Dom 3 Ago 2008 Scritto da Pierinux AGGIUNGI COMMENTO

Avendo udito della morte di Giovanni Battista, Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte.
Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati.
Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». Ed egli disse: «Portatemeli qui».
E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla.
Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.

* Affamati davanti a un millesimo di pane

Erano cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini. Erano seduti in un luogo deserto per gustare il pasto di cinque pani e due pesci: a ogni commensale meno della millesima parte di un pane. Questa è la porzione di cibo che tutti potevano constatare con i loro occhi quando obbedirono all’invito degli apostoli di mettersi a sedere. Gli apostoli che invitavano tutti a sedersi, a loro volta obbedivano al comando di Cristo: «Non occorre che vadano; date loro voi stessi da mangiare». Obbedivano probabilmente con il dubbio nel cuore: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci». Il miracolo era avvenuto: gli apostoli, la folla avevano obbedito mettendosi a sedere prima di vedere alcun miracolo. Quell’obbedienza nella fede aprì la porta alla moltiplicazione dei pani e dei pesci.

Molte persone spirituali nel loro cammino sono capaci di ritirarsi, dimenticando il dramma del mondo: sono capaci di stare col cuore in pace da soli, grazie proprio al fatto che dimenticano gli altri. Cristo invece, in un solo comportamento di vita, visse il cammino religioso e la solidarietà. In lui i due aspetti si richiamavano e si esigevano reciprocamente come i due movimenti dello stesso respiro. «Si ritirò in disparte in un luogo deserto… Vide una gran folla e sentì compassione per loro». Cristo era amante del silenzio e della pratica religiosa più austera; contemporaneamente era molto umano e compassionevole. Il silenzio gli faceva ascoltare ogni voce, anche quella debole di un bambino che sta per morire di fame. Il lamento di chi soffre poi lo riconduceva al silenzio del confronto con il mistero della vita.

«Prese i cinque pani e i due pesci e, alzati gli occhi al cielo, pronunciò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli e i discepoli li distribuirono alla folla». Osserviamo i gesti di Cristo che moltiplica i cinque pani e i due pesci: descrivono come l’uomo religioso, con il suo semplice essere uomo religioso, cambia la realtà sociale. Prese i cinque pani e i due pesci. Anzitutto notiamo come accoglie con gratitudine e cura tutto quanto gli a dato, anche se quantitativamente appare sproporzionato ai bisogni reali. Constata ciò che già esiste e lo benedice. Sa che quelle poche cose sono scaturite dalla fonte eterna della creazione da cui sono nati anche gli astri del cielo. Sa che hanno la capacità di moltiplicarsi e di dilatarsi all’infinito. Accogliere e benedire il limite di ogni cosa, compreso il proprio limite come persona, è profonda religiosità, è l’inizio della moltiplicazione di ciò che non è sufficiente.

«Alzati gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione». Un proverbio orientale dice: Anche in un solo chicco di riso c’è il peso di tutto l’universo. Sì, perché per formarsi un solo chicco di riso ci vuole la collaborazione di tutto ciò che esiste e che popola il cosmo. Ci vuole il lavoro dell’uomo e della donna, l’opera degli animali e dei microorganismi, la compagnia degli altri vegetali che crescono con il riso, l’azione benefica dell’escremento diventato concime; ci vuole poi la terra e l’acqua, il vento e l’influsso della Luna sulla vegetazione. Ci vuole il sole che col suo calore e la sua luce mette in movimento ogni cosa sulla terra. E il sole sta lassù sostenendosi in perfetta armonia con le altre stelle. Alzare tra le mani un solo chicco di riso e guardare il cielo con il cuore ricolmo di stupore e di riconoscenza è la via religiosa che moltiplica il cibo. A questo proposito, quant’è carica di verità la preghiera silenziosa o pronunciata con le parole prima dei pasti, mentre il cibo già posto in tavola permea l’ambiente con il suo profumo cosmico!

«Spezzò i pani e li diede ai discepoli e i discepoli li distribuirono alla folla». Lo spezzare il pane era un gesto molto caro a Cristo. Spezzò il pane in questa occasione, all’ultima cena, alla cena nella locanda con i discepoli di Emmaus. I primi cristiani chiamarono l’assemblea eucaristica che veniva tenuta nelle case la frazione del pane. In nessuna tradizione religiosa lo spezzare e il distribuire il cibo riveste tanta carica religiosa e divina come nel cammino cristiano. Ci vengono in mente tutti i luoghi dove i veri cristiani spezzano e distribuiscono il cibo: le case di accoglienza, le famiglie aperte, le lotte sociali condotte con senso evangelico. Ci viene in mente la celebrazione eucaristica dove lo spezzare il pane e il distribuirlo assurge a perfetta comunione con il corpo dato e il sangue versato di Cristo. Purtroppo ci vengono in mente anche tutti gli incalcolabili soprusi operati dai battezzati del primo mondo sui popoli poveri del terzo mondo: schiavitù, colonizzazione, sperequazioni sociali, cultura del consumismo e depauperamento dei terreni indigeni con le monoculture importate dall’occidente.

