Sab 26 Lug 2008 Scritto da Pierinux AGGIUNGI COMMENTO

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli:
«Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo.
Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.
Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti.
Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».

* Il tesoro è scavare il campo

C’è un tesoro nascosto in un campo e chi lo avvista va, vende tutto e lo compera. E un tesoro che non suscita voglia di possesso, ma dedizione e spirito di sacrificio. Così annuncia il Vangelo di oggi.

Secondo la nostra mente il tesoro è qualcosa di raro e di prezioso, che luccica e che affascina per la sua finezza. Un tesoro attira suscitando il desiderio di comperarlo; nello stesso tempo ha un prezzo proibitivo e non permette così facilmente di entrarne in possesso. Così sono i gioielli delle vetrine: costosi al punto che soltanto i ricchi, o i poveri nelle occasioni in cui vogliono imitare i ricchi, li possono acquistare. I tesori vanno protetti, custoditi in casse di massima sicurezza, perché chi li brama senza avere la possibilità di acquistarli è tentato di procurarseli attraverso il furto. Ma come può esistere un tesoro nascosto che nessuno mai ha visto e della cui esistenza non si ha alcuna prova, se non il fatto che qualcuno crede fermamente che esista? Può essere chiamato tesoro ciò che non è misurabile in carati o non è quantificabile in cifre di denaro? Un tesoro che non mette in moto il desiderio di possesso, ma la dedizione e lo spirito di sacrificio?

«Il di regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo». L’esistenza del tesoro è provata soltanto dal fatto che il cuore dell’uomo lo crede tale e lo ricerca con tutte le forze. Un tesoro quindi che dal suo profondo nascondiglio comunica con il cuore dell’uomo, gli fa percepire che nascosto dentro la terra esso esiste veramente e attira l’uomo al punto che si mette a scavare.

Il campo che nasconde il tesoro è la natura umana creata da Dio, che si esplica nella vita di ciascuno e nella storia dell’umanità intera. Il tesoro è nascosto dalle tante contraddizioni che accompagnano manifestarsi della natura umana. E’ nascosto dalla stessa natura di essere creatura: infatti Dio, creando, contrae se stesso per lasciare spazio alla creatura; eclissa la sua gloria a favore della libertà della creatura. Questa è la maniera in cui Dio ama: si dona mentre si ritira; trasmette alle creature l’esistenza, mentre eclissa la sua. La eclissa proprio trasmettendola: infondendola nelle creature. La eclissa così perfettamente che chi non crede in Dio ha mille ragioni, tutte ben fondate, per dimostrare che Dio non è presente nella realtà. Ha per lo meno le stesse ragioni valide di chi invece crede e testimonia la presenza di Dio. In questo modo l’uomo ha la libertà reale e non fittizia di riconoscere o di non riconoscere Dio: dubita, si smarrisce, ricerca, trova, nuovamente si smarrisce e nuovamente trova. A inventare la storia dell’umanità così variegata, così complessa, così ambigua nel bene e nel male, ma insieme così avventurosa fu il Creatore che fin dalle origini ha lasciato all’uomo la possibilità di commettere il peccato originale.

Il tesoro è cosi ben nascosto che solo chi sa rischiare e ama l’avventura può intuirne l’esistenza e mettersi a cercarlo. La vita dell’uomo è come il gioco a nascondino così caro ai bambini. In I racconti dei Chassidim di Martin Buber si narra l’aneddoto di un vecchietto che accompagnò il nipotino nei giardini pubblici a giocare. Lì il nipotino incontrò un amico e i due decisero su due piedi di giocare a nascondino. L’amico chiuse gli occhi e il nipotino si nascose. Si nascose con molta cura, per non farsi trovare dall’amico e rendere gioco interessante. Ecco finalmente il via alla ricerca. Passa un minuto, poi due, poi tre e il ragazzo non viene scoperto. Il gioco era proprio interessante. Passano cinque, dieci, quindici minuti e il ragazzo non viene trovato. Era troppo! Il gioco stava diventando strano e monotono. E’ sì bello nascondersi bene; ma se non si viene trovati non c’è gusto. Annoiato dalla troppa attesa uscì fuori e trovò soltanto il nonno seduto sulla panchina. «E l’amico dov’è?». «E tornato a casa sua, non ha giocato!», rispose il nonno. Allora il ragazzo scoppiò in pianto: lui aveva giocato sul serio, ma l’amico no. A quella vista il nonno soggiunse: «Anche Dio ama giocare a nascondino e si nasconde così bene! Ma chi gioca a cercarlo?».

