Ven 31 Ago 2012 Scritto da Pierinux AGGIUNGI COMMENTO

il sole nei pomodori del nostro orto

ZANSHO OMIMAI

Milano – fine agosto 2012

Zansho Omimai! Così, in lingua giapponese, si chiama il saluto di fine estate. Letteralmente Omimai significa: ti faccio visita – ti ricordo – penso a te. Zansho invece vuol dire: il caldo che ancora rimane – la fine della stagione calda. Quindi Zansho Omimai è come dire agli amici:

Vi ricordo e vi saluto in questi ultimi giorni di estate – Mentre l’estate va verso la sua fine, il mio pensiero corre a voi!

p.Luciano

Nella settimana di fine estate, dal 20 al 26 agosto, qui alla villa Vangelo e Zen si è tenuta una settimana di pratica, studio e lavoro. Vi hanno aderito 18 amici da varie parti, alcuni venuti per la prima volta. La temperatura, nei primi giorni della settimana, non sembrava affatto da fine estate, ma piuttosto del bel mezzo della canicola. Sorella acqua ci ha ristorati, sia dentro sia fuori, e così siamo sopravvissuti egregiamente.

Desidero condividere il perno delle riflessioni scaturite dagli incontri di studio tenuti da Giuliano Burbello sul Sutra del cuore e dal sottoscritto sulla Lettera ai Galati. Quanto segue è la mia sintesi. Il Sutra, forse il più amato nella tradizione buddista in generale e senz’altro nella tradizione Zen, indica all’uomo di ogni epoca che tutto quanto è fenomeno che accade, non ha consistenza in se stesso, ma altro non è che un quadratino vuoto nel ricamo di una rete. Il Sutra dice questa verità con l’avverbio soku, che significa proprio così – immediatamente – evidentemente. Recita il Sutra:

SHIKI SOKU ZE KU
KU SOKU ZE SHIKI

tutto ciò che accade proprio così – immediatamente – evidentemente è vuoto – senza sostanza.
vuoto – senza sostanza proprio così – immediatamente – evidentemente è tutto ciò che accade.

La Lettera ai Galati di Paolo contrappone la via della legge allla via della fede-grazia.
… abbiamo creduto in Gesù Cristo per essere giustificati dalla fede in Cristo e non dalla legge; poiché dalle opere della legge non verrà mai giustificato nessuno (2,16)…
Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi
e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù (legge)… (5, 1).

La Lettera ai Galati e il Sutra del cuore furono scritti, forse, nella stessa epoca storica, quasi 2000 anni fa. Certamente i due autori, cresciuti in ambienti differenti, avevano nel loro sangue influssi culturali differenti, per cui il loro modo di esprimersi è tanto diverso. Tuttavia le radici di quanto hanno scritto sprofondano nel terreno dell’unica umanità, in cui anche le nostre si sprofondano. E’ da quell’unico terreno che scaturiscono le domande di fondo di ogni uomo di ogni epoca. Qual’è la via vera alla libertà e alla pace? Ovviamente anche le poche considerazioni che sto per scrivere, dopo tutto, altro non sono che reazioni suscitate dal vibrare continuo di quelle domande.

Personalmente riconosco una reale vicinanza di significato fra legge della Lettera ai Galati e shiki (i fenomeni, le forme, ciò che accade) detto nel Sutra. L’ideogramma con cui è scritto shiki comunemente significa colore. Legge sono le abitudini, i sistemi, le forme in cui incanaliamo la vita privata e sociale. L’orientale è dotato di una sensibilità più intuitiva che discorsiva e chiama shiki – colori le cose, i fenomeni. Delle cose dice il colorito dell’impressione che ne ha, mentre l’occidentale delle cose dice piuttosto il rapporto funzionale e utilitario.

Ugualmente accosto il ku del Sutra, ossia il vuoto di fondo di tutte le cose, alla fede-grazia della Lettera ai Galati. L’ideogramma di ku è quello di cielo: quindi il vuoto del cielo in cui tutto nasce, cresce, si scioglie; come la grazia è versata gratuitamente dal cielo, pioggia che irrora il campo della vita dei buoni e dei cattivi ovunque, grazia che in-grazia l’esistenzialità di ogni essere ora e qui. Gira e rigira, con termini così diversi, l’uomo tenta di sondare la vera fisionomia dell’esistenza. Ciascuno di noi, in ogni luogo e in ogni tempo del suo peregrinare, è shiki – legge e ku – fede-grazia. Sì, ciascuno di noi, in ogni ora e qui della sua vita, è il limite delle sue esperienze e delle norme di cammino che scaturiscono da tali esperienze. Ciascuno di noi, in ogni luogo e in ogni tempo del suo peregrinare, è apertura all’infinito, alla gratuità pura. Così, nessuna esperienza né alcuna norma lo può convincere fino in fondo ad accontentarsi del limite di ogni esperienza e ogni norma. Ugualmente così nessuna visione dell’infinito lo può persuadere fino in fondo a disertare il limite del tempo e del luogo per inebriarsi di idealità infinita. La fede è, appunto, il sentirsi a casa in questo non aver alcuna casa: né nel limite, né nell’illimitato. La grazia è il gustare la dignità e la bellezza di questo aver casa in questo non aver mai casa.