La moltiplicazione dei cinque pani e dei due pesci si attuò proprio mentre Cristo li spezzava e li distribuiva. Se la via della moltiplicazione del cibo per l’uomo del mondo a l’accumulo e il monopolio, per l’uomo religioso è la condivisione. Il poco pane spezzato e distribuito attua la comunione del cuore e del corpo di molti. Come tutto il cosmo, grazie alla sua armonica collaborazione, produce i chicchi di riso uno a uno, così la comunione tra gli uomini moltiplica il pane e il pesce per tutti i viventi.

p.Luciano

* Mirabile normalità

Quanto più la nostra civiltà diviene dipendente dalla tecnologia e la nostra economia dalle leggi del mercato e i nostri criteri di valutazione dall’efficientismo, quanto più insomma la nostra cultura diviene meccanicistica, tanto più sembra crescere, forse per cieca reazione, l’interesse di molti per il miracolo, inteso come qualcosa che viola le leggi naturali, o quantomeno esula da esse. Per molti, l’essere o meno religioso si riduce a credere o meno nei miracoli. E una cosa davvero penosa, ma mi a capitato di sentir dire che la dimostrazione della superiorità di Cristo su Budda sta nel fatto che il primo era capace di fare miracoli mentre il secondo no. Non varrebbe neanche la pena di parlarne, se questo modo di pensare che intende il miracolo come strappo alla legge della natura non contaminasse anche l’interpretazione del Vangelo e dei fatti che vi sono narrati: anche certi atti di Gesù vengono catalogati come miracoli, nell’accezione che ho detto. E questo è un vero peccato.

Io credo che se le opere di Gesù, come questa della moltiplicazione dei pani e dei pesci, fossero eventi soprannaturali, violazioni delle leggi di natura, allora non vi sarebbe niente di miracoloso, cioè di mirabile di cui rallegrarsi. Sarebbero gesti di bravura che riguardano solo lui, perché solo lui li poteva compiere, il cui effetto e influsso si è completamente esaurito dopo ormai duemila anni. Ci sarebbero cioè del tutto indifferenti, perché nessuno sano di mente sta a pensare com’era bravo qualcuno vissuto duemila anni fa. Ciò che è miracoloso invece, ciò che desta la nostra ammirazione oggi, a che quegli atti sono attuali, hanno significato per noi ora, funzionano adesso: e ciò avviene proprio perché non sono eventi soprannaturali, non rappresentano uno strappo delle leggi della natura, ma sono perfettamente inseriti nella natura della realtà. In quanto tali sono alla portata di chiunque, e proprio per questo ne sentiamo l’influsso.

Che Gesù non operi al di fuori o al di là delle leggi di natura è dimostrato dal fatto che nei suoi atti egli non crea mai qualcosa dal nulla. Anche in questo caso non materializza pani e pesci dal nulla: divide invece i pani e i pesci che ci sono fra tutti i presenti. Il miracolo sta nel fatto che usa fino in fondo tutte le potenzialità della realtà presente: nulla di anormale, dunque, ma la normalità fatta fiorire fino ai suoi limiti estremi, fino alla sua pienezza completa. Questo lo può fare chiunque. Ciascuno a suo modo, ciascuno secondo i suoi talenti e la sua abilità: ma la sostanza non cambia, chiunque può e deve esaurire tutte le potenzialità della realtà che vive: questo è il miracolo che chiunque può fare, le cose mirabili che ognuno di noi può operare.

Non è certo un caso che Gesù moltiplichi (o divida, secondo punto di vista) cose da mangiare: il cibo è qualcosa di essenziale, qualcosa da cui ogni essere vivente dipende per vivere, e quindi qualcosa che ognuno deve avere. Quale sia la considerazione in cui Gesù. tiene il cibo, proprio il cibo materiale che si mette in bocca, si mastica e si digerisce, è dimostrato da tanti esempi nel Vangelo: dalle tante volte in cui vediamo Gesù a tavola, a mangiare con tutti, peccatori, farisei, pagani; dal fatto che la sua prima e la sua ultima uscita pubblica sono le nozze di Cana e l’ultima cena, due occasioni in cui mangiare in compagnia è elemento essenziale; dall’invito supremo a mangiare il pane e bere il vino in funzione eucaristica in memoria di Gesù, riassunto e rinnovamento della sua presenza con noi e in noi; dal fatto che anche dopo la risurrezione Gesù mangia con i suoi discepoli. Ecco allora che dividere il cibo è dividere ciò che è più prezioso: è dividere (o moltiplicare) la vita stessa. La vita non diminuisce dividendola, anzi cresce: come la cellula che dividendosi forma due cellule e così via, e certo a un fatto miracoloso, ma di assoluta normalità.

