Lun 29 Gen 2024 Scritto da Pierinux AGGIUNGI COMMENTO

La verità germoglierà dalla terra…

L’anima di un giovane tennista che con molta naturalezza e calma affronta due sconfitte e risorge raggiungendo la vittoria in molti ha suscitato stupore. Un miracolo! Viene spontaneo pregare che tale genuina bellezza non venga travolta dalla valanga di denaro con cui il mondo suole profanare ciò che è gratuito degradandolo in avido possesso. Il giovane tennista, alla vittoria del trofeo mondiale, ringrazia i suoi genitori e le sue montagne. Nel mentre, altri giovani volontari e giornalisti e missionari prestano il loro sevizio in luoghi dove regna la sofferenza che appunto consegue dalla dittatura del denaro. Il giovane tennista non è solo! C’è tanta genuina bellezza che rimane immune dagli occhi del mondo, come i tanti fiori di montagna che fioriscono belli senza il bisogno che qualcuno faccia rumore per dire che sono belli.

Per il mondo il trionfo del giovane tennista sarebbe stato più pieno se non avesse conosciuto alcuna sconfitta. Ma non avrebbe conosciuto il risorgere. Non avrebbe conosciuto come ci si rialza con genuina lievità dopo essere caduti. Non avrebbe sperimentato il calore della terra che fa germogliare i semi che cadono dal fiore che, esausto, secca e china il capo. Saprebbe soltanto ciò che elogia il mondo: lo stare ritti come le statue.

Il giovane tennista, all’ultimo lancio della palla che ha segnato la vittoria, esausto come il fiore dopo la fioritura, si è steso per terra. La tradizione orientale dice che Siddharta, come ottenne il risveglio al senso autentico delle cose, fu tentato a stendersi nell’illuminazione ottenuta, ma la terra lo respinse e lo rimise in piedi a percorrere la via della testimonianza. Le donne e gli apostoli Pietro e Giovanni accorsero al sepolcro, ma “non trovarono il corpo del Signore Gesù” (Lc 24,40). La terra lo aveva risorto alla vita, a redimere e divinizzare l’uomo e l’universo nel Regno di Dio che è “giustizia pace e gioia nello Spirito santo” (Rm 14,17).

“Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione” (Lc 15,7). Il peccatore caduto ha conosciuto il calore della terra: è il calore dell’umiltà. L’umiltà è il sigillo della verità. “La verità germoglierà dalla terra e la giustizia si affaccerà dal cielo” (Sal 84,14).

Troppa pratica cristiana ignora il calore della terra e rimane religione virtuale di rimandi celestiali. Il rito ambrosiano nella domenica 28 gennaio ha celebrato la sacra famiglia di Gesù, evocandola come un’oasi di armonia celestiale. I vangeli parlano di una famiglia allargata con i fratelli e le sorelle di Gesù, senza avvertire alcun sandalo in tutto ciò. Un giorno “… i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo.

Dicevano infatti: “E’ fuori di sé” (Mc 3,21). Ancora qualche mese prima della sua morte, “Neppure i suoi fratelli infatti credevano in lui” (Gv 7,5) scrive Giovanni. Fu una famiglia di questa terra, una famiglia provata come le nostre famiglie. Il cristianesimo ideologico, sospeso per aria, evapora in magia vacua.

Con il benestare dell’autrice, una giovane che ha appena concluso gli studi liceali di nome Penelope, condivido il suo inno “Vado in montagna”. I genitori di Penelope e del fratello Pelagio gestiscono un Hotel sul pendio del Monte Rosa lambito dal ghiacciaio. Nel fine settimana 25-26 maggio, al termine della stagione turistica alpina, l’hotel sarà la sede di due giorni di ritiro Vangelo e Zen. Il pernottamento ci è offerto gratuitamente. La gratuità è la grande omelia della terra! “Il regno di Dio è come un uomo che getta il seme nel terreno. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga…” (Mc 3,26-28). Come la spiga matura i chicchi, china il capo e restituisce alla terra.

P. Luciano

Vado in montagna per sentire il silenzio,
vado in montagna per vivere la pace.
Vado in montagna perché ho bisogno di respirare,
di spingermi sempre un po’ più in là,
perché ho bisogno di guardare lontano
e di vedere l’infinito.
Gli alberi quieti ma vigili;
il sole pallidamente intenso;
l’aria che ti fa sentire vivo.
Questo è il contorno, ma io vado in montagna per trovare la solitudine,
per abbandonarmi totalmente al flusso di pensieri,
che viaggia, non disturbato da interferenze umane.
Vado in montagna perché ho bisogno di sentire la natura che mi circonda, scoprirla, imparare da lei.
Vado in montagna per sentirmi a casa, protetta, coccolata.
Vado in montagna perché mi regala le emozioni più contrastanti: l’affannosa fatica correndo mescolata alla gioia più assoluta
davanti agli spettacoli costanti.
Vado in montagna per volare,
per liberarmi da tutti i pesi, per sentirmi libera.
Vado in montagna quando voglio entrare nella mia dimensione. Quando cerco di rimettere tutti i pezzi a posto,
perché è terapeutico, lasciarsi andare per un paio d’ore di sport e di meditazione ad occhi aperti,
con la musica e il cane davanti a me, unica presenza.
Solo in montagna riesco a liberarmi completamente,
a perdermi per ritrovarmi.
Minuscola in quell’immensità di vette
e in quel momento mi sento eterna.
Il tempo non passa, non esiste lassù.
Sono un nulla ma sono tutto,
vibro della stessa energia che mi circonda.
Sono una cosa sola con tutto quello che vedo e che sento.
Il vento, la luce, la neve, i ruscelli, il silenzio,
sento tutta l’energia, sono quell’energia.

Penelope Pelá (studente di liceo)

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