Ma esiste la libertà?
Milano 16 agosto 2020
In questi giorni caldi e afosi condivido con chi ha la pazienza di leggere questa lettera, forse in montagna o forse al mare, il pensiero – è più preciso dire la parola – che continua a fare la sua movida avanti e indietro dentro la mia umanità e, forse, dentro l’umanità di molti. Questo pensiero, questa parola, è libertà.
La parola libertà si evoca solo dentro l’ambito esperienziale dell’essere umano. E’ una parola del vocabolario dell’esperienza umana. Altrove non si dà. L’animale segue l’istinto naturale o indotto dalla forzata addomesticazione dell’uomo padrone, per cui il predatore azzanna il cerbiatto ancora lattante strappandolo da sua madre e non prova alcun rimorso. Così pure la natura non animata segue le leggi fisiche e il più delle volte si comporta da amica dell’uomo, ma a volte senza preavviso scuote la superficie terrestre e travolge tutto, compresa una classe di scolaretti con la loro maestra. Senza segno di rimorso alcuno, dalle macerie che hanno ucciso la vita, fa germogliare nuova vita, un fiore. Un filosofo e teologo scozzese vissuto nell’Alto Medioevo, caro anche a papa Benedetto XVI, Giovanni Scoto Eriugena, affermò che anche Dio non può essere libero, perché – perfettissimo – non è libero di scegliere il male al posto del bene. Tutto ciò che è assoluto non è libero. Tutto ciò che è perfetto non può soccombere all’imperfezione. La Bibbia afferma che Cristo fu causa di salvezza perché “Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì” (Eb 5,8). Soltanto con la potnza divina, senza l’obbedienza al patimento delle cose, non avrebeb potuto portare salvezza.
La libertà : il crinale da cui l’uomo attua il nobile o l’ignobile, il sublime o l’infimo!
In questi mesi di covid la libertà dell’uomo ha inscenato una vera pioggia di dardi lanciati all’impazzata tra schieramenti. Una santa espressione di Gesù riportata da Giovanni afferma: “La verità vi farà liberi”. Nell’orgia delle frecciate di questi mesi covid è mancata la razionalità, garante della verità. Al suo posto, fu l’appartenenza a decidere. Alcuni giorni fa’ risuonava il grido per una maggiore libertà da riconoscere ai cittadini riducendo i controlli istituzionali come già nella ricostruzione del ponte San Giorgio; oggi, alcuni giorni dopo, prevale il grido che evoca maggiori controlli nell’assegnazione del bonus ai detentori di partita IVA: non basta l’autocertificazione – si dice – occorrono controlli più minuti! Ultimamente anziani e adulti avvertiamo uno strappo al cuore vedendo una parte dei nostri giovani e adolescenti gustare la trasgressione delle regole sanitarie, nel nome della loro libertà.
La libertà : il crinale da cui l’uomo attua la pace o la violenza, l’arte o il degrado!
Così l’uomo ha imparato a usare la parola libertà a piacimento, come un cerotto che può applicare ovunque, senza contraddittori. Per anni può continuare a ripetere: “sono libero e faccio quello che mi pare!”. In religione con il cerotto della libertà si può coprire l’ipocrisia alla grande. Si può addurre che tutta la sofferenza spirituale e fisica, quindi anche la scossa di terremoto che ad Haiti distrusse una città intera di gente povera, dipende dal libero peccato dei progenitori del genere umano. Al cerotto l’uomo dà liberamente tutti i nomi del caso. Quello più abusato in religione è l’espressione volontà di Dio pronunciata con la leggerezza di un cerotto che si applica su uno sfregio della pelle. Ma nei tanti Haiti non si trattò di fregi sulla pelle.
Ma l’uomo è veramente libero?
Nei momenti meno confusi della vita l’uomo si fa la domanda sulla propria libertà. Sono libero? Sono mai stato libero? Alla domanda non ottiene la risposta, ma piuttosto inasprisce la stessa domanda. Ma cos’è la libertà? Nel caso specifico, cos’è la mia libertà? Alcuni sapienti in oriente hanno insegnato che la libertà è la non azione, quando “ogni cosa canta la verità senza aggiungere nulla” (E. Dogen in Bendowa). Altri sapienti dell’occidente hanno affermato che la libertà è nell’azione: “Ora è nell’atto razionale che c’è sintesi tra la potenza e l’idea dell’infinito. E questa sintesi è ciò che si chiama libertà” (Claude Blondel in L’action).
