Sab 1 Mar 2008 Scritto da Pierinux AGGIUNGI COMMENTO

Rabbì, chi ha peccato, perché egli nascesse cieco?

Passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio. Dobbiamo compiere le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può più operare. Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo». Detto questo sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe (che significa Inviato)». Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, poiché era un mendicante, dicevano: «Non è egli quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli chiesero: «Come dunque ti furono aperti gli occhi?». Egli rispose: «Quell’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: Va’ a Sìloe e lavati! Io sono andato e, dopo essermi lavato, ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è questo tale?». Rispose: «Non lo so». Intanto condussero dai farisei quello che era stato cieco: era infatti sabato il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come avesse acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha posto del fango sopra gli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri dicevano: «Come può un peccatore compiere tali prodigi?». E c’era dissenso tra di loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu che dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». Ma i Giudei non vollero credere di lui che era stato cieco e aveva acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite esser nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori risposero: «Sappiamo che questo è il nostro figlio e che è nato cieco; come poi ora ci veda, non lo sappiamo, né sappiamo chi gli ha aperto gli occhi; chiedetelo a lui, ha l’età, parlerà lui di se stesso». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età, chiedetelo a lui!». Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Dà gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quegli rispose: «Se sia un peccatore, non lo so; una cosa so: prima ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero di nuovo: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non mi avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Allora lo insultarono e gli dissero: «Tu sei suo discepolo, noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo infatti che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo è strano, che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Ora, noi sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma se uno è timorato di Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non s’è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non fosse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e vuoi insegnare a noi?». E lo cacciarono fuori. Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori, e incontratolo gli disse: «Tu credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Tu l’hai visto: colui che parla con te è proprio lui». Ed egli disse: «Io credo, Signore!». E gli si prostrò innanzi. Gesù allora disse: «Io sono venuto in questo mondo per giudicare, perché coloro che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi». Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo forse ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane».

* il Pensiero Divino si fa Carne: la Cieca Resistenza

In una veglia degli Scout di una città siciliana, una ragazza fece una testimonianza inconsueta. Confessò che ogni mattina, aprendo gli occhi, si commuoveva fino alle lacrime e, congiungendo le mani, diceva grazie perché i suoi occhi vedevano la luce. Nata con le palpebre unite, nell’età della fanciullezza subì l’operazione di aprire gli occhi. Per un mese portò una spessa benda il cui spessore veniva ridotto gardualmente, allo scopo di abituare l’occhio alla luce. Finalmente la benda fu tolta. Vide i colori e pianse dalla gioia. Io, prete, mai ho sentito il bisogno di ringraziare quando, al mattino, mi alzo, apro gli occhi e vedo i colori baciati dalla luce del sole! Credo che mi spetti; credo di vedere già e non mi accorgo più che gli occhi mi sono aperti ogni giorno, in qualche aspetto, per la prima volta! Del resto ogni giorno è nuovo! Può gioire della luce chi non riconosce le sue tenebre? Può riconoscere le sue tenebre chi non riconosce la sua vocazione alla luce?

«Sei nato nei peccati e vuoi insegnare a noi?»: fu la risposta dei farisei all’uomo nato cieco. Quando gli furono aperti gli occhi e poté vedere, l’uomo nato cieco si prostrò a ringraziare, ricordandosi che un tempo aveva avuto gli occhi chiusi. La memoria della sua negatività alimentava la riconoscenza e la gioia. I farisei invece erano convinti di avere sempre veduto e di non avere mai avuto bisogno che qualcuno apra loro gli occhi: quindi non ringraziavano. Così si comporta ognuno quando in cuor suo si reputa già nella luce, grazie ai suoi occhi che già vedono.

