Gio 16 Feb 2012 Scritto da Pierinux AGGIUNGI COMMENTO

lettera

Vangelo e Zen

Vangelo secondo Luca, 7, 36-50
12 febbraio 2012

Un fariseo lo invitò a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo. Vedendo questo, il fariseo che l’aveva invitato disse tra sé: “Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!”. Gesù allora gli disse: “Simone, ho da dirti qualcosa”. Ed egli rispose: “Di’ pure, maestro”.
“Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento de-nari, l’altro cinquanta. Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro dunque lo amerà di più?”. Simone rispose: “Suppongo sia colui al quale ha condonato di più”. Gli disse Gesù: “Hai giudicato bene”.
E, volgendosi verso la donna, disse a Simone: “Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio; lei in-vece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo. Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco”. Poi disse a lei: “I tuoi peccati sono perdonati”. Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: “Chi è costui che perdona anche i peccati?”. Ma egli disse alla donna: “La tua fede ti ha salvata; va in pace!”.

Il peccato porta verso l’amore con i piedi impolverati

Quanto riesco a scrivere sul brano di Vangelo di questa domenica non è soltanto un pio pensiero che affido agli amici, ma è anzitutto una testimonianza a me stesso. Quando mi si chiede – e avviene spesso – perché vado missionario in Giappone, rispondo: “per annunciare questa pagina del Vangelo”. E’ stato il romanziere Endō Shūsaku, una delle figure più significative e amate della letteratura giapponese del secolo scorso, di tradizione buddista e battezzato cattolico, a guidarmi alla soglia di questo brano di Vangelo. Andato in Giappone ad annunciare il Vangelo, fu un giapponese a guidarmi alla comprensione del carisma del Vangelo che annunciavo. Endō Shūsaku scrive che la chiave per entrare nel cuore del Vangelo è la risposta di Gesù a Simone, il fariseo, riportata nel Vangelo di oggi: “Colui al quale si perdona poco ama poco”. Lo scrittore tutta la vita si è chiesto cosa il Vangelo porti di suo al popolo giapponese, popolo già ricco della sensibilità spirituale della via degli dei, lo scintoismo, che fin dalle origini il giapponese ha spremuto nella sua vita vivendo un inteso rapporto con la Natura, e popolo ricco della religiosità buddista, che il giapponese ha accolto come balsamo che lenisce e dona compostezza al suo peregrinare fra gli opposti che intrecciano la vita umana, la sofferenza e la sete di pace.

Simone che invita Gesù a pranzo è fariseo, ossia apparteneva a un gruppo religioso – culturale – politico che mirava alla perfetta osservanza delle prescrizioni dell’Antico Testamento e delle costumanze ebraiche. Raggiungere tale perfezione e lì dimorare era il movente della sua vita. Anche il popolo giapponese si trova compatto nel sentirsi giapponese, e ne ha ben solidi motivi. Chi non ammira la cultura giapponese della consapevolezza, della dedizione, dell’essenzialità, della sobria bellezza? Per il giapponese essere un vero giapponese è il movente della sua esistenza.

Ritorniamo in casa di Simone il fariseo. Gesù è seduto a tavola con Simone e gli altri invitati. In punta di piedi entra una prostituta del luogo e va ad accovacciarsi dietro a Gesù e, in quello posizione, scorge i suoi piedi screpolati. Si mette a piangere e con le lacrime lava quei piedi impolverati e madidi di sudore. Poi li bacia e li profuma con l’unguento che fino alla sera prima aveva usato prostituendosi. La scena scandalizza Simone, l’adoratore della perfezione, al punto che si pente d’aver invitato a pranzo un uomo che si lascia baciare i piedi da una peccatrice. Allora Gesù narra la parabola dei due debitori, uno di un’ingente somma e l’altro di una molto inferiore. Ambedue sono impossibilitati a restituire, e allora il creditore, commosso, condona a tutti e due il debito. “Quale dei due lo amerà di più”, chiede Gesù. La risposta è semplice: “quello a cui ha condonato di più”.

C’è un trascorre la vita, presi dal voler raggiungere la situazione di non avere alcun debito da devolvere, in altre parole arrivare a sentirsi autosufficienti. Chi vive così continuamente si specchia nello specchio che lui stesso si è posto davanti. Vive a tu per tu con uno specchio che lo riflette. A un livello banale questo specchio può consistere nei propri interessi economici, a un livello più fine può consistere nella propria cultura, a un livello ancora più sottile può essere, come Simone, la propria appartenenza religiosa. Vivendo nella prospettiva di corrispondere al proprio specchio, ciò che esula dal riflesso del proprio specchio esula pure dalla propria attenzione. L’attenzione verso lo stato reale dell’ospite Gesù, esulava dallo specchio in cui Simone si rifletteva. Abbagliato dal riflesso del proprio perfezionismo, non si accorse che Gesù aveva i piedi impolverati, e il volto sudato. Gli bastava rigirarsi nel gusto di aver invitato un personaggio diventato famoso. Gli interessava soltanto quel ritorno di fama. La riduzione della propria vista solo su quanto riflette il proprio specchio permette due ambìti risultati: 1) si può misurare la propria crescita e un giorno ci si può auto promuovere come il “puro”, quello apposto (fariseo significa appunto puro); 2) inoltre facilita il confronto con gli altri, e il giudizio su di loro.

