Mar 31 Ago 2010 Scritto da Pierinux 2 COMMENTI

Il 26 agosto a Tavernet, Catalogna, all’età di 91 anni è morto Raimon Panikkar. Figlio di padre indiano e madre catalana, fu sacerdote, filosofo e soprattutto profeta del futuro cammino spirituale dell’umanità. Basta cliccare il suo nome su Google per rendersi conto quanto è stata vasta e profonda la eco della sua testimonianza. Anche a me è stato dato di incontrarlo più volte e di stringere una sincera amicizia. Possa questa breve testimonianza esprimerne la gratitudine.

Nel 1986, per la prima volta, incontrai Raimon Panikkar attraverso un suo libro, dal titolo: “Il silenzio di Dio – la risposta del Buddha” (Borla). Ho qui fra le mani quel libro e constato quanto mi abbia affascinato quella lettura, dalle tante considerazioni che ho annotato nei margini delle pagine. Fu uno dei libri che maggiormente ha influito sugli interessi che poi hanno animato la mia ricerca. Altri suoi libri da cui ho tratto alimento: “Il dialogo intrareligioso” (Cittadella), “La nuova innocenza” (CENS), “La realtà cosmoteandrica: Dio- Uomo-Mondo” (Jaka Book) e vari altri.

Credo fosse nel 1990, quando ho ricevuto dai Servi di Maria di San Carlo – Corso Vittorio Emanuele, Milano – l’invito a offrire una testimonianza in un loro convegno. Lì, per la prima volta incontrai Panikkar, relatore principale del convegno. Mi incoraggiò nell’interesse che nutrivo circa il dialogo Vangelo e Zen e da allora cominciò a inviarmi quanto lui scriveva sull’argomento. Il mio trasferimento a Lodi mi rese possibile incontrarlo ogni qual volta veniva a Milano, in media una volta all’anno.

Immancabilmente, a me e al monaco dello Zen Jiso Forzani, con il quale condividevo il cammino di dialogo, faceva pervenire l’invito a partecipare alle testimonianze che doveva tenere nelle università o in circoli spirituali o culturali. A volte è venuto a passare un po’ di tempo presso di noi. Il rapporto con Vangelo e Zen si fece così stretto che Panikkar affidò al monaco Jiso Forzani, e soprattutto alla signora Carrara Pavan Milena, già coordinatrice del nostro gruppo Vangelo e Zen di Milano, la cura delle ultime sue pubblicazioni, fra cui anche i due volumi sui Veda (Rizzoli) e, soprattutto l’Opera Omnia presso la Jaka Book. Uno dei nostri libri, il secondo volume di “Il Vangelo secondo Giovanni e lo Zen” (EDB) inizia con una lunga prefazione di Raimon Panikkar.