Per gli Ebrei il nascere cieco era un segno della maledizione di Dio. In molte religioni tutt’oggi è insegnato che le disgrazie fisiche sono la conseguenza dei peccati dell’individuo in questa vita o in quelle precedenti; oppure che derivano come effetto dai peccati dei propri genitori. Così è ciò che comunemente si intende per karma; così avevano pensato anche gli apostoli vedendo il cieco nato, prostrato nella sua emarginazione. «Né lui ha peccato, né i suoi genitori, ma è nato cieco perché si manifestassero in lui le opere di Dio». La risposta di Gesù evidenzia la grandezza e l’autenticità del suo pensiero, in cui è custodito il senso del bene e del male, della gioia e del dolore, della vita e della morte. Mentre il pensiero del mondo è superficiale e convenzionale: decanta ciò che piace come grazia e disprezza la sofferenza come castigo, come negatività, come conseguenza di una colpa, come incidente che si abbatte sui cattivi. L’uomo si relega nella gabbia del suo pensiero ristretto, e non permette al pensiero originario di sbocciare spontaneamente per forza sua; lo coarta a ripetere ciò che egli vuole. Il Cristianesimo è la religione del Pensiero divino, il Verbo, nel quale tutto è stato inventato e condotto all’esistenza. È la religione che pone la sua fiducia ultima e illimitata nel Pensiero. È quindi grande sacrilegio mortificare il pensiero con i propri attaccamenti e paure! È la presunzione.

Il Pensiero divino è come l’ardore del fuoco e il bagliore della luce; ma è anche come l’umile acqua che lava ciò che è sporco e si nasconde sotto terra, irrorando le radici degli alberi. È il pensiero che ha la natura del silenzio e quella della parola, in un legame inscindibile. Il pensiero del mondo chiama grazia solo ciò che dà gusto, che mette in risalto; e disprezza ciò che fa soffrire e abbassa. Il pensiero del mondo separa, spacca, mette l’uno contro l’altro, incita all’inimicizia. Ai Giudei Gesù aveva detto: «Perché non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alle mie parole, voi che avete per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del padre vostro» (Gv 8,43-44). Diavolo significa, infatti, colui che separa. Il vero cammino religioso è sempre a forma di croce: non elimina gli opposti, ma li unisce col legame dell’amore, fino alla morte.

«Sei nato nei peccati e vuoi insegnare a noi?». È sempre possibile approfittare del raggio di luce intravisto per ergersi a superuomini e disprezzare gli altri! In tal caso la luce accieca! Rende incapaci di vedere! Come tanti insetti che, attratti dalla luce, muoiono della luce. C’è molta vicinanza tra Cristo e Budda, anche se le forme religiose sono differenti. Di fronte al dolore, Budda invita l’uomo ad affidarsi al se stesso eterno in cui il dolore non incatena più. Di fronte al dolore, Gesù invita l’uomo ad affidarsi al Cristo, in cui il dolore si illumina di senso cristico: è la croce della risurrezione alla novità di vita. Il Cristo porta la croce con senso di gloria, per quel suo cuore cristico in cui il dolore è accolto come parte della vocazione a non esistere per se stessi, ma nella carità.

«Allora lo insultarono e gli dissero: “Tu sei suo discepolo, noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo infatti che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia”». I Giudei conoscevano la Bibbia ed erano depositari di una lunga e significativa tradizione. Avevano, quindi, fra le loro mani un tesoro di conoscenza molto valido e prezioso; tuttavia proprio quel tesoro nelle loro mani divenne la pietra d’inciampo. Conoscevano il Pentateuco tramandato da Mosè, ricco di insegnamenti e di precetti; ma non comunicavano con quello Spirito da cui Mosè aveva attinto quella luce. Si accontentavano di una conoscenza passiva, statica, morta.

«Gesù allora disse: “Io sono venuto in questo mondo per giudicare, perché coloro che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi”. Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: “Siamo forse ciechi anche noi?”. Gesù rispose loro: “Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane”». L’occhio esterno può vedere, ma se l’occhio del cuore non vede il significato di ciò che l’occhio esterno vede, allora quel vedere rimane cieco. Anzi, diventa motivo di presunzione e di peccato. Diventa smarrimento protratto forse per tutta la vita, proprio perché non si vede di non vedere.

