Sab 5 Mar 2022 Scritto da Pierinux AGGIUNGI COMMENTO

“La fede è un comando dal proprio abisso interiore…” così scrivevo al termine dell’ultima (14 febbraio) lettera agli amici. La guerra in atto è un male abissale, e vari amici mi chiedono un approfondimento sull’abisso che è nell’uomo, che è l’uomo. Radicata in quell’abisso, la volontà dell’uomo, da cui il male più deprimente e il bene più sublime. Tra il male e il bene, il vuoto della libertà.

“In questo difficile momento dove la guerra si ripropone con tutta la sua mole di dolore e paura, ritornano i miei soliti dubbi inutili, forse, ma fanno parte di me, come se nel poterli risolvere trovassi la  vera fede (esiste ?)… se preghiamo saremo ascoltati? Dio (?) ci ascolterà e cambieranno le tremende situazioni che molti di noi vivono?… Ciò che vedo, con o senza preghiera, non cambia se prego o non prego; e la preghiera, allora, cosa genera?… “.

Così da una persona a cui, da 30 anni, mi lega un rapporto di profonda stima e di condivisione di cammino. Si cammina insieme e la compagnia rende il viaggio spedito e confortevole; ma ad un certo punto ecco il passaggio stretto, dove si passa solamente uno ad uno, soli, ciascuno con se stesso. In Ucraina, per il comune scopo di proteggere i propri bambini, la madre fugge all’estero, mentre il padre torna in indietro a difendere la libertà della patria. Lo stesso amore che li ha uniti, ora li separa, perché anche gli sposi, lungo il tragitto della condivisione di vita, si imbattono in passaggi che si oltrepassano solo uno ad uno, in solitudine, e di una solitudine che, più si è uniti, e più si fa profonda. 

In queste settimane mi sono dedicato alla lettura di libri che trattano della crisi epocale delle religioni. Il libro, di cui ho appena terminato la lettura, si intitola “Oltre le religioni – una nuova epoca per la spiritualià umana” (Editore Gabrielli). Autori sono un vescovo anglicano e alcuni teologi e teologhe cattolici. Esprimo tutta la mia riconoscenza a questi autori nel loro proposito di prevenire il ripetersi nel futuro di nuove sterili condanne a Galileo, ossia alle nuove scoperte della scienza. Il loro bisturi scientifico non risparmia alcun ambito, nemmeno quello delle più care tradizioni a cui nel passato ricorsero generazioni di credenti cristiani per superare le avversità della vita. Gli autori, adducendone le prove scientifiche, documentano una lunga serie di disanime su interpretazioni praticamente adottate come ufficiali dalle chiese cristiane, ma che non reggono al bisturi della critica scientifica. Un secolo dopo la condanna, la chiesa chinò il capo a Galileo. Ma ci volle un secolo. Eppure la conoscenza scientifica, giunti alla porta stretta che si passa ciascuno solo con se stesso, non serve più. Rimane conoscenza scientifica, ma per quell’attraversamento è inutile. Anzi, si trasforma in un peso.

La fede e la preghiera, che ne è il grido, sgorgano da una dimensione umana più profonda, che la scienza non raggiunge: sgorgano dall’abisso interiore dell’essere umano. In un anfratto dell’abisso interiore dell’uomo freme una potenza che crea ciò che non è. Il suo nome: la volontà libera. Lo scienziato osserva, comprende, applica, compone, combina, corregge, modifica; ma non crea alcun nuovo reale. La volontà libera genera il nuovo, crea ciò che non era. La linfa che alimenta tale potenza fluisce alla volontà da una radice che sprofonda nel prima e nell’oltre il livello che la scienza gestisce. Quell’oltre è un fuoco divino. Essendo divino, ossia prima e oltre il limite del calcolo, è incommensurabile, è spontaneo. Non è Legge, ma è Grazia, oppure il suo contrario, è Peccato, ossia Grazia tradita. La legge dell’evoluzione dimostrata da Charles Darwin e quella genetica indicata da Gregor Mendel non interferiscono. Darwin, un ateo; Mendel, un sacerdote cattolico: c’è sempre qualcosa che non va apposto solo con le regole della scacchiera della mente.