Endō Shūsaku scrive di se stesso che quando si specchiava nella sua giapponeseità, il Cristo gli risultava un sovrappiù, anzi un fastidio. Ha una bella immagine per dire questo: dice che il crocifisso non si adatta alla sala dove il giapponese accoglie e onora gli ospiti, per cui ha lo ha rimosso e finito nel sottoscala dove si butta tutto ciò che dà fastidio. Se un passante, senza preavviso, bussa alla porta di un giapponese e se l’interno della casa è sottosopra, probabilmente chi è in casa, colto all’improvviso, si blocca, non fa alcun rumore affinché l’indiscreto passante creda che non c’è nessuno e vada altrove. Oppure la signora della casa può affacciarsi e chiedere a chi ha bussato di attendere fuori finché la casa sarà rimessa in ordine. Questa è la fine cultura giapponese che, dice Endō Shūsaku, tiene il giapponese indifferente al Vangelo. Lo scrittore afferma di aver voluto più volte disfarsi del battesimo cristiano, ma fu la vita a non permetterglielo. Dice che tutte le volte che, non volendosi vedere allo specchio perché si sentiva in disordine o perché non aveva risposta da dare al passante che aveva bussato per cui era costretto a fare brutta figura, si è rifugiato nel sottoscala. Ma là immancabilmente ritrovava ad attenderlo il Cristo che aveva rimosso dalle sale d’onore.

E’ molto fine e profonda la testimonianza di Endō Shūsaku, è una grazia per me prete e, credo, anche per molti battezzati italiani. Finché l’uomo intende la vita come una passerella su cui deve fare bella figura davanti a chi lo sta osservando, o anche davanti a se stesso, quell’uomo, anche se battezzato, anche se ordinato sacerdote, non capirà mai il cuore di Cristo. Il Cristianesimo gli resta una religione al servizio della sua autosufficienza, fosse questa anche chiamata paradiso (così Celentano a San Remo, ieri sera), ma non è Cristo, perché Cristo non è il rimando a un altra situazione messa in ordine. Cristo lo si incontra soltanto nell’esperienza del peccato, quando l’uomo non gioca più con lo specchio. Il peccato è il momento in cui l’uomo non si inganna, e Cristo aspetta quel momento di verità. Tutti sappiamo che il Vangelo è la via dell’amore, ma non dell’amore della passerella su cui uno può usare l’amore per fare bella figura. Simone il fariseo non vide la polvere sui piedi di Gesù. Il perfezionista non vede più la polvere. Per ritrovare la delicatezza e la naturalezza l’uomo deve partire dal toccare fondo e sperimentare che lo stesso suo sforzo gli è gratuito. L’uomo è fondamentalmente uno in debito. La sua salvezza inizia da quando si accorge che tutte le sue trovate per raggirare i debiti non funzionano più (discorso molto attuale). Allora l’uomo aderendo a ciò che realmente è, soltanto chiede perdono e dice grazie. E’ l’esperienza del perdono che lo partorisce alla vita vera e libera, libera dallo specchio. Partendo dalla sua impossibilità a restituire, l’uomo incontra Cristo, quello del Vangelo.

Penso ai miei debiti. Debiti verso le persone a cui ho dato cattivo esempio, che inutilmente ho fatto soffrire. Penso ai debiti che io, benestante, ho verso chi col sudore e la fatica mi ha costruito questa vita agiata. Penso agli operatori delle centrali elettriche o di altri cantieri dove si lavora in mezzo a rumori assordanti (ne ho visitata una, tenevano le cuffie alle orecchie; ma un mio cugino di Broni è rimasto sordo); è grazie a loro che io adesso posso scrivere al computer. Penso agli animali uccisi per diventare mio alimento. Gesù fu chiamato “agnello immolato”, ossia chi gli ha dato quel titolo ha visto in Gesù la sacralità dell’agnello portato al macello. Ciò non ostante – mio padre due settimane prima di macellare il maiale voleva che mia madre gli desse in pasto cose buone “perché, poveretto, ha solo due settimane di vita” – nella mia chiesa cattolica non c’è nessun rito per suffragare la sofferenza degli animali.

L’uomo diventa vero solo quando parte dal suo peccato. Non solo, l’uomo diventa libero soltanto quando parte dal suo peccato. Sì, perché non ha più paura del riflesso dello specchio. Se mi è dato, un giorno vorrei ritornare in Giappone ad annunciare questo Vangelo. Forse è il riflesso di quello specchio che chiamiamo “giapponeisità”, ossia quell’accuratissimo volto culturale e sociale che lo contraddistingue, a impedire il Giappone dal prendere a cuore i bambini e i ragazzi che abitano nei dintorni del generatore nucleare di Fukushima. “Tutto è apposto” riflette lo specchio. Ma lo specchio è , dopo tutto, opera di chi vi si riflette. Nudi davanti a Dio, siamo tutti in debito di verità e di libertà.

“Invece colui al quale si perdona poco, ama poco”.

p.Luciano

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