C’è una differenza fra l’insegnamento del Sutra e della Lettera ai Galati. Per individuarla,rievoco l’avverbio usato ripetutamente nel Sutra e una frase della Lettera ai Galati. L’avverbio è soku che all’inizio di questa lettera ho tradotto con proprio così – immediatamente – evidentemente. Il Sutra ci raccomanda di non sostare nei fenomeni, i quali fenomeni sono senza sostanzialità, e a prendere immediata dimora nel vero modo di essere, nel vuoto che è libertà da ogni attaccamento. Ma nemmeno nel vuoto si deve sostare, perché il vuoto non ha altra sede che i fenomeni. Quel soku (proprio così – immediatamente – evidentemente) elimina la distanza fra i fenomeni e il vuoto, fra il limite e l’infinito, fra gli ideali che abbiamo nella mente e la ristrettezza della vita quotidiana. L’accesso alla verità e alla pace, quello evidenziato dal Sutra, avviene all’istante: proprio così – immediatamente – evidentemente.
Paolo, alla conclusione della Lettera ai Galati, raccomanda:

Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo (6,2).

In Cristo l’uomo è liberato dalle opere della legge ed è giustificato, ossia diviene il vero modo del proprio essere, il vero se stesso; tuttavia lo stesso Cristo che lo libera dalla legge, lo ripone dentro la legge, quella del portare i pesi gli uni degli altri. E’ la legge cristica, sono i due rami della croce: quello verticale che libera nel cielo infinito della pura libertà, e quello orizzontale che trattiene nel limite della storia.

Proprio così – immediatamente – evidentemente!
Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo!

Riconosco vera l’indicazione data dallo Zen, ossia che la libertà, la verità e la pace sono proprio così – immediatamente – evidentemente (soku) qui e ora, senza frammezzo. Riconosco vera l’indicazione del Vangelo che Paolo evoca nella lettera, ossia che nella libertà dalla legge ottenuta in Cristo ereditiamo ancora la legge, ossia la legge di portare i pesi gli uni degli altri ricollocandoci nel tempo e nello spazio. Riconosco, quindi, che la verità, la libertà e la pace sono subito, incondizionate dal tempo e dallo spazio, come insegna lo Zen. Riconosco ugualmente che sono nel tempo e nello spazio, e che si adempiono portando il peso gli uni degli altri, come insegna il Vangelo. Credo che le due indicazioni non si annullano. Anzi, credo che si verificano nella loro contrapposizione, se questa contrapposizione è vissuta dentro la propria vita. In quella contrapposizione trattenuta nel proprio sangue c’è il vero cammino religioso del dialogo Vangelo e Zen.

Sono prete di Cristo e, liberato in Cristo dal condizionamento della legge, amo rimanere nel condizionamento della legge di portare i pesi gli uni degli altri. Amo la storia e il suo faticoso divenire. Però contemporaneamente riconosco lo Zen mi purifica dalla tendenza a interpretare la legge di portare il peso gli uni degli altri, come uno stato di penitenza, di esilio dalla vera luce e dalla vera libertà. Mi purifica dalla interpretazione cupa di interpretare la legge di portare il peso gli uni degli altri come un pedaggio da pagare per entrare in un paradiso da cui sono ancora estraneo. Mi conforta nel comprendere che il portare i pesi gli uni degli altri è già ora e qui, proprio così – immediatamente – evidentemente, la verità, la libertà, la pace. Le stelle risplendono di luce pacata nel vuoto del cielo da miliardi di anni e questo piccolo essere, che sono io, si dispera travolto dalle cose che accadono su un piccolo pianeta in un frammento del tempo cosmico. Dimentico che la libertà, la verità e la pace sono proprio così – immediatamente – evidentemente, sempre e ovunque.

Molte preghiere della liturgia cristiana restano cupe. Sembrano preghiere di esiliati dal cielo, di prigionieri rinchiusi nei loro limiti.

L’uomo si illude con se stesso
nel ricercare la sua colpa e detestarla….
Signore, la tua grazia è nel cielo,
la tua fedeltà fino alle nubi…” (salmo 35)

una preghiera

Donami, o Signore, di vederti
proprio così – immediatamente – evidentemente
nel peccatore che sono io e che sono i miei fratelli,
nella fede, intravedendo
lungo il sentiero della legge delle apparenze,
lo splendore del mio vero volto e del loro,
sperimentando quella gioia
che in-gioisce di perdono il sentiero
del limite che sale nell’infinito,
per – dono, nella grazia
portando il peso gli uni degli altri.

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