La stella del mattino – cammino religioso Vangelo Zen Milano, 19 luglio 2020
Durante la pausa covid, ho avuto il tempo per tradurre alcuni testi di Endō Shūsaku. Traducendo mi sono imbattuto in una espressione che mi è rimasta impressa. E’ questa: “La fede: il novantanove per cento è dubbio, l’un per cento è speranza”. Endō Shūsaku – per una informazione dettagliata si confronti Wikipedia – fu uno dei più apprezzati scrittori giapponesi del secolo scorso, le cui principali opere sono tradotte anche in italiano.
Ovviamente, nella suddetta espressione, Endō Shūsaku ha sintetizzato anzitutto il suo cammino di fede. Battezzato a 11 anni insieme con la madre e il fratello, grazie a una borsa di studio governativa ampliò la sua ricerca letteraria trascorrendo anni in Europa, precisamente in Francia, intessendo rapporti con molti scrittori europei. Il natio DNA culturale e religioso del Giappone, e il Vangelo di Gesù incontrato sotto le vesti di una cultura a lui estranea, quella europea, furono il fecondo travaglio di tutta la sua vita. Sempre in conflitto, sempre inseparabili, eppure sempre parti intime del suo viaggio esistenziale. Senz’altro fu l’esempio della madre ad instillare nel figlio che il nuovo che si incontra nella vita costituisce l’avventura umana di ciascuno, in egual modo come il DNA natio. E’ vitale proprio perché è nuovo, perché è altro; così come il DNA natio è vitale proprio perché è natio, perché è punto di partenza. La madre di Endō aveva divorziato dal marito violento, per di più mentre la famiglia si trovava in Manciuria, terra allora assoggettata al militarismo giapponse. Il marito era un militare. Divorziata e ritornata in Giappone con i due figli, aveva ritrovato la sua dignità di donna, la sua tenerezza di madre e la sua passione artistica – suonava il violino – attraverso la fede cristiana. Ricevette il battesimo insieme con i due figli preadolescenti. Il missionario francese versò l’acqua sul loro capo pronunciando parole estranee al loro linguaggio, e in parte anche allo stesso missionario francese. La liturgia era ancora in lingua latina.
Il nuovo, l’altro che si incontra lungo il sentiero dell’esistenza – potremmo dire ciò che non si è per nascita, cultura e religione – è costitutivo di ogni uomo come il DNA ereditato alla nascita. Soprattutto, a costituire l’avventura di ogni uomo è il fecondo conflitto che il DNA natio e il nuovo sopraggiunto ingaggiano dentro di lui. Quel conflitto è l’avventura umana. E’ ciascuno di noi.
In quell’interminabile conflitto si fanno avanti novantanove dubbi e un germoglio di speranza. Così fu e continua ad essere la mia vita, e così mi appare essere la vita di molti che hanno confidato a me prete il loro travagio esistenziale. Oggi, riconosco che la vita è nobile grazie ai novantanove dubbi e l’un germoglio di speranza che la compongono e la creano. Anzi, mi vado rendendo conto che l’un germoglio di speranza si radica nei novantanove dubbi e questi nell’un germoglio di speranza, mentre l’uno e i novntanove rimangono distinti, anzi opposti. Ne faccio esperienza anche in questo istante, mentre cerco la parola adatta per esprimere l’idea che ho in mente. Quella parola proprio adatta non mi è mai dato di trovarla. Ogni parola che scelgo trascina dietro di sé novantanove dubbi. Allora spigolo la parola meno inadatta e vi alito la potenza del pensiero che intendo esprimere, affinché non riduca il mio pensiero al suo astratto significato registrato sul vocabolario. Così la parola a volte si fa grido, a volte sospiro, a volte supplica, a volte minaccia ecc. Tuttavia, anche così qualificata, la parola scelta non riesce mai a dire mai tutto quanto si vuole dire, perché per dire tutto occorre anzitutto aver compreso fino in fondo il tutto di ciò che si vuole dire. Ma l’impulso a dire nasce proprio dalla incompiutezza del pensare e del dire. Il sentiero dell’esistenza umana si snoda lungo il crinale fra novantanove dubbi e un germoglio di speranza. Molti oggi hanno paura di stare in piedi sul crinale davanti al non visto, all’ignoto. Il progresso in cambio offre all’uomo la possibiità di non lasciare spazio vuoto tra parola e parola, in modo da non lasciarsi prendere dal panico davanti al vuoto che le parole lasciano.