«È in te la sorgente della vita, alla tua luce noi vediamo la luce» (Sal 36,10). Vedere è funzione cristica, è relazione: è la fonte che promana la luce, è la luce che si posa sulle cose, è i colori delle cose che si animano colpiti dalla luce, è l’occhio che si apre e capta i riflessi della luce fecondata dai colori delle cose, è il cuore che comprende il gioco della grazia divina che crea l’esistenza, è la voce che loda l’armonia della creazione divina, è le mani che trasformano le cose dai colori messi in rilievo dalla luce e ne fanno lo strumento della carità divina, da cui tutto proviene e a cui tutto ritorna.

Nessun scienziato ha mai potuto scoprire la via della luce. Essa attraversa gli spazi infiniti in profondo silenzio, in grande solitudine. Quindi si posa delicatamente sulle cose, ne fa brillare i colori; ma la luce rimane silenziosa e nascosta. La via della luce è solitaria.

p.Luciano

* Due uomini soli

C’è un grande maestro giapponese del XIII° secolo che l’occidente meriterebbe di conoscere un po’ meglio; si chiama Shinran Shonin ed è il capostipite di una corrente del buddismo, la Pura Terra, che è quantitativamente maggioritaria in Giappone. Dicono sia la corrente buddista più affine al cristianesimo: ma non è questo che ci interessa, anche perché spesso l’eccesso di affinità risulta più soffocante delle differenze. C’è un piccolo libro scritto da un discepolo di Shinran (il quale diceva di non avere discepoli personali perché siamo tutti discepoli di Budda) che si intitola Tannisho: in questo libro, che è molto ben tradotto anche in italiano1, si trova compendiato tutto l’insegnamento della Pura Terra. Detto in una parola, quell’insegnamento annuncia che, per tutti coloro che soffrono nella condizione umana, c’è una Pura Terra creata con un voto da Budda, in cui si rinasce invocando il nome di Budda con cuore sincero.
In quel libro c’è un passo che dice:

«Se anche le persone buone nascono nella Pura Terra a maggior ragione quindi le persone cattive. Però la gente del mondo dice sempre: “Anche i cattivi nascono nella Pura Terra: quindi a maggior ragione i buoni.” A prima vista questo modo di pensare sembra corretto, ma va contro all’intenzione del voto originario che è affidarsi completamente. La ragione di ciò sta nel fatto che la persona che fa il bene con la propria forza non è in accordo con il voto originario di Budda, perché non si affida completamente alla sua forza. Tuttavia quando una persona cambia il proprio cuore che si basa sulla sua forza e si affida completamente all’altra forza, quella del voto, nasce sicuramente nella Vera Terra della ricompensa. L’intento essenziale del voto di Budda, nato dalla compassione per noi schiavi delle passioni che in nessuno modo possiamo, per mezzo di una qualunque pratica, liberarci dal vincolo di nascita-morte, è che le persone cattive diventino Budda. É proprio la persona cattiva che si affida alla forza del voto colei che ha il giusto requisito per nascere nella Pura Terra. Per questo “Se anche le persone buone nascono nella Pura Terra a maggior ragione quindi le cattive».

«Se foste ciechi non avreste alcun peccato; ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane». Questa frase andrebbe scolpita sul portale di ogni chiesa e, prima ancora, nel cuore di tutti coloro che si dicono religiosi. Ma noi religiosi, di solito, ci sentiamo buoni e nel giusto non nel momento in cui ci accorgiamo di essere cattivi e ciechi e quindi bisognosi, ma quando ci convinciamo di essere dalla parte di coloro che vedono e sono salvi per diritto di appartenenza. Non è dalla consapevolezza della nostra condizione di solitudine di fronte alla nostra stessa debolezza che ricaviamo l’impulso ad affidarci alla forza che salva, quanto dal senso di appartenere al gruppo dei giusti che facciamo sprizzare l’illusione di essere salvati. É invece dalla condizione di solitudine del cieco che nasce il riconoscimento della realtà e l’adesione ad essa e l’afflato alla comunione con la verità. Sono davvero due uomini soli, il cieco e Gesù.

Jiso

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