Chiunque di noi abbia dimestichezza con la cucina, con il fare da mangiare, sa che il calcolo matematico con il cibo non funziona: anche se ce n’è poco, ma quel poco viene trattato con cura e con sapiente fantasia, allora basta per tutti. Una carota, una zucca, una cipolla tagliate in un modo piuttosto che in un altro possono bastare per tre o per tredici persone. Due ingredienti accostati in un modo o in un altro possono triplicare o quadruplicare la resa di un piatto. Tutto dipende dal modo in cui si applicano e dal fine cui si indirizzano le proprie energie. Se vogliamo solo far presto, o solo Bella figura, o solo soddisfare il palato, o se invece cerchiamo di valorizzare al massimo il cibo per quello che è: dando senso pieno al sacrificio delle forme di vita che finiscono nella nostra pancia. In questo caso la valorizzazione totale di quelle forme di vita animali e vegetali, la loro estrema offerta glorificata, si trasforma per noi in cibo di vita, abbondante, benefico, buono.

«Tenendo fra le dita un’unica foglia di verdura, essa diviene il corpo di Budda; accogliendola come corpo di Budda, essa diviene un’unica foglia di verdura. Questo è l’operare straordinario e la trasformazione, l’attività di Budda e il beneficio di ogni essere vivente » (Eihei Dōghen, Tenzo Kyōkcun – La cucina scuola della Via).

Jiso

* Voltare pagina

Immaginiamo di intraprendere un lungo cammino in salita sul pendio di un alto monte; prima della partenza prepariamo tutto quanto prevediamo ci possa essere utile: cibo, indumenti, ecc. Iniziamo quindi lentamente a procedere: il paesaggio cambia impercettibilmente attorno a noi; il sole, che avevamo visto sorgere, col trascorrere delle ore si leva alto nel cielo poi lentamente la sua luminosità e il suo calore diminuiscono e alla fine tramonta. Immaginiamo di aver esaurito, nel corso del cammino, le provviste di cibo: noi dunque siamo stanchi e affamati mentre sta scendendo la notte. Avevamo calcolato di arrivare per tempo al rifugio verso il quale siamo diretti, ma questo appare ancora lontano. Cosa fare dunque? Continuare a procedere o ritornare indietro, verso il rifugio precedente, che avevamo raggiunto alcune ore prima? In questo frangente il nostro problema a quello di non poterci fermare. La stanchezza, la notte che avanza, la mancanza di cibo, ci costringono a prendere una decisione: o continuiamo il cammino, o torniamo indietro, ma certamente non possiamo fermarci.

Questa situazione immaginaria esprime molto bene quei mo­menti di incertezza, di crisi, presenti nella nostra vita nel momento in cui si stanno realizzando dei significativi cambiamenti, quando passato è ormai superato, il futuro ancora incerto. Pensiamo al dilemma del ragazzo che percepisce di non amare più la ragazza con la quale è fidanzato da molti anni, non perché sia subentrato un nuovo affetto, ma perché, semplicemente, quel rapporto, a poco a poco, si è deteriorato, consumato. Cosa fare? La fidanzata è ancora importante, la conoscenza reciproca è profonda, i ricordi che ancora uniscono sono tanti; vale la pena di continuare un rapporto che si trascina stancamente o voltare decisamente pagina chiudendo con il passato e avendo il coraggio di proiettarsi verso un futuro che non si sa cosa possa riservare? Il ragazzo, nel caso si orienti verso quest’ultima soluzione, comincerà presumibilmente a preoccuparsi della sofferenza che inevitabilmente arrecherà alla ragazza e anche a se stesso e sarà tentato di evitare scelte dolorose.

Il passo del Vangelo di oggi ci suggerisce che occorre avere la forza e la fede necessarie per andare oltre; che occorre sapersi staccare dal passato quando questo passato diventa una prigione opprimente nella quale non possiamo che essere infelici e comunicare questa infelicità alle persone che ci sono vicine.

Qual è la soluzione più opportuna, per le folle stanche e affamate al seguito di Gesù? Gli apostoli sono dell’avviso che sarebbe conveniente che tornassero indietro, infatti si rivolgono a Gesù dicendo: luogo e deserto ed e ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Ma non è questa la soluzione che Gesù prospetta alla folla e a tutti noi: bisogna avere il coraggio di guardare avanti, di avere fede e un atteggiamento di serena fiducia: allora naturalmente si realizzerà ciò che è meglio per noi e ciò di cui abbiamo bisogno ci verrà dispensato in abbondanza.

Annamaria Tallarico

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