Raimon Panikkar

Forse è stato un po’ noioso questo excursus, tuttavia manifesta come un grande pensatore, quale Raimon Panikkar era, abbia saputo apprezzare i tentativi di ricerca che andava scoprendo tra la gente comune. Li considerava come un incoraggiamento e la conferma che il dialogo oggi è dovere storico. Personalmente, il beneficio maggiore che ho ricevuto da Raimon Panikkar è quello di avermi guidato a discernere con chiarezza ciò che è dialogo fecondo di verità e ciò che è banale sincretismo. Probabilmente, quella chiarezza e profondità era maturata in lui nella sofferenza per le accuse di sincretismo che gli erano giunte da parte di fratelli della sua stessa chiesa. La frase che apre il suo sito internet è la seguente: «Sono partito cristiano, mi sono scoperto hindù e ritorno buddhista, senza cessare per questo di essere cristiano». Senza l’onestà di voler comprendere, ma solamente cedendo all’andazzo di ripetere ciò che si dice senza faticare, quelle parole danno, sì, l’impressione di sincretismo. Le affermazioni di Panikkar si comprendono dalla serietà e, direi, dalla luminosità e gioiosità del suo stile di vita. Il dialogo intrareligioso non era una merendina consumata coi fratelli di altre religioni nei salotti dei convegni; era il pane della sua vita quotidiano. Era lui stesso in cammino. Dialogare è vivere la pienezza della vita. Raimon Panikkar era vero cristiano secondo il battesimo che la madre gli aveva fatto conferire ancora infante, vero indù secondo l’appartenenza religiosa di suo padre, vero buddista secondo una intima scoperta che avvenne lungo il suo pellegrinaggio esistenziale. Questo comportamento, che scandalizza non pochi, in lui era semplicemente reale e concreto. In lui i tre patrimoni religiosi si erano sciolti, come i tanti alimenti, pure opposti come sapore e natura quali il sale e lo zucchero, che noi mangiamo e beviamo, e che il corpo umano assorbe, divenendo quell’unica energia che poi sostiene i tanti sforzi che la vita richiede. Il sincretismo non è l’accostamento di elementi differenti, ma la non digestione degli stessi. Per digerire le esperienze più sante dell’umanità, quali il Vangelo, i Veda o i sutra buddisti, l’uomo deve approfondire e qualificare la propria sensibilità umana, al punto di sperimentare dentro la sua umanità il palpito religioso dell’altro. Così l’uomo deve superare i suoi limiti culturali e di appartenenza religiosa per accogliere come parte di sé l’esperienza altrui; contemporaneamente l’esperienza dell’altro accolta dentro di sé conferma e conforta lo sforzo compiuto per superare i limiti della propria cultura e appartenenza religiosa. In questa domenica il rito ambrosiano ci fa leggere la parola di Gesù: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli”. Il vero incontro con l’altro comporta che l’uomo sia perfetto come Dio, che in sé genera e custodisce la policromia del pensiero e delle esperienze umane. Il dialogo intrareligioso è vero pellegrinaggio dentro il mistero di Dio, dove i molti sgorgano dall’uno e all’uno ritornano.

Raimon Panikkar è il profeta di un nuovo umanesimo che prende forma nel dialogo intrareligioso. Tutto si basa sulla fede che l’uomo possa essere perfetto come Dio e capace di sperimentare il rapporto fecondo dell’uno e dei molti, contemplando l’uno nei molti e i molti nell’uno. Nella sua visione l’uomo, insieme con il cosmo e con Dio, forma la trinità dell’essere, compreso con cuore religioso. “La realtà è cosmo-te(o)-andrica”: è questa convinzione l’asse portante del pensiero di Panikkar. Nel Rinascimento Marsilio Ficino, attingendo da Plotino, aveva compreso l’uomo come il cardine che unisce Dio e la natura, lo spirito e la materia. Raimon Panikkar non enfatizza la posizione dell’uomo come cardine, non brucia l’incenso ad alcunché. L’umanesimo di Panikkar è esistenziale, descrittivo. Stimola l’uomo a scoprire il suo valore, per poi entrare nel silenzio, come Dio al settimo giorno della creazione, come gli alberi nella stagione autunnale. La religiosità del vuoto buddista lo libera dal bisogno di enfatizzare.
Nella sua ricerca Panikkar ha riconosciuto e seguito una precisa regola o metodo affinché l’avventura dell’incontro con l’altro non decada nella faciloneria del sincretismo e l’uno fagociti i molti e i molti non facciano man-bassa dell’uno. Una regola, quindi, per garantire la capacità di digerire nel suo corpo le differenze che storicamente sono maturate altrove. Questa regola è il rigore della chiarezza razionale. Non si può non ammirare, nelle opere di Panikkar, la incalcolabile ampiezza delle sue conoscenze. Non si permette mai alcuna scorciatoia: non c’è alcun “Ipse dixit”, oppure alcun ricorso a forze magiche o miracolistiche. Ciò che è vero, da se stesso dice il suo essere vero. Ha scelto la ragione come una scorri-mano che guida lungo il sentiero irto e pericoloso di ciò che è vero. Solo dopo aver esaurito “tutte le forse”, “tutta la mente”, allora si entra nell’aula del silenzio. Lì, e solo lì, il silenzio è fecondo di senso. Allora il silenzio, e solo allora, immerge nella profondità del vero. La ragione deve con forza dare ragione; al punto di sentirsi autorizzata a tacere proprio dal suo aver spremuto tutta se stessa. Il sabato (la religione) è per l’uomo, disse Gesù.

Il mondo è travagliato da numerose sciagure umane e da disastri naturali. Raimon Panikkar testimonia che i popoli possono far fronte al male e costruire la giustizia e la pace. Lo possono attingendo le energie che scorrono nelle falde profonde delle loro tradizioni. E le condividono. Nella condivisione, ogni tradizione profuma attorno la sua unicità. Un giorno, dialogando sul dialogo, Raimon mi disse pressapoco così: “Dì grazie per quanto i buddisti ti hanno dato; e tu semplicemente dì loro che il perdono è la forma più vera di amore”. Il perdono è l’amore che, guidato fin lì dalla ragione, poi tace e ama dove la ragione non può amare. E’ il carisma del Vangelo, che guida ad amare l’esistenza così com’è, con pazienza e fiducia.
p. Luciano Mazzocchi

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2 commenti

  1. elia turri ha detto:

    le righe che appaiono qui sotto sono tratte dal libro di
    panikkar “la porta stretta della conoscenza”. Sono poche righe che mettono in evidenza l’aspetto profondo e contemplativo di Panikkar.

    Dice:
    Tutto è collegato con tutto e il particolare è tale solo perché è una parte del tutto. Questo “tutto” non si ottiene con la somma delle conoscenze particolari. Vi si penetra solo con la porta della saggezza. Essa è la porta che ci apre alla pienezza, all’ideale dell’umanità fin dall’inizio dell’ homo sapiens. Questa è la porta stretta che richiede una purezza di cuore , una vacuità non facile da raggiungere: è il cammino della saggezza , l’esperienza piena della vita, l’esperienza mistica.

    La fede è una dimensione costitutiva dell’uomo , un apertura esistenziale A… la fede è quella “facoltà” propria dell’uomo di aprirsi coscientemente A… l’infinito, Dio, il nulla, lo sconosciuto,il vuoto ecc , dove ogni nome è già di troppo perché la fede a rigore non ha oggetto. Per menzionare l’ “oggetto” della fede lo si deve interpretare secondo le categorie proprie di ogni cultura. Queste interpretazioni costituiscono le Credenze che caratterizzano le diverse visioni della realtà secondo le differenti religioni e cosmovisioni.

    La fede è un atto libero e non si lascia costringere. La verità ci rende liberi, dice la scrittura cristiana. È la fede nella resurrezione a permetterci la gioia della vita. Non a caso la resurrezione costituisce il centro della fede cristiana.
    Gesù muore e viene sepolto. Poco dopo, il sepolcro appare vuoto e nemmeno i suoi nemici contestano il fatto. Gesù appare parecchie volte, mangia con i suoi e si fa toccare. La resurrezione è la trasformazione di GESU’ nel CRISTO. Cristo è il Gesù risorto. Di Gesù non rimane nulla se non il ricordo. Cristo , invece è vivo e reale. Questa realtà non è solamente anamnesica o psichica; è anche fisica e corporale: è una presenza reale, tanto reale come quella di un pezzo di pane o quella di un povero che soffre di fame. Nell’ eucaristia non è il pane a trasformarsi in Cristo, ma è Cristo che si trasforma, si manifesta in pane, e come tale lo si riconosce nella liturgia eucaristica. Questo Cristo unigenito, primogenito, corpo mistico, vita, alfa e omega, luce, principio, corpo , materia, è il simbolo centrale della realtà per i cristiani.

    L’ uomo realizzato (secondo molte religioni) equivale omeomorficamente all’uomo risorto, e la visione della realtà acquista una nuova profondità. “ Chi vede me ha visto il Padre”. La credenza nella resurrezione equivale a riconoscere in Cristo il simbolo della solidarietà universale e del carattere Divino di tutta la realtà. La visione completa: chi non vede il Padre non ha visto me.

    “ Se Cristo fossa nato mille volte a Betlemme e non fosse nato in te, saresti perduto per sempre”

    Dopo queste parole di Panikkar l’invito che faccio a chiunque è quello di non dimenticare, perchè la forza di Panikkar deve continuare in noi che adesso lo stiamo pregando. In questo momento “ne sono certo” molti amici di tante fedi religiose stanno a loro modo pregando per lui. Questo , per Panikkar è il risultato profondo della sua esistenza terrena l’apice.
    non dimentichiamolo.

    GRAZIE RAIMON.

  2. Pierinux ha detto:

    grazie della segnalazione, Elia

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