Dom 4 Gen 2015 Scritto da Pierinux 5 COMMENTI

la-pace-infinita

disegno di Giuseppe Siniscalchi “Pace infinita”

A tutti l’augurio di un anno di cammino verso la giustizia e la pace.

Mi permetto di condividere con gli amici, che benevolmente leggeranno questa lettera, la considerazione sulla solitudine come la porta stretta che introduce alla verità. E’ la considerazione che mi riempie l’anima in questi giorni, rattristandola e ingioiendola.

31 dicembre: una repentina epidemia ha colpito l’83,5 dei vigili urbani di Roma e 200 netturbini di Napoli, impedendo loro l’esercizio del loro compito, così prezioso in tali giorni di festa. Tutti regolarmente con il regolare certificato rilasciato dal medico competente. Non devo cadere nella superficiale risoluzione puntando il dito contro alcune centinaia di assenteisti, come l’unica mela marcia nel cesto di mille altre mele tutte sane. I medici firmatari sono maggiormente colpevoli dei beneficiati. Non può non sorgere il dubbio se anche noi, qualora fossimo vigili o netturbini, all’avvicinarsi della notte di San Silvestro saremmo immuni dalla tentazione di fare una visita al proprio medico e stringergli la mano. Lavorare al freddo mentre quasi tutti festeggiano mette alla dura prova.

Ricordo un episodio personale. Noi seminaristi alla fine dell’anno scolastico dovevamo sostenere gli esami presso una scuola pubblica, perché il seminario non era riconosciuto come scuola paritaria. Ivo, un mio compagno di classe che fino al giorno prima aveva sostenuto gli esami con noi, nel giorno dell’esame di matematica in cui non si sentiva pronto, con tanto di certificato medico risultò malato grave: quindi esente dalla prova. A noi seminaristi dal superiore del seminario, un sacerdote onorato dal titolo di monsignore, fu raccomandato di rispondere che Ivo aveva la febbre a 39 gradi, qualora qualcuno ci avesse chiesto qualcosa. Il giorno seguente, Ivo ritornò a dare gli esami restanti, con la meraviglia di tutti per la miracolosa guarigione. Ovviamente, suppongo, il professore esaminatore era stato contattato per starci alla farsa di esimere uno studente da un esame dovuto. Mi è sempre rimasto un pizzico di disgusto per quell’atto di furberia, anche perché anch’io non amavo la matematica, ma l’esame ho dovuto darlo. Per cui ricordo.

Nel passato ho osannato alle forme di corporativismo, dai sindacati ai movimenti religiosi. Oggi ne percepisco l’ambivalenza, la pericolosità. Il corporativismo finisce per rinchiudere in una stanza chiusa dall’aria stantia. E’ l’aria stantia del pensiero ripetitivo, spento e monotono. Il corporativismo, al contrario del suo significato etimologico, finisce per diseducare dalla vera apertura sociale. Spegne la memoria che ogni esistente, nel tutto, esiste solo.

L’esistenza di ognuno di noi è stata concepita nel rapporto intimo di una donna e di un uomo. Tuttavia quella donna e quell’uomo, anche nel comune atto del concepimento di una figlia o di un figlio, erano soli. Tra di loro avveniva qualcosa che li superava, oltre ogni loro calcolo e misura, davanti a cui non potevano che sentirsi soli.

Ciascuno è solo di fronte a se stesso. Inesauribile, io esisto. Quando dico tu, Dio, le stelle… è sempre una voce che emerge da un fondo dentro di me che non posso sondare. Per quanto l’uomo conosca, rimane sempre dentro la sua misura di conoscere. Davanti al cielo stellato, uno afferma l’esistenza di Dio, un altro la nega. Davanti al bambino condannato alla morte precoce da un gene ereditato inconsciamente dai suoi genitori, il dottor Umberto Veronesi smette di credere perché la morte di un bambino è assurda, mentre Vito Mancuso crede perché i genitori e il medico continuano ad amare e a curare con tutto il cuore il bambino che non ha alcuna prospettiva di crescere. Gratuitamente, fuori da ogni calcolo.

