Ven 20 Feb 2009 Scritto da Pierinux 1 COMMENTO

lettera

Vangelo e Zen

22 febbraio 2009

dal Vangelo di Luca 18,9-14

Il brano odierno del Vangelo, conosciuto sotto il titolo di “Parabola del fariseo e del pubblicano”, è straordinariamente prezioso per intuire come il Vangelo ci plasma alla vita e all’esistenza; in altre parole per scoprire il carisma del Vangelo e della via cristiana. Gesù, chiaramente, sconfessa l’atteggiamento dei farisei che vivono con l’unico scopo di soddisfare la voglia di sentirsi e dirsi perfetti. In altre parole, Gesù non riconosce l’idea di perfezione dei farisei, né pensa che l’essere umano nasca per raggiungere una qualsiasi perfezione determinata, di cui si possa costruire uno stampo. Dirà un giorno: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”; ma, dice il Vangelo, “Dio, nessuno l’ha mai visto…” (Gv 1,18). Gesù sperimenta Dio all’interno dell’esperienza della indefinibilità e incommensurabilità di ciò che esiste, come il fondamento dell’essere-così di tutto ciò che esiste. Per Gesù, è la qualità di ciò che accade che gli dice Dio. Dio è, nell’esperienza di Gesù, l’ambiente infinito e incommensurabile della realtà. Dio è la paternità del divenire e il divenire è la figliolanza di Dio. L’ambiente attivato da questo rapporto di paternità e di figliolanza, nella teologia cristiana, è detto “creazione”. La comprensione di Dio come dinamismo della relazione, è la sconvolgente rivelazione sgorgata dall’esperienza di Gesù; comprensione che poi, superando se stessa, sfocia nell’ambiente dello Spirito Santo, dove paternità e figliolanza si superano maturando nell’amore, la relazione dove non c’è più soggezione condizionante, né di paternità né di figliolanza, ma tutto è gratuito e libero.

Nishida Kitarò, fondatore della scuola filosofica di Kyoto, descrivendo la sua comprensione di Dio, afferma: “Perciò ciascun sé si pone di fronte a Dio come rappresentante dell’umanità che si estende da un eterno passato ad un eterno futuro”. Questa affermazione è presa dalla sua ultima opera dal titolo “La logica del luogo e la visione religiosa del mondo”, dove il filosofo di estradizione buddista a contatto con l’esperienza cristiana comprende Dio come la (divina) logica del luogo, il campo magnetico della relazione. Nishida Kitarò, influenzato nel suo rapporto col Cristianesimo dalla teologia della giustificazione luterana, termina la sua comprensione del luogo divino allo stadio di logicità, ossia all’ambito del Logos. I mistici cristiani hanno navigato oltre e raggiunto il luogo dello Spirito, ossia dell’amore. Gesù è tutto proteso affinché il discepolo non si arresti alla logicità, ma si proietti oltre, nel luogo dell’amore. In altre parole Gesù guida il discepolo ad andare oltre a lui, oltre al Logos fatto carne. “Ora vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore” (Gv 16,7). Il passaggio dalla logicità all’amore è il perdono. Il Logos morirà emettendo lo Spirito e gridando: “ Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,18). Così il Padre consegna il luogo della potenza creativa alla logicità del Figlio, e il Figlio consegna la logicità allo Spirito. Nello Spirito la logicità matura oltre se stessa nell’amore, nella libertà. E’ la testimonianza di Gioacchino da Fiore. “Il Dio al di là di Dio” dice Nishida Kitarò. “Anche Dio deve morire se vuol vivere per te!” canta il Silesio. Ma molto cristianesimo non oltrepassa il recinto della logicità e ignora la risurrezione, riducendo la morte del Figlio da economia intrinseca divina, da ora della glorificazione (Gv 12,23), a incidente storico che non scalfisce il monolite divino.

Nella parabola il fariseo perfetto resta fuori e il pubblicano peccatore entra. “Chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato”. La peccabilità è il luogo umano dell’economia divina. L’economia divina lo costruisce, come la luce del sole ha costruito i corpi opachi che poi illumina.

Quando ho cominciato a scrivere questa lettera non avevo affatto in mente di dire quanto sopra; pensavo a considerazioni più semplici. Poi, mi sono accorto di “andare a campi”. Ma andando a campi si scoprono pure cose molto belle. Se qualcuno ne ha trovato qualcuna e me le comunica, gliene sono molto grato e metto il cuore in pace.

Incontri

  • Sabato 21 febbraio 09.00-12.00 ritiro Vangelo e Zen a Desio Via A. Grandi 41.
  • Lunedì 23 breve ritiro presso Missionari Saveriani V.le San Martino 8 Parma, ore 19.00-21.00 coordina Claudio Tel. 335.275627

Il ritiro del sabato mattina è come la sosta in un’oasi di rigenerazione fisica e spirituale nel silenzio della natura e nell’aria vitale delle Scritture e dei mistici. Vieni anche tu….

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Un commento

  1. Pierinux ha detto:

    Caro Padre Luciano, anch’io spesso amo avventurarmi in “escursioni campestri” e quindi vorrei condividere questa con Te.
    Mi sono trovato a riflettere profondamente in questo tuo commento del Vangelo, e subito, appena letto del Consolatore, di Gesù che “consola” i discepoli dicendo che per il bene loro e dell’umanità deve andarsene, ho associato questa immagine a quella del neonato che piange perchè la mamma o il papà, vuoi per il lavoro vuoi per altro, devono lasciarlo. Dopo un pò, questi esaurirà le forze che sostengono il suo pianto e finirà con l’accettare che deve rimanere solo, metabolizzando quel senso di colpa struggente che ne ha scatenato il pianto. Questo processo mentale inconscio, paragonabile a tutti i processi chimici che avvengono all’interno del nostro corpo e che CREANO energia, risponde anch’esso alla logica della trasformazione che ogni individuo, così come l’intera comunità, subisce nel corso della vita. Mi vien da dire che sarebbe stato “troppo facile” se Gesù fosse rimasto tra noi, vivo, carne e ossa, a raccogliere direttamente le testimonianze del nostro rimorso per non averlo compreso prima; solo con l’accettazione del suo sacrificio e la memoria del suo esempio l’uomo nei secoli ha saputo evolversi, grazie alla spinta di quel suo anelito d’amore, fuggendo da quell’originario senso di colpa che ha inondato l’umanità dopo la sua venuta; tanti, troppi, non trovando la forza per seguire la Via di Cristo, schiacciati forse da un super-io opprimente ed eccessivamente autoritario, si proclamano. Dico si proclamano senza aggiungere altro, perchè già il semplice autoproclamarsi implica l’aver imboccato la Via opposta tracciata dal Cristo; essi non metabolizzano quel senso di colpa, ma vi contrappongono un cieco orgoglio che spesso apre le porte ad una superbia delirante e autodistruttiva, o a forme di misticismo vacue e inconcludenti.
    Mi viene spesso in mente Papa Luciani quando disse “Dio non è solo Padre, ma di più….è Madre”; e penso anche ad alcuni tuoi commenti dove fairiferimento alla Natura, a Maria, come il volto “femminile” “materno” di Dio. Ma la mia attenzione va a quelle parole di Gesù che alla fine, stremato, sulla croce, invoca il perdono del PADRE. Allora mi dico, che se c’è una logica, una gerarchia divina, dovrà pur corrisponderle quella puramente terrena, che l’uomo identifica con i numeri, dove tutto ha inizio dall’UNO, che è il padre, ed è ad esso che facciamo ritorno. Dio ci ha fatto a sua immagine e somiglianza, e la logica terrena scaturita dal pensiero dell’uomo, è frutto di un incontro con il divino. Ognuno di noi nasce con una doppia natura in sè, ma una deve morire all’altra perchè l’uomo possa identificarsi con quella per cui Dio l’ha voluto al mondo, ed interagire così con quella sacrificata, che rimane viva in noi, se sapremo amarla e riconoscerla nella donna che si ama, scelta da noi per Lui e da Lui per noi.

    A presto

    Massimo

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