Dom 19 Mar 2017 Scritto da Pierinux AGGIUNGI COMMENTO

foto di Mayumi Sakurai – giardino Vangelo e Zen – 12 marzo 2017

Alcuni ricercatori affermano di aver trovato nelle rocce della baia di Hudson, Canada, un fossile di circa 4 miliardi di anni fa. La vita che ora riversa energie nei nostri occhi che leggono e nelle nostre mani che scrivono, questa vita pulsa nelle vene del pianeta Terra da miliardi di anni, indefessa, consumandosi e rigenerandosi. La conoscenza scientifica in un baleno ha frantumato certezze millenarie, già sacre e indelebili, a cui gli esseri umani avevamo affidato il loro vivere tranquillo. L’uomo, seguendo la sua illusione ottica, si pensava al centro di tutto, meta di tutto, padrone di tutto. Conosceva, ma non si accorgeva che riduceva tutto alla dimensione della sua illusione, ignorando che era illusione. Grazie alla scienza molto più che alle religioni, oggi l’uomo conosce la sua radicale marginalità e insignificanza nell’universo, e sa che nessuna stella delle miriadi di stelle fa alcun conto su di lui. Questa sospensione nell’insignificanza cosmica guida l’uomo a conoscere un grado più puro di libertà. La libertà si fa reale come attimo libero, in cui l’uomo, sospeso nell’insignificanza cosmica, sente tutto l’universo abitare la sua insignificanza, e questa in comunione con tutto l’universo, senza aggiungersi nulla né diminuirsi nulla. L’insignificanza permette all’uomo di sperimentare la purezza del non aver bisogno di significati aggiunti e di ritrovare, nell’abisso insignificante del suo esserci, l’attimo libero. Esserci, figli di Dio, che è perché è. La quaresima è un tempo di cammino verso una goccia più pura di libertà.

Ciascuno di noi può – credo – narrare così il suo cammino verso l’attimo libero. E’ una descrizione immaginaria, ma probabilmente tocca il particolare di ogni uomo, di molti di noi, nella vasta gamma delle differenze. Vado a ritroso nel tempo, con la fantasia.
Ero infante quando ho compiuto il primo atto libero, quello iniziale, ancora non in grado di registrarlo nella mente. Fu quando, dopo aver svuotato la mammella di mia madre, prima di assopirmi le ho dedicato un sorriso. Ero sazio, non avevo più bisogno delle sue coccole né del suo latte, tuttavia per la prima volta mi esposi oltre la legge del bisogno fisico. Sorrisi sgambettando. La mamma pianse.

Ero fanciullo, quando per la prima volta ho donato un mio giocattolo ad un altro fanciullo che ne era senza. Avevo già fatto le stesso gesto su invito di chi mi stava accanto, ma poi ero ritornato a dire che quel giocattolo è mio e lo volevo indietro. Un giorno, per la prima volta, non lo richiesi più. Anzi, lo dimenticai. Avevo dimenticato perché non ero rimasto trattenuto. E subito mi ritrovai con altri fanciulli a giocare.

Fu la mia prima gita scolastica dalla durata di più giorni che offrì l’occasione dell’attimo libero a me divenuto adolescente. Sul pullman che ci portava al lago di Garda noi ragazzi eravamo in preda di una incontenibile scompostezza adolescenziale che ci procurava continui richiami da parte degli insegnanti che avrebbero dovuto farci da guida. Sul pullman Francesco, un compagno con problemi fisici, era rimasto solo, immobile, dimenticato e senza alcuno seduto al suo fianco. Me ne accorsi e mi esposi oltre l’innata furia adolescenziale. Mi sedetti nel posto vuoto vicino a lui. Non godeva dell’uso della parola, e io gli stavo vicino immobile, in silenzio, nel bel mezzo della furia adolescenziale che faceva impazzire gli insegnanti guida.