«Un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compera quel campo». Il tesoro nascosto non è un tesoro da portare via quando uno lo trova; va lasciato nel campo ed è il campo che va comperato e non il tesoro. Il Vangelo ci annuncia che ogni cammino o esperienza religiosa non va mai asportata dalla vita, ma deve restare dentro la vita. Non si può asportare tesoro dal campo, perché il tesoro esiste solo nascosto nel campo. A chi giunge a identificare Dio in quel tesoro, il Vangelo annuncia di non separare Dio dalla propria natura umana, ma di lasciarlo dentro di essa. Poi andare, vendere tutto e comperare la natura umana: ossia aderire alla condizione umana con tutto il cuore.

Le parabole del tesoro nascosto e della perla preziosa educano la Chiesa a giocare con gioia alla ricerca di Dio, senza mai parlare male del campo dove Dio si a nascosto così bene che per trovarlo bisogna vendere tutto il resto e cercare continuamente. Vendere tutto è far ritorno alla semplicità del Vangelo. La Chiesa, facendo ritorno alla sua autenticità, trova il tesoro e lo manifesta. Il tesoro è la Chiesa stessa convertita alla semplicità del Vangelo.

p.Luciano

* Cose nuove e cose antiche

Il grande maestro Gensha (Tsung i Ta shih 835-908) era un peccatore che, all’età di circa trent’anni, abbandonò ogni altra cosa per dedicarsi completamente a seguire la via buddista. Divenne discepolo del maestro Seppo (Hsin chue Ta shih 822-908) una delle figure preminenti di quella che oggigiorno a la tradizione Rinzai dello Zen. Gensha non aveva alcuna conoscenza delle scritture buddiste, forse era persino analfabeta, ma è noto per la costanza e la serietà della sua pratica e per non aver mai seguito altro insegnamento che quello del suo primo maestro. Quando fu sufficientemente radicato nella via da diventare lui stesso una guida per altre persone, racchiuse il proprio insegnamento in una sola espressione: «Tutto il mondo nelle dieci direzioni fino in fondo a un’unica splendente gemma».

Doghen ha dedicato al commento di questa espressione una sezione dello Shobōghenzō, che ha per titolo, appunto, Ikka myōshu (Un’unica splendente gemma). Per splendente gemma si intende una pietra la cui purezza non ha ombre e la cui rotondità non ha imperfezioni. Possiamo ben immaginarla come la perla perfetta. Dice Doghen:

«Un’unica splendente gemma: ecco il nome conoscibile dell’ottenimento della via che è senza nome proprio. Una splendente gemma è la sequenza dei diecimila anni: permea il passato incommensurabile, permea il presente che viene. Certo, ora c’è il corpo, certo, ora c’è lo spirito, zen, sono gemma splendente. Non è (nascosta) qui o là, nel filo d’erba o nell’albero, non è (dispersa) nell’universo, nella montagna o nel fiume, è proprio la splendente gemma»

Non dobbiamo pensare che la gemma sia il nucleo, qualcosa di infinitesimo che è dentro alle cose e dà loro valore, oppure che sia l’essenza immateriale che dà forma alle cose dell’universo: la splendente gemma è ogni cosa e tutte le cose, e tutte le cose e ogni cosa sono la splendente gemma.

[…] Perciò, anche se tu e io ci chiediamo che cosa è e che cosa non
la splendente gemma, sondando il pensabile e l’impensabile, intrecciando con chiarezza ogni sorta di idee, grazie alla parola di verità di Gensha udiamo finalmente che proprio questo corpospirito stesso è la splendente gemma; cosi chiarito, non c’è più bisogno di affannarsi a decidersi se in me non c’è un nucleo, se il sorgere e dissolversi in quanto tali sono la gemma splendente, se nella splendente gemma non c’è sorgere e dissolversi. Quali che siano i dubbi, non c’è non esserci nella splendente gemma, e siccome non c’è azione, non c’è pensiero cui si dia origine che non sia nella gemma splendente, in verità anche andare e venire nella cava dei demoni della montagna nera altro non è che l’unica splendente gemma».

Così Gensha e Dōghen ci parlano, come Gesù, di una gemma splendente, di un tesoro nascosto, di una perla preziosa. Noi non dobbiamo chiederci se stanno parlando della stessa cosa. Sarebbe un vano esercizio di pensiero. La vastità dell’affermazione di Gensha, la complessità dell’analisi di Dōghen, la semplicità delle parole di Gesù, non hanno come denominatore comune un oggetto di cui trattano ma l’esperienza da cui partono: quel vendere tutti gli averi di cui parla il Vangelo. Gensha, Dōghen, Gesù, hanno venduto tutti i loro averi: solo se anche noi facciamo altrettanto possiamo comprendere di cosa stanno parlando, che cosa è quel tesoro, quella perla, quella splendente gemma. Altrimenti restiamo nel dubbio e nelle congetture. Vendere gli averi non è così facile come regalare i propri beni materiali ai poveri: vuol dire spogliarsi di ogni credenza, di ogni opinione, di ogni certezza o incertezza. Allora si può estrarre dal proprio tesoro cose nuove e cose antiche.