Si perde la direzione alla libertà nell’atto stesso di voler formularne una risposta. Eppure tutt’attorno evidenzia che la libertà senza il limite di una risposta rimane evanescente, a disposizione di tutte le usurpazioni. Ripeto: senza un qualche limite concreto, e non con il solo concetto immateriale di limite. La libertà non si dà solo dall’infinito, né solo dal finito. La libertà non si dà immedesimandosi in uno degli opposti e disdegnando l’altro. Accostando l’affermazione di Dogen e quella di Blondel, verrebbe da dedurre che se si potesse attuare la non azione nell’attuare l’azione, ossia il non aggiungere nulla e il non perseguire alcun scopo, mentre si spremono tutte le energie proiettandosi verso una meta concreta da raggiungere, allora sì che lì si realizzerebbe la libertà. Ma è proprio il cuore della libertà stessa che si ribella a questa trovata attraverso cui l’uomo vorrebbe nascondere la sua mediocrità con il drappo della libertà. Attraverso questo inganno la libertà ha subito le massime profanazioni: roghi, ghigliottine, razzie etniche, assistenzialismi ecc. La libertà è solto esistenziale, e non accetta di essere abbellita con drappi trascendentali.
In questi giorni abbiamo ascoltato tanti lamenti sui disguidi procurati dal covid. Il lamento è il primo segno della profanazione della libertà. Chi è libero non si lamenta perché d’inverno non fa caldo e d’estate non fa freddo; ugualmente nella situazione del covid l’uomo libero, pur con sacrificio, non si lamenta perché non può uscire di casa. La libertà è concreta. E’ “non azione” dice il sapiente orientale; ma “ogni cosa canta la verità senza aggiungere nulla” in situazione di covid è una sfida e non atarassia. Ogni cosa aggiunta è un cerotto. Eppure, mai come quando non si aggiunge nulla, la situazione così com’è emana la sua dinamicità. “Nell’azione, fenomeno che raccoglie in sé la capacità di riflessione della ragione e il sorgere della libertà, è aperta una distanza infinita tra il sé del soggetto e ciò che il soggetto vorrebbe essere in ragione del proprio agire. Tal distanza afferma la libertà stessa, la quale mai può essere perseguita come fine.” (Claude Blondel in L’action).
La libertà decade fuoriuscendo dall’esistenzialità del reale.
La domanda sulla libertà continua a inquietarmi, non ostante le testimonianze di tanti sapienti che vado leggendo con molto interesse. Mi convinco sempre più che il non arrendersi della domanda è la risposta più vera. Così come le domande che riverso sui testi sacri chiamati rivelazione, fondamentali nella mia vita: le risposte che mi ritornano mi sono sempre in- esaurienti. Ugualmente è delle domande circa le pratiche religiose, compresa quella che sento più mia: l’eucaristia. Del resto, i sacramenti sono segni veri ed efficaci, ma segni che senza l’interpretazione della vita personale rimangono segni spenti e la loro efficacia si tramuta in un cerotto superficiale.
Ma è possibile essere liberi? Non è meglio trastullasi nella movida dell’andare su e giù lungo il corso della vita tra vetrine illuminate e bar invitanti? Quando la morte arriverà, io non ci sarò più e, quindi, anche tutte le domande si spegneranno! Perché darsi da fare per un Dio che nei momenti più terribili se ne sta celato nel suo nulla?
Attingo queste espressioni dalla mia esperienza.
Ascolto ora dal telegiornale che la discoteche e locali simili saranno di nuovo chiusi in tutta l’Italia per arginare il diffondesi del virus a garanzia dell’apertura delle scuole il 14 settembre. Riconosco in questo atto il vigore della libertà. Infatti è non aggiunto alla situazione per ammorbidire o aggravare, nulla è demandato ad altri o a fantomatiche ideologia o a devozioni miracolistiche. E’ il puro esistenziale. Ma è da qui che la libertà, senza farsi scorgere alla mente, intraprende ad agire. La libertà non ha scopi, non è un gioco di borsa. Ma non è il non scopo, bensì lo scopo che palpita nell’esistenziale. L’esistenziale non è uniforme, ma variegato: ci sono ottantenni che gioco-forza possono comprendere i primi rudimenti della sapienza e ci sono i giovani che devono fare tante curve per intravedere oltre ciò che in questo momento li abbaglia.
