umani. È il registro infinito che sinfonizza tutte le ragioni della speranza. È il gusto di una vita che diventa sempre più libera e vera. È la vita stessa che assume tutte le esultanze della immortalità.

Noi abbiamo interpretato il Vangelo come racconto morale, anche se esemplare. Il Vangelo invece è permanente esplosione di grazia. È l’amore del Padre che parla in diretta a tutti gli uomini. In particolare, è passione di vita per i “prodighi”, per gli insensati della storia, per i malcapitati, per i rifiutati, per tutti i “Lazzaro” che vengono calpestati dagli “Epuloni”. (cf. Lc. 16, 19-31).

Il Vangelo è la risurrezione che dimostra il destino felice della vicenda umana. L’invocazione fondante il Vangelo è l’“unità”. Gesù è “Dio che si incarna” in ogni uomo e in ogni donna della terra. E ogni uomo è unito all’altro, e ogni uomo è uguale all’altro, nella “incarnazione” di Dio. Perciò, “nessun uomo è profano o immondo” (At. 10,28).

La Chiesa di Cristo nel tempo non è tutto, ma è per tutti, perché “Dio non fa preferenze di persone” (At. 10,34).

Deve tenere sempre “le sue porte spalancate” (Ap. 4,25), per l’ingresso di ogni essere umano, perché ogni essere umano “a qualsiasi popolo appartenga è bene accetto a Dio” (At. 10, 34).

Lo scandalo della Chiesa è pensare che essa debba accogliere i privilegiati, coloro che hanno un battesimo. E non si considera che il battesimo è uguaglianza: Gesù, l’innocenza di Dio, vuole riceverlo, per rendersi uguale all’uomo, per mettersi in condizione di peccato come l’uo-mo. Non certo per approvare il peccato, ma per estirparlo.

L’umiltà di Dio è la salvezza dell’uomo. La sua Chiesa è vera quando è “pace”, operazione di totale servizio all’uo-mo, quando è il “buon Samaritano” di ogni essere umano (cf. Lc. 10, 25-37).

L’uomo d’oggi sembra non avere più ripari. È smarrito. Ha assoluto bisogno di Vangelo. La Chiesa dovrebbe comunque pronunciarlo, perché “senza di me non potete fare nulla” (Gv. 15,5).

L’affossamento della speranza viene procurato da una Chiesa che si dissocia dal Vangelo, per ricomporsi come “societas perfecta” sacralizzando il potere, il prestigio, la ricchezza. E il potere, il prestigio, la ricchezza fanno sempre vittime, non fanno la risurrezione della vita. Il Vangelo è: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose” (Ap. 21, 5).

“L’incarnazione” di Dio apre continuamente gli orizzonti dei “cieli nuovi e delle terre nuove”, e assicura ogni progresso della storia. Noi siamo sempre lì, a fianco dell’aurora di una nuova era della realtà umana. In questa prospettiva, la condizione attuale non è di tragedia, ma di crisi.

La crisi è purificazione e maturazione. È rottura da un passato di fallimenti e sforzo di creazione di un avvenire prospero. È il dolore del parto e non le pene del naufragio dell’avventura umana.

La vita umana non può avere fine, perché è l’incarna-zione di Dio. Decadono soltanto quei “nutrimenti terrestri” (A. Gide), che sono fatti di corruzione e di tristezza.

Dobbiamo inaugurare un mondo umano, che ami la vita fino al rispetto totale di essa, che desacralizzi la violenza, che assicuri le cure a tutti gli esseri del creato.

Tutto ciò che esiste è amore di Dio. Rendiamolo per sempre la gioia dell’uomo.

Domenica, 27 gennaio 2008

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categorie: Testimonianze

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