«Avanza con energia nella via diritta e radicale, rispetta l’uomo che tronca l’affidarsi al sapere e annulla l’affidarsi all’agire, entra nella compagnia di coloro che vivono l’essenza della via, eredita la pace di coloro che hanno praticato prima di te. Se a lungo compi questo, certamente diventi questo. Lo scrigno dei tesori si apre da se stesso, e tu ricevi e usi a volontà» (EIHEI DōGHEN, Fukanzazenghi – La forma dello zazen che è invito universale).

Jiso

* Alla ricerca del tesoro nascosto

Nella vita della maggior parte delle persone ciò che si riesce a realizzare richiede impegno, dispendio di energia, determinazione, sacrificio. A mano a mano che il tempo passa ci adoperiamo affinché si realizzi quanto, di volta in volta, ci appare più importante. Terminati gli studi un obiettivo da conseguire è il lavoro, un altro obiettivo successivo potrebbe essere il trovare la casa, poi il matrimonio, dopo ancora i figli. In seguito, se le condizioni economiche lo permettono, potrebbero subentrare hobbyes, interessi da coltivare, viaggi, acquisti di beni di vario genere, ecc.

Noi costruiamo così, passo dopo passo, la nostra vita nello stesso modo con cui si costruisce un edificio. Che aspetto avrà alla fine questo ipotetico edificio? E difficile dirlo in anticipo: conseguire certi traguardi dipende dalle nostre inclinazioni, dalle circostanze esterne, dai valori dominanti della società nella quale si vive, con i quali dobbiamo continuamente confrontarci e dai quali siamo in varia misura condizionati. A mano a mano poi che si procede lungo il cammino della vita le scelte diventano sempre più condizionate, sempre meno libere: le nostre consolidate abitudini di vita e di pensiero ci guidano senza che noi ce ne accorgiamo e il realizzare cambiamenti radicali diventa sempre più difficile. Infatti quando ormai le fondamenta di un edificio sono state scavate e i primi piani già costruiti, difficilmente si potrà modificare in seguito la sagoma dell’edificio che risulta ormai chiaramente strutturata.

Saremmo allora quasi tentati di adagiarci nella solita routine, ma è proprio a partire da questo momento, quando ormai crediamo di essere arrivati, che cominciamo ad avere una sorta di insoddisfazione, simile a un piccolo tarlo che si è insinuato dentro di noi togliendoci la tranquillità e che forse vorremmo eliminare. Ma la parola del Vangelo di oggi ci incoraggia ad accogliere questa insoddisfazione come un richiamo, come una voce dapprima flebile poi sempre chiara, che ci invita ad andare alla ricerca di ciò che ci manca.

I protagonisti delle due parabole sono uomini che possiedono dei beni, che avrebbero potuto benissimo accontentarsi di ciò che avevano, ma non sono soddisfatti: desiderano qualcosa di più grande e più prezioso di ciò che possiedono. E’ la storia di tutti coloro che intraprendono il cammino spirituale, che decidono di apportare dei cambiamenti nella loro vita. Si inizia forse semplicemente partecipando a un ritiro o impegnandosi con se stessi a dedicare giornalmente un po’ di tempo alla pratica spirituale: a quale scopo? Non è possibile fornire una risposta. Ciò che si cerca è un bene prezioso che è nascosto. Se il desiderio di cercare non verrà meno sarà la vita stessa a indirizzarci; saranno gli stessi nostri errori e la nostra sofferenza a farci comprendere quando la strada che stiamo percorrendo porta a un vicolo cieco, quando dobbiamo cambiare introducendo comportamenti diversi o effettuando scelte forse anche dolorose.

Ma occorre che tutta la nostra energia sia convogliata in questa ricerca; occorre che nulla e nessuno ci distragga, altrimenti rischiamo di smarrirci, di non cogliere in modo corretto quei segnali che ci stanno guidando attraverso la trama degli avvenimenti. Occorre sentire nel cuore che questa ricerca, questo metterci costantemente in discussione rinunciando a ciò che crediamo e che possediamo, è la cosa più importante.

Annamaria Tallarico

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