Eppure la libertà, che mai può essere ridotta a una risposta uniforme, non si dà per vinta e continua la sua interrogazione. L’uomo è consapevole che il suo atto libero si scontrerà con l’atto libero di altri, i quali esistenzialmente non possono che far scelte differenti per la differente condizione in cui vivono. Ciò non ostantel’uomo pone il suo atto libero, senza spersonalizzarlo, ma pure senza assolutizzarlo. L’accordo fra atti liberi differenti è un atto libero che succede al primo partendo dalla sua genuinità. Chi manipola la sua genuinità per guadagnare il plauso di chi pensa differentemente, profana il vigore originale della sua radice.
E’ esistenziale, è reale, è l’uomo che decide non perché altri glielo hanno detto, ma perché crede in se stesso che decide di suo senza aggiungerci nulla di suo se non l’obbedienza libera – personale a quanto si schiarisce nella sua umanità. Altrimenti l’uomo ripete e fotocopia, sempre meno coinvolto, e in fine dice quello che il partito o la religione o la convenienza o la cultura o l’interesse dice. Decade sotto la dignità della natura, la quale non ha mai ripetuto una foglia e compie tutto senza vanto o rumore alcuno.
La libertà è mia, è tua, è di ogni uomo. Però chiede un sacrificio: non aggrapparti a ciò che in te è finito, né a ciò che è infinito, né a un calcolato 50% di finito e di infinito. Sta libero dai tuoi pre- concetti di libertà, e credi. “La tua fede ti ha salvata/o” lui diceva. Poi ordinava di non dirlo a nessuno, perché le troppe parole non illudessero che più parole si dicono e più si comprende. Ringrazio per aver conosciuto la pratica dello Zazen. Non aggiunge nulla a ciò che sono. Ho sostato, ricevendo nel puro silenzio del grembo di mia madre. Celebro l’eucaristia che sento come la pratica che mi è più intima – sì, perché la libertà non cancella affatto le caratteristiche particolari – in cui ascolto il Vangelo e mi nutro del Vangelo fatto carne e sangue. Ugualmente sento il bisogno di digerire, nel silenzio.
Ho trascorso quattro giorni nell’eremo – Appennino tosco emiliano quota 900 metri di altitudine – che una persona generosa ha messo a disposizione a me ad alcuni giovani. Un boscaiolo ci ha condotti lungo la cosiddetta “Via degli dei” che scorre tra densi boschi e radure verdissime sui valichi fra Bologna e Firenze. Un boscaiolo dalle mani callose e dal viso pacato e mite, ci ha raccontato il gusto di amare la montagna sudando nella cura dei campi e degli animali. Alcuni abitanti di quel villaggio montano hanno raccolto dal torrente strati di rocce di silicio con le impronte di orme di animali risalenti a milioni di anni fa, insieme con armi da guerra abbandonate nei boschi durante l’ultima guerra mondiale, insieme con gli attrezzi pacifici della cultura contadina. Sulla porta del museo una scritta dice così: La visita al museo è gratuita. Chi è interessato contatti… e qualcuno si presenterà a guidare la visita”. Così abbiamo fatto anche noi. Davanti al museo un giardinetto pubblico dove cinque ragazzi, forse tutti quelli del villaggio, giocavano allegramente. La scuola sorge nel paese grande a chilometri di distanza e frequentano tramite scuola-bus. Tutta questi gente montana sembra non essersi mai posto la domanda se sono liberi. O, per lo meno, nei momenti difficili non è fuoriuscita dalla sua esitenzialità. Rimanendovi dentro, hanno messo in atto la vera libertà: quella propria della loro riflessione, ricerca, creatività, gusto estetico e religioso di vedere che il legno inumidito dal proprio sudore prende la patina della pacata bellezza che i giapponesi chiamano wabi. Infatti il boscaiolo, a tutte le mie svariate domande, non rimandava mai ad altri. Rispondeva di suo. Con la pacatezza sul volto. Il wabi umano.
Lo dico, anche se so che qualcuno potrà dissentire e da parte mia non ho nessuna ragione per dissuaderlo dal dissentire. La libertà si dà nella fede. Nella fede che non ha bisogno di assentarsi dall’esistenziale per credere. Finito e infinito, e tutti gli opposti, e nell’immensità cosmica questo io che crede. In un’incalcolabile divenire cosmico e storico è emersa all’esistenza la persona che io sono, in questo attimo del tempo e su questo minusolo pianeta. Quanta sofferenza e quanta allegria mi ha preceduto e mi accompagna. Chi sono io? “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10,8). Abbandono i calcoli, e mi affido. Nella fede la libertà si inumidisce di fiducia e di riconoscenza. . .