Il mio fisico aveva raggiunto la sua dimensione più piena. Me ne compiacevo e amavo sostare davanti allo specchio. Ero un giovane sano e, al dire di tanti – ma soprattutto al dire segreto di me stesso – ero bello. Non c’erano ancora i telefonini, ma io mi facevo la mia selfie con la mente. Ma un giorno ho rotto tutto e ho bruciato tutte le mie selfie. Mi sono buttato oltre e mi sono votato ad amare: lei, lui, la gente. Mi sono sposato. Mi sono fatto prete. Sulle prime mi sembrava facile e bello, ma poi anche la facile bellezza si ritirò. E imparai ad amare anche senza la facile bellezza. Oltre la bellezza, gli attimi liberi.
Adulto, la gente mi chiamava con un titolo preceduto dall’articolo determinato: l’ingegnere, il dottore, il missionario, l’agronomo, l’attrice. Sulla cresta dell’onda mi sentivo libero di dominare, come un frequentatore di scientology arrivato alla sua realizzazione, un santo, una mamma modello. Ma l’onda si auto-risucchiò e precipitai in basso, giù in ciò che ero. Tradii, peccai. Quarant’anni in frantumi. Fu così che conobbi una nuova libertà: la libertà dal vanto di sentirmi libero. Mi ero illuso di essere il soffio divino e mi ritrovai argilla. Mi irrigidii per non lasciar trapelare la polvere, affinché tutti continuassero a chiamarmi con il titolo professionale, quello sulla cresta dell’onda. Ma il vento sollevò la polvere che si posò sugli occhi di chi mi guardava. Un giorno riconobbi che quel vento fastidioso era il soffio di Dio. Mi abbandonai e mi sentii, peccatore, libero.
Fino all’apice della crescita, fino a trenta-quarant’anni, l’attimo libero era diventare più maturo, più buono, più forte, più bello. Era sorridere alla mamma, regalare un giocattolo ad un fanciullo che ne era senza, lasciare la baldoria degli amici e sedere vicino a un compagno solo. Era sposarsi, era avere figli, era fare il prete per la gente. Ma dietro a tanto bene da fare c’era sempre un IO che registrava, che si compiaceva. Il peccato l’ha infranto. Continuare il cammino degli ideali, calpestando i cocci degli ideali infranti. Annunciare il vangelo della santità camminando a stento nel fango della palude di ciò che realmente sono, come i cristiani nascosti del Giappone del 16mo secolo del film Silence. Ammonire i propri bambini su ciò che io di nascosto andavo infrangendo. Nella contraddizione eppure, nel fondo di me, libero di una libertà che la mia contraddizione non riusciva a spegnere. Libero di una libertà che crea mentre non c’è niente.
Giungere a credere in Dio senza l’appoggio dell’immagine di Dio, ormai infranta!
Continuare a credere nella Scritture, sapendo che a scriverle furono esseri umani come me, e a dichiararle sacre-ispirate furono altri esseri umani come me. Continuare a sentirmi unico e importante, in questa immensità cosmica che mi ignora. Così come la mela gobba di un melo selvatico che, prima di cedersi al baco che la corroderà, matura al massimo del suo colore, sapore, profumo. Credere Dio, senza nessuna immagine di Dio, per cui poter dire: eccolo qui, eccolo là. A-teo – credendo. “Nessuno mai ha visto Dio” (Gv 1,18). Sono un prete a-teo. Testimonio il Padre, mentre vedo i figli soccombere sotto le rovine dei terremoti e delle armi. Predico l’armonia e vedo la natura sempre più abbruttita, i cigli delle strade trasformate in discariche abusive. Esalto l’innocenza, e so che ogni bambino che nasce innocente crescendo diverrà peccatore. Testimonio la vita, e so che ogni essere vivente – vivendo – di giorno in giorno scorre verso la morte. Predico il regno di Dio – che è giustizia, pace e gioia nello spirito – e vedo le guerre. Eppure, dopo l’inverno, anzi attraverso l’inverno le viole e le margherite ritornano a sbocciare nel giardino di questa casa.

Finché mi rimane qualche spiraglio di fuga da ciò che sono, finché una qualche illusione mi può attrarre, la mia libertà è condizionata. Un giorno sarà per me l’attimo libero, quando restituirò sia il soffio, sia l’argilla. Restituirò sia le domande sia le risposte. Chiedo che al mio capezzale nessuno mi illuda con illusorie promesse di guarigione, e nemmeno con l’annuncio di un paradiso imminente. Chiedo di poter rimanere senza risposte per sentito dire, allo scopo di affidarmi a ciò che non so e che nessuno sa. Voglio affidarmi oltre il mio sapere, oltre i miei meriti o demeriti, oltre il bene e il male.
“La vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio” (Col 1,3). Nel Cristo voglio attendere che il bene si offra a salvare il male e il male si offra a mantenere umile il bene. Voglio attendere il regno dove il più piccolo è il più grande, dove le miriadi di forme di vita che si sono susseguite per quattro miliardi di anni affinché un giorno io potessi nascere dotato di intelligenza e di volontà, tutte quelle esistenze insieme con me siano in paradiso. Finché da ciò che sono, anche uno solo fosse dimenticato, non sono libero.
“Vi ho detto: Voi siete dei!” (Gv 10,34, Gesù). “Tu sei un dio e mai intesi cosa più divina” (La gaia scienza, Nietzsche).

La libertà è l’attimo immenso dove l’amore racchiude l’universo in ogni frammento e dischiude ogni frammento ad abbracciare l’universo. L’attimo immenso, l’attimo creativo dal nulla, l’attimo libero. Il Cristo.

p. Luciano

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