L’apostolo Paolo scrive: “Nella speranza infatti siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se è visto, non è più oggetto di speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo? Ma, se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza.” (Rm 8, 24-25).
Sperare senza prima aver visto ciò che si spera? Riporre la propria fiducia nell’ignoto, per di più accerchiato da novantanove dubbi? E’ la mia esperienza quotidiana. Ogni qual volta dico: “Credo”, oppure: “Spero”, oppure: “Amo”, i novantanove dubbi mi assalgono. Dico di credere in Gesù, ma subito sono disturbato dal dubbio che tanti hanno visto quell’uomo, l’anno incontrato e tuttavia non gli hanno creduto. Inoltre, molti che oggi si dicono cristiani, disonorano il suo Vangelo. Rivolto a me stesso rifletto: “Dico di credere, di sperare, di amare come lui ha insegnato” e subito i novantanove dubbi dei miei peccati e della mia mediocrità mi contraddicono e mi tolgono la pace. Mi seggo in Zazen e sto immobile, composto, silenzioso per affidarmi alla pura pace non profanata dai miei attaccamenti, e in quei trenta minuti di Zazen i novantanove dubbi fanno la loro movida proprio nella mia mente. In cambio avessi fatto qualcosa d’altro, mi avrebbero disturbato di meno.
Oggi ho udito una notizia dalla Cina che incute tristezza. Si vuole procedere verso una regolamentazione delle nascite che anzitutto non riduca la produzione industriale. La donna lavoratrice potrà portare avanti la gravidanza e partorire solo quando la sua astensione dal lavoro non comporti svantaggi alla produzione industriale. Tutto viene sottoposto alla legge del calcolo. I novantanove dubbi sono banditi; meglio, non è loro permesso di affacciarsi sul palcoscenico del mondo. Con i novantanove dubbi viene spento anche l’un germoglio di speranza.
L’un germoglio di speranza è l’atto di volontà che l’uomo dice stando in equilibrio sul crinale, accerchiato dall’abisso dei novantanove dubbi. Gesù, alle persone a cui aveva offerto la sua parola e la sua grazia, diceva: “Va, la tua fede ti ha salvata/o”. L’un germoglio è quell’atto di volontà che portò il cieco nato, la donna peccatrice di quella città, il padre dell’epilettico e tanti altri a stare davanti a Gesù volendo. Quell’atto di volontà scosse la potenza che era in Gesù a riversarsi su di loro come guarigione dello spirito e del corpo. “Tutto è possibile a chi crede” (Mc 9, 23). Ganjin (688-763) fu un monaco buddista cinese che portò la via del Buddha in Giappone. Per sei volte l’approdo fu impedito da tifoni, divieti governativi; ma al settimo tentativo raggiunse Nara. Cieco, insegnò la via buddhista come via di reciproca benevolenza.
L’atto di volontà che dice: “credo”, “spero”, “amo” senza aver visto, è l’atto più nobile che l’uomo può compiere, perché è atto di fede, di speranza, di amore che non s’appoggia su qualcosa che già è, ma dà l’avvio all’attuarsi di ciò che crede, spera e ama. Quell’atto è creativo, e l’uomo sperimenta la sua figliolanza divina.
Oggi è in pericolo l’atto di volontà che l’uomo pone di suo senza aver visto, dando l’avvio all’attuarsi di ciò che spera. E’ in pericolo l’esperienza che l’uomo è figlio di Dio.
p. Luciano
Ganjin (Toshodaiji – Nara)
Sono giunti numerosi commenti a questa lettera, li pubblichiamo come file allegato.
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