Non c’è che una via stretta da percorrere, e anche la decisione di percorrere scaturisce percorrendo questa via stretta. E’ l’atto di fede che io pongo in solitudine. L’atto di fede è libero: ossia lo pongo creandolo io. Il medico Fabrizio Pulvirenti ha deciso di andare in Sierra Leone a curare gli affetti da ebola, ponendo lui l’atto di fede in quello che voleva fare. Oggi riconferma la stessa decisione, in libertà, in solitudine. Il mio confratello Vincenzo Munari, dopo un periodo di convalescenza in Italia per altra malattia, ha deciso di ritornare in Sierra Leone per stare vicino al popolo che soffre. Molti lo consigliavano a restare qui in Italia al sicuro, ma lui, in libera solitudine, ha voluto unirsi ai confratelli che sono rimasti là.

I vigili e netturbini, garantiti dal corporativismo della cultura tutti fan così, e forse anche dal sentirsi protetti dal sindacato, hanno scelto di non impegnarsi. Altri, liberi in solitudine, hanno scelto di compiere il loro servizio alla comunità. Hanno scelto di restare umani, libera solitudine. Chino il capo.

2015! Ad ognuno di noi l’augurio di amare l’universo abitando la propria libera solitudine. Alla pace universale abbiamo un contributo prezioso da offrire: la propria libera solitudine, la propria umanità.

C’è un uomo nobile, solo, libero, fratello universale. Ama e serve la chiesa, rimanendo solo, libero, di tutti.

Invito a firmare l’appello di cui parla questo articolo. In libera solitudine questo mio invito; in libera solitudine la vostra risposta.

p. Luciano

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5 commenti

  1. Patrizia Gallo ha detto:

    “L’esistenza di ognuno di noi è stata concepita nel rapporto intimo di una donna e di un uomo. Tuttavia quella donna e quell’uomo, anche nel comune atto del concepimento di una figlia o di un figlio, erano soli. Tra di loro avveniva qualcosa che li superava, oltre ogni loro calcolo e misura, davanti a cui non potevano che sentirsi soli.

    Ciascuno è solo di fronte a se stesso. Inesauribile, io esisto.

    Non c’è che una via stretta da percorrere, e anche la decisione di percorrere scaturisce percorrendo questa via stretta. E’ l’atto di fede che io pongo in solitudine. L’atto di fede è libero: ossia lo pongo creandolo io.

    2015! Ad ognuno di noi l’augurio di amare l’universo abitando la propria libera solitudine. Alla pace universale abbiamo un contributo prezioso da offrire: la propria libera solitudine, la propria umanità.

    C’è un uomo nobile, solo, libero, fratello universale. Ama e serve la chiesa, rimanendo solo, libero, di tutti.”

    Caro padre Mazzocchi, grazie per le sue parole che mi raggiungono e colpiscono in modo particolare in questo momento, poiché tra breve cesserà l’impegno più lungo e costante della mia vita, per raggiunti limiti d’età e anni di servizio. Il lavoro: nel settore educativo prima e in quello culturale poi – ma sempre pubblico – ci tengo tanto a sottolinearlo poiché io sono dei tempi in cui spesso ci si richiamava allo “spirito di servizio” e in cui, pur giovani e combattivi, la cerimonia del Giuramento emozionava e – forse inconsapevolmente – direzionava il nostro operato.

    Ora, il pensionamento, momento spesso atteso nel corso degli anni, soprattutto da mio marito che avrebbe voluto godersi più tempo con me, pure nel gran lavoro cui eravamo, di necessità, dediti. Ma che appunto la necessità dell’intrapresa – da piccoli quali eravamo, lui artigiano io insegnante, con debito da onorare – non mi avrebbe ragionevolmente resa tranquilla anticipando, quando ne avrei potuto avere la possibilità, la “messa a riposo”, col timore per il nostro futuro e quello di nostra figlia. Pensionamento che invece oggi, a sette anni dalla sua dipartita, vedo quasi come una beffa, (e qui vengo al nocciolo) sola come di fatto sono e, presumo, continuerò ad essere.

    In questi giorni ho meditato a lungo sia sul fatto di essere in questa condizione anche per scelta (non mi riesco a rinchiudere in alcuna “identità ad excludendum”, forse perché ho avuto la possibilità di attraversarne molteplici e di considerarle tutte irrinunciabili, oltreché aver fatto di alcune, quali l’impegno politico, anche il tessuto relazionale privilegiato col mio compagno/poi tardivamente sposo), sia sul dover prendermi in carico uno stato non scelto, ma ricevuto in dono da Chi sento, in profondità, segnare il senso e l’indirizzo di questo mio, spesso oscuro e doloroso, peregrinare.

    E proprio oggi mi sono nuovamente affidata a Lui perché mi usi misericordia e mi tenga per mano, perché sono davvero sola e i distacchi si susseguono l’uno dopo l’altro. Così, dopo tanto tempo, ho riascoltato “Uomini e Profeti” e – caso vuole – che fosse intervistato padre Ernesto Vavassori, per la comunità Pantarei, del quale ebbi modo di seguire, presso la sede di Opportunanda qui a Torino, efficaci quanto “forti” commenti al Vangelo di Matteo. Già una sorta di risposta al mio ripiegarmi su me stessa…

    Subito dopo, aperta la posta elettronica, la sua sempre attesa e indispensabile lettera … Ma prima ancora, sul mio profilo Facebook, il Gruppo Abele con questa che tutto subito ho percepito come un’allarmante richiesta: una firma a difesa di papa Francesco? e “contro” possibili discrediti da parte della stessa chiesa? Comunque, una volta tanto non mi son difesa e ho lasciato che lo Spirito mi guidasse: ho firmato subito! In questo momento sono grata a questo mezzo di condivisione – solo apparentemente virtuale – e mi sento di nuovo, come al tempo in cui condividevo con mio marito i medesimi ideali, “in lotta” e schierata, insieme a persone che sento profondamente affini, per la sinistra che vede in Tsipras una speranza, anche per lo stagno Italia; sento importante solidarizzare con uno sguardo ampio con i Paesi affacciati sul Mediterraneo, a noi affini per cultura e storia, ma anche per il disastro economico e sociale in cu versano.

    Ma altrettanto spero che il medesimo Spirito mi renda capace, un domani, forse meno sola di quanto ora mi percepisca, di sostenere e condividere appartenenze solo esteriormente contraddittorie e dirimenti, senza sentirmi cooptata in alcuna di esse poiché, nel profondo del mio cuore, non vi trovo contraddizione alcuna, anzi! mi sembrano tutte parlare il medesimo linguaggio! E soprattutto mi renda ancora utile e capace di “servizio”.

    Grazie ancora per la pazienza nel leggermi e mi senta vicina, come da tanti anni le sono, nel comune affidarsi/fidarsi del Signore, anche – per me – quando la Sua voce mi giunga così sottile da farmene temere l’abbandono.

    Le auguro ogni bene per l’anno appena iniziato e la mia solidarietà e simpatia, oltre alla gratitudine per i suoi irrinunciabili spunti di meditazione e approfondimento.

    Cari saluti Patrizia​

  2. Dario Capretta ha detto:

    Caro Luciano,
    grazie come sempre per la condivisione delle tue riflessioni, ma in questo caso mi pare importante risponderti nel merito del “principio di solitudine” che tu enunci ed estendi da principio religioso a principio sociale.
    Se la solitudine, o meglio, per dirla con Jiso, la solità (una solitudine priva di sentimenti nostalgici) è fondamentale condizione umana a cui è “bene” in un percorso religioso aprirsi, riscoprendone così il valore, credo che lo stesso consiglio possa dare adito a cattive interpretazioni quando ci si riferisce alla sfera “politica”, ovvero quando questa indicazione riguarda lo spazio del vivere in comune.
    La Solitudine è la condizione a cui spinge il modello economico imperante (“non esiste la società, esistono solo gli individui” affermava M.Tatcher), è il fondamento della competizione selvaggia che non lascia spazio alla solidarietà, è il volto triste del consumismo di qualsiasi genere, è la condizione del lavoratore che subisce sempre più perdita di diritti e, di conseguenza, di dignità, è quella condizione intersoggettiva in cui la ragione (principio di verità condivisa= universale) sta perdendo ogni valore a favore della autorità (principio di potere = dominio particolare, individuale) in tutte le sue forme (politica, militare, religiosa, economica).
    In merito all’invito ad affrontare la vita sociale “in solitudine”, questo è proprio quello verso cui spingono le grosse lobbies politico-economiche in nome dei feticci della realizzazione personale e del merito, ma che lascia gli individui soli di fronte ai soprusi (come dimostra la filosofia del Jobs act – ultima riforma del lavoro). Per quanto riguarda i sindacati (che, come i politici, non sono tutti uguali), nonostante i limiti e/o errori fatti, sono rimasti (almeno in Italia) l’ultimo baluardo di difesa dei lavoratori.
    Perciò non concordo: sul rapporto con la vita religiosa condivido, ma trasferire questo principio alla vita politica rischia di riportare le lancette dell’orologio indietro di molti anni. “Responsabilità”, “uguaglianza” e “libertà” mi paiono principi più appropriati (se posti assieme) per recuperare sia il valore delle vite delle persone che identità basate su relazioni significative, partecipate e appunto responsabili (religiose?), almeno nella vita sociale.

  3. Giuseppe Siniscalchi ha detto:

    Caro padre Luciano,
    ti segnalo il link di articolo di oggi a firma di Myriam De Filippi( capo servizio ).
    Spero lo apprezzi e magari che tu possa segnalarlo ad eventuali interessati.
    Un caro saluto ed ancora Buon Anno.
    Giuseppe
    http://giornimoderni.donnamoderna.com/cultura/arte-mondo

  4. marcella morganti ha detto:

    la tua lettera mi ha molto colpito, come in genere ciò che dici: ma stavolta in particolare: queste riflessioni le sento così anche appartenenti a me, e proprio in questi giorni, di solito a fine anno si scatenano delle melanconie , dei sentimenti contrastanti, delle percezioni della solitudine, forse dettate dalla stagione, dal momento festivo…. come è profondamente vero ciò che hai descritto così bene sulla solitudine, e quanti aberranti risultati della paura di tale solitudine che gli uomini riescono a produrre!!! infatti l’unione fa la forza, e può anche generare appunto il mostro corporativo per difendersi dal resto del mondo, invece di produrre quell’aiuto fraterno che ti fa sentire grande, un organismo che lavori per il bene con cento braccia… poco tempo fa , in una serata con don antonio (parroco del paese dove vivo), che a volte mi sembra un impiegato della chiesa, piuttosto che un uomo aperto alla verità e alla fede, ho percepito molto forte questa solitudine in me, che andavo cercando in quella serata di sviscerare delle questioni, ed invece ho trovato un muro di pregiudizi e preconcetti e una porta chiusa, mentre doveva essere la serata di riflessione e di ‘condivisione’, ho sentito la solitudine di non avere risposte pronte e confezionate e soprattutto rassicuranti, di cercare la verità che va oltre il nostro uscio.
    invece mi sono sentita rifiutata anche solo nella domanda che doveva parere scomoda, non prevista dal compito preparato a casa. a me questa solitudine a volte pare proprio pesa da portare (mi par d’essere sempre la voce fuori campo, il bastian contrario), e vorrei sentirmi parte di una comunità di un gruppo, e poi… scopro che probabilmente devo accettare di sentire questo, perchè ogni qualvolta, mi scontro con i limiti dei gruppi, delle comunità che subito hanno la tentazione di farsi scudo, squadra contro il resto del mondo, come accade a volte nel calcio!!! che è una cosa che non mi riesce fare proprio. non ci credo ecco.
    grazie a Dio , quando vengo nella comunità vangelo e zen, sento in genere una bella accoglienza e libertà, altrimenti non avrei resistito, dopo tutti questi anni, ma anche perchè non c’è per me uno stretto contatto con gli altri membri per la maggior parte del tempo.
    però , anche ai ritiri, ho sempre respirato un’ aria di libertà comunitaria. chissà, penetrando più a fondo nelle menti di chi frequenta magari si troverebbe anche altro, perchè i pensieri meschini ci appartengono, nella stessa misura di quelli elevati, e le mie paure e tentazioni di rassicurazione,
    come quelle degli altri a volte emergono, però ringrazio che finora ho trovato invece che questo tuo spirito libero, aleggia e permea la comunità ,sovrasta anche queste tentazioni!
    ti ringrazio ancora della tua illuminante esistenza .
    marcella morganti

  5. Emanuele Macca ha detto:

    Bellissima Padre Luciano.
    Non posso che apprezzarla e condividerla.
    Nel mia lavoro personale di ricerca nel rapporto tra fede ed omosessualità noto che il maggior ostacolo è vivere la causa LGBT e il conseguente associazionismo e la Chiesa come “corporazione” che devono difendere le proprie tesi. In questo clima la dialettica mediatica è aspra e spesso manipolatoria (la “manipolazione” del nuovo dogma del secolo cioè i dati scientifici è all’ordine del giorno); le esperienze individuali, l’autenticità dei bisogni del singolo, dell’individuo nella sua storia specifica non sembrano interessare molto. Uno degli slogan più usati dalle corporazioni è “al centro la persona” … paradossale!
    E questo mi rattrista molto ovviamente perché mi tocca nelle mie ferite, ma anche perché vedo in ciò la strutturale apoteosi dell’incomunicabilità (penso alle varie manifestazioni delle Sentinelle in piedi e relative contromanifestazioni).

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