Quando un seme germoglia sotterra, c’è un attimo in cui il seme non è più seme; e il germoglio non è ancora germoglio. E’ l’attimo del puro nulla, sede della potenzialità creatrice e del balzo della libertà. Mi soffermo spesso a contemplare le nuove foglioline delle piante di fiori a cui dò un sorso d’acqua ogni due o tre giorni. Quel distendersi nel vuoto della neonata fogliolina con le sue venature è un nuovo assoluto. Così ogni foglia della foresta amazzonica. Anche nella materia vibra qualcosa che non si limita agli schemi evolutivi della scienza, ma che piuttosto crea scienza. Ogni foglia è una meraviglia anche per il più rigoroso scienziato.

Dalle guerre giungono notizie e immagini di bambini uccisi o lasciati perire. La scienza indaga, recrimina, invoca la condanna e la pena, promette di adoperarsi per un futuro ritornato giusto e armonico. “Vedi Alijòsa, se vivrò anch’io fino a quel momento o se risusciterò per vederlo, potrà realmente accadere che anch’io esclami con gli altri, vedendo la madre abbracciare il carnefice del suo bimbo: “Hai ragione, Signore!”, ma io questo non lo voglio esclamare. Finché c’è ancor tempo, corro ai ripari e perciò rifiuto assolutamente la suprema armonia. Essa non vale una lacrima anche sola di quella bambina martoriata che si batteva il petto con il piccolo pugno e pregava il “buon Dio” nel suo fetido stambugio, versando le sue lacrime invendicate. Non la vale, perché quelle lacrime son rimaste da riscattare. E dovranno essere riscattate, altrimenti non potrà essere neppure l’armonia” ((Fedor Dostoevskij, I Fratelli Karamazov). La madre può perdonare il carnefice della sua bambina. La dignità della madre è sublime, ma la bambina giace sola ed esanime nella morte che le hanno inflitto. Rimane da riscattare, rimane irredenta.

“Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi che possediamo la primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo” (Rom 8,22-23). Il dio che è la luce che tutto avvolge, così inneggiato dalla Filosofia dei Lumi, riversa raggi sul volto del bambino distrutto dalla mina antiuomo, ma gli occhi del bambino rimangono chiusi. La scienza, con il suo immenso bagaglio di valori, rimane pur sempre impersonale, nell’impossibilità a creare il nuovo.

La pianticella di acero rosso che adorna il balcone esterno ha svernato nuda, senza foglie. Ora si va svegliando al crescere della luce solare e sui rametti spuntano i polloni delle future gemme. Mi affretto a consultare il mio libro di botanica per lasciarmi insegnare le attenzioni e le cure che la pianticella mi chiede in cambio del tocco di armonia che regala a questa dimora.

Rientro e ascolto le notizie: “… bambini in Ucraina, vittime innocenti della guerra e nati nei bunker sotto le bombe… ” (Riformista).

Solo un Dio che è onnipotenza personale e libera risuscita la vita recisa. Solo un Dio che è giustizia personale e libera restaura l’armonia dei rapporti vilipesi e feriti. Solo un Dio che è profondissima umiltà personale e libera opera tutto questo rimanendo celato. Opera nascosto nell’abisso dell’interiorità di ciascuno. “Dio, nessuno l’ha mai visto” (Gv 1,18).

Un antro dove Dio si cela è anche l’abisso della mia interiorità. Non vedo nulla, ma là, nell’abisso della mia interiorità dove i miei occhi non giungono, sento fluire l’onnipotenza, la giustizia, l’umiltà di Dio. Il fondo di me si irrora di potenza, di giustizia, di umiltà divine. Dal fondo della mia interiorità il fondamento della mia fede. Credere in Dio si fonde con il credere in me (se) stesso.

“Va! La tua fede ti ha salvato” (Mc 10.52).